2024-09-19
Ursula ha vinto rinnegando sé stessa
Olaf Scholz, Ursula von der Leyen e Emmanuel Macron (Getty images)
Nonostante i suoi guai, dal caso Pfizer in giù, la Von der Leyen è riuscita a sopravvivere abiurando gli eccessi green e sfruttando le debolezze del malconcio asse Parigi-Berlino. Nel «tirare a campare», il presidente riconfermato è quasi meglio di Andreotti...Si era capito tutto quel giorno di tre anni fa mentre stava in piedi davanti a Recep Erdogan. Plastificata nella sua giacchina rossa, umiliata sul Sofagate, Ursula Von der Leyen era già oltre la cronaca e stava meditando la vendetta. È stata l’unica volta, in cinque anni, in cui la baronessa anseatica è rimasta senza poltrona. E in quel preciso istante si è ripromessa che non sarebbe mai più accaduto. Una lezione formidabile che spiega le manovre di questi giorni, la nuova squadra di commissari, l’allegro riposizionamento politico. Con un unico, granitico obiettivo: avere un comodo sedile sul quale appoggiare le terga facendo leva sulle debolezze altrui.C’è qualcosa di tardo-democristiano, da convergenze parallele, nella composizione del presepe e nelle giravolte programmatiche della presidente. In Italia conosciamo bene la materia, riassumibile con tre frasi celebri: «Non so dove capito, può darsi pure in quarta fila. L’importante è sedersi, non perdere mai la sedia» (Clemente Mastella), «Capotavola è dove mi siedo io» (Massimo D’Alema). Quello di Von der Leyen è stato un capolavoro politico degno del miglior Giulio Andreotti, secondo la regola aurea del «meglio tirare a campare che tirare le cuoia».Dopo una legislatura disastrosa in cui le ha sbagliate tutte sposando il fanatismo green, consegnando l’automotive del futuro alla Cina, tentando di impoverire mezza Europa con leggi surreali sulle abitazioni, seguendo passivamente Joe Biden nella guerra in Ucraina, è riuscita a farsi ricandidare dal Ppe (che le aveva votato contro in più di un’occasione), è riuscita a farsi rieleggere. E ha costruito un’architettura operativa che avrà il compito di rimediare ai suoi danni. Un tappo di sughero, una briccola veneziana, la regina del galleggiamento. Se questa non è genialità.Quando Mario Draghi tuona fra gli applausi dei media mainstream che «o l’Europa cambia o muore», sta parlando di lei. Ma a lady Ursula non interessa perché da lì, per altri cinque anni, non la sposta più nessuno. Al Parlamento europeo esiste la nobile pratica della sfiducia? No, quindi Von der Leyen lascia parlare. Ululati alla luna. Nel momento peggiore è riuscita a superare indenne anche lo scandalo Pfizer che stava per costarle la ricandidatura, si è chiusa a testuggine, ha fatto catenaccio. E in contropiede ha beffato tutti.Ha vinto lei capitalizzando al massimo le debolezze dei Paesi guida, delle locomotive asfittiche Francia e Germania. Ha vinto e si è permessa di sconfessare platealmente i desiderata di Emmanuel Macron, mandando a casa Thierry Breton che tre mesi fa voleva farle le scarpe. Ha vinto e ha subito passeggiato sulla socialdemocrazia di Olaf Scholz al tramonto, indebolita dal disastro economico. Ha stracciato i desiderata del Bundestag secondo il mantra: «A rappresentare Berlino basto io». La baronessa è riuscita nel capolavoro enfatizzando il ruolo della pattuglia spagnola, debole a Madrid e facile da controllare a Bruxelles, e chiamando a sé Giorgia Meloni anche se le aveva votato contro. Non poteva marginalizzare l’unica leader con un consenso forte nel proprio Paese, e nonostante le pressioni piddine non lo ha fatto. Ha costruito la fortezza inespugnabile sulle sue fragilità, consapevole che quelle altrui sono più grandi. Mai l’etilico Jean Claude Juncker e il mellifluo José Barroso avrebbero potuto smarcarsi così facilmente dai diktat di Nicolas Sarkozy, François Hollande, Angela Merkel senza pagare pegno. Oggi la mefistofelica Von der Leyen ha paradossalmente più potere che durante il primo mandato. E quando apre ai carburanti sintetici in parallelo all’elettrico o sottolinea che «il Green deal non è più in cima alle nostre priorità, prima arrivano sicurezza e competitività», conferma che il clima a Bruxelles sta cambiando in tutti i sensi. Si sente odore di frenata anche nella nomina del commissario alla «crescita pulita», l’olandese Wopke Hoekstra, conservatore liberale, ex consulente della compagnia petrolifera Shell, lontano anniluce dalle utopie socialisteggianti di Frans Timmermans. Gli altri passano e lei resta, galleggiando sui marosi come una boa cotonata color pastello. E poiché «gronda bontà da tutti gli artigli» - così venne definito con un’immagine icastica Romano Prodi - prepara altre vendette. La prima contro il belga Charles Michel (presidente uscente del Consiglio europeo) che quel giorno fece la sfinge mentre Erdogan la relegava sul sofà turco. Nei corridoi del Parlamento si percepiscono fremiti e veleni, francesi e tedeschi hanno la gastrite, socialisti e verdi fumano dalle orecchie. Anche la numero uno dell’assise Roberta Metsola è sulle barricate. Von der Leyen se ne infischia, ora deve «indirizzare» le votazioni ed è più carica della batteria di una Tesla. Con la politica dei due forni li ha glassati tutti. Ursula sconfessa Ursula, ma la poltrona è garantita. Chi ha visto all’opera Matteo Renzi o Giuseppe Conte non dovrebbe stupirsi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)