2024-02-24
La Francia vuole già l’Unione bancaria purché parli francese. Berlino di traverso
Bruno Le Maire: «Iniziamo con chi ci sta». Christian Lindner: «No, solo uniti». Per Intesa e Unicredit significa stare all’erta per le fusioni.«Lancio l’appello per un’Unione dei mercati dei capitali volontaria. Se è impossibile partire a Ventisette, iniziamo subito con una supervisione europea volontaria, prodotti di risparmio volontari, e titoli volontari per gli Stati e le banche lo vogliono». Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ieri si è presentato alla riunione informale dell’Ecofin a Ghent con in tasca tre proposte. «In primo luogo, la vigilanza europea volontaria che potrebbe essere esercitata dall’Autorità europea dei mercati finanziari. Invito quindi le banche, le borse e i gestori dei fondi ad aderire a questa supervisione volontaria che potrebbe essere esercitata dall’Autorità europea dei mercati finanziari», ha spiegato. «La seconda proposta è di creare nel 2024 un prodotto di risparmio europeo con gli Stati che lo desiderano». Terza proposta: «Mettiamo a disposizione una garanzia per la cartolarizzazione in modo che i titoli smettano di pesare sui bilanci delle banche e che le banche possano quindi prestare di più ai privati e prestare di più alle imprese», ha evidenziato Le Maire. Ricordando anche che gli europei risparmiano «35.000 miliardi» e un terzo di questo risparmio, più di 10.000 miliardi, è depositato nei conti bancari. «Il denaro degli europei», ha spiegato, «non deve dormire e se ci saranno 34 Paesi a sostenere l’iniziativa, sarà già una buona base». La Francia mette dunque il cappello sull’Unione monetaria cercando lo «strappo» di un gruppo di Stati che possano staccarsi dal resto e integrare maggiormente i propri mercati finanziari. Del resto, Parigi da tempo è in corsa per attirare i colossi finanziari che hanno lasciato Londra dopo la Brexit con l’ambizione di diventare il nuovo epicentro finanziario in concorrenza con la piazza di Francoforte. E in questa sfida ha cercato la sponda dei les amis italiens. Tanto che il dossier dell’Unione bancaria è finito nel trattato del Quirinale firmato con il nostro Paese.La fuga in avanti di Le Maire ha raccolto le prime reazioni a dire il vero, piuttosto fredde. Per Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, «il lavoro che l’Eurogruppo, sotto la guida di Paschal Donohoe, sta facendo in questi mesi è molto importante per cercare di essere allo stesso tempo ambiziosi e trovare un accordo comune. Quindi faccio appello a tutti gli Stati membri, che hanno le loro idee, a convergere perché è assolutamente importante che l’Eurogruppo decida un’agenda comune entro marzo». Più secco il commento del ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner. «Condivido l’ambizione del mio amico Le Maire però io sono non per un’Unione dei mercati capitali a più velocità, ma per un’Unione alla massima velocità in cui si procede insieme». A Berlino sono rimasti spiazzati dal fatto che «l’amico» francese abbia giocato d’anticipo. Ed è comunque chiaro che i tempi per completare il progetto dell’unione del mercato dei capitali lanciato nel 2015 sono ormai maturi. Lo hanno capito in Borsa - dove i titoli bancari si sono riaccesi di recente - e soprattutto lo chiedono i vertici delle big del credito. Come Intesa Sanpaolo: lo scorso 6 febbraio, durante la conferenza stampa sulla presentazione dei conti, l’ad Carlo Messina aveva citato proprio l’unione bancaria che stenta ancora a decollare. Sottolineando anche che «se Jp Morgan vale come capitalizzazione di mercato la somma di tutte le principali banche europee è chiaro che l’Europa difficilmente potrà avere un peso specifico, quindi c’è la necessità assoluta di accelerare. Mi sembra però che ci sia una capacità di incartarsi su tanti di quei particolari localismi di ogni Paese che sarà difficile immaginare che questo accada nel breve termine e questo è un grosso problema, per l’Europa e per la governance complessiva perché se vuoi avere un ministro dell’economia europeo devi aver fatto l’unione bancaria. Credo sia l’unica strada per poter realmente essere un player che conta nel mondo», aveva proseguito il banchiere di Intesa.A tenere i radar bene accesi sulle mosse verso l’Unione bancaria è anche il timoniere dell’altra grande banca italiana, Unicredit. A Davos, lo scorso 17 gennaio, l’ad Andrea Orcel si era detto convinto che la «danza delle fusioni» andrà avanti ancora a lungo senza che nessuno faccia una mossa. Ma aveva anche sottolineato che l’Europa ha molto bisogno di fusioni, «perché le banche siano più forti per proteggere l’economia». Al momento però mancano due cose, aveva specificato. «La prima è l’Unione bancaria europea senza la quale diventa piuttosto difficile se non impossibile qualsiasi operazione transfrontaliera». Il secondo aspetto riguarda le «valutazioni che non sono in linea con i fondamentali delle banche». Dopo l'assemblea del 12 aprile Unicredit intanto chiarirà che cosa intende fare con i 12 miliardi di capitale in eccesso, ovvero se procedere con un’altra distribuzione agli azionisti oppure con un’acquisizione. Quale modello di unione bancaria verrà più apprezzato, quello francese oppure quello tedesco? Vedremo. Di certo, anche i singoli governi dovranno iniziare a ragionare sugli effetti di un risiko transfrontaliero sugli equilibri geofinanziari. Senza dimenticare che il consolidamento del sistema finanziario è partito dalle società di risparmio gestito. Il cosiddetto asset management, settore in cui i big italiani sono pionieri e dove sono custoditi miliardi di titoli di Stato e soprattutto i nostri risparmi.