Deutsche Bank si sfila dalla corsa a Commerz mentre Bce e stampa attaccano l’arroccamento di Berlino. Che sull’auto incassa un duro avvertimento da Donald Trump: «Se vinco venite a produrre qui oppure dazi al 200%».
Deutsche Bank si sfila dalla corsa a Commerz mentre Bce e stampa attaccano l’arroccamento di Berlino. Che sull’auto incassa un duro avvertimento da Donald Trump: «Se vinco venite a produrre qui oppure dazi al 200%».«Quello di Unicredit in Commerzbank è, a oggi, “solo” un investimento e ben proficuo. Nient’altro. Certo, al momento siamo un azionista rilevante, un azionista strategico ma resta un investimento e tutti gli scenari sono aperti». L’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, ha parlato ieri alla Ceo conference di Bank of America senza corse in avanti, per non andare allo scontro con il governo di Berlino. Orcel sa che serve il placet di tutti gli stakeholder, i portatori di interesse, ma sa anche di avere dalla sua parte le autorità europee, a cominciare dalla Bce che da tempo invoca il consolidamento bancario.Sei componenti del consiglio direttivo della Banca centrale, scrive Reuters, si sono detti generalmente a favore di un’aggregazione tra Unicredit e Commerzbank e hanno espresso «frustrazione» per l’atteggiamento della Germania, che sarebbe contrario ai principi dell’integrazione europea. Non a caso il banchiere ieri ha sottolineato che la mossa «è un test per l’Europa».A inizio del mese, ricordiamolo, Unicredit ha annunciato di detenere il 9% in Commerzbank, con metà della quota ceduta dal governo tedesco. Nei giorni scorsi, poi, ha aumentato la propria partecipazione potenziale al 21% attraverso dei derivati e ha presentato una richiesta per salire fino al 29,9%. Ieri Orcel ha illustrato le tre opzioni che ci sono sul tavolo. «Possiamo restare dove siamo e, si spera, possiamo aiutare Commerzbank a estrarre quel valore cristallizzato che ha al suo interno, come accadde con Hvb. Crediamo di poterlo fare e velocemente, dall’interno come dall’estero». In questo viaggio, però, «potremo anche trovare un modo per unirci e creare qualcosa di ancora più grande». Ma, ricorda l’ad, per una fusione «entrambe le parti devono volerlo. Non ne abbiamo bisogno», anche se «crediamo che porterebbe molto valore aggiunto a entrambe le banche, ai clienti e alla Germania e crediamo che sia anche un buon test per l’Europa. Però non sottovalutate la nostra disciplina: abbiamo davvero bisogno di farlo o saremo costretti a farlo a termini che per noi non hanno senso? Assolutamente no». Infine, c’è un terzo scenario. «Se le cose non funzionano, possiamo sempre vendere. Abbiamo impiegato del capitale che avevamo tenuto da parte per» ulteriori distribuzioni ai soci «e lo abbiamo investito cercando di fare qualcosa di grande. Se, però, non funziona, lo rimettiamo dove lo abbiamo preso, si spera con qualche aggiunta, e lo ridistribuiamo ai soci».Al momento, chiarisce Orcel, «tutti gli scenari sono aperti e non ce n’è uno che predomina». Inoltre, in qualunque scenario, «non chiederemo posti nel cda della banca» perché «in generale non credo che gli investitori dovrebbero avere un posto in consiglio e, nel caso specifico di Commerzbank, penso che sarebbe inappropriato, visto che siamo anche dei concorrenti».Basterà per tranquillizzare Olaf Scholz che, nei giorni scorsi, ha parlato di «attacco ostile»? Vedremo. Ieri il segretario di Stato alle Finanze, Florian Toncar, ha detto di stare «valutando come trovare una soluzione che sia buona per Commerzbank e molto buona per il governo federale». Mentre il portavoce del governo, Steffen Hebestreit, in una conferenza stampa ha precisato che «il governo federale è azionista di Commerzbank», che ha un consiglio «che decide come agire. Non siamo attori, non ci sono considerazioni ulteriori su come impedire» un’acquisizione di Unicredit, «spetta agli attori del mercato dei capitali». Poi ha sottolineato che «è diritto della Repubblica federale di Germania, come azionista, di prendere una posizione chiara su questo» perché Commerzbank «è una banca molto importante per l’economia tedesca».Intanto Orcel ha parzialmente smentito la versione di chi sostiene che il team di Unicredit non avesse pre informato l’esecutivo tedesco delle sue intenzioni, ma solo quello italiano. «Abbiamo parlato ripetutamente con molti stakeholder di Commerzbank e quindi, quando siamo stati invitati a comprare una quota del 4,5%, abbiamo ritenuto che fosse una conseguenza normale di quel processo». Anche le fonti interpellate dall’agenzia Bloomberg riferiscono che i vertici dell’istituto di piazza Gae Aulenti avevano discusso con ufficiali del governo tedesco dei suoi piani di costruire una partecipazione in Commerzbank prima della vendita di azioni eseguita da Berlino.Le comunicazioni fra Unicredit e il governo tedesco di questo mese si aggiungono, peraltro, a meeting per sondare il terreno che si sono tenuti nello scorso anno fra Orcel stesso e ufficiali della cancelleria e del ministero delle Finanze tedeschi, in parte anche facilitati da diplomatici italiani. Del resto, Berlino deve uscire dal capitale del «Montepaschi tedesco». E proprio ieri l’altra big, Deutsche Bank, si è sfilata da un’eventuale partita: «Penso che abbiamo ancora del lavoro da fare prima di essere veramente posizionati per partecipare al consolidamento», ha dichiarato il direttore finanziario, James von Moltke.Dalla parte di Orcel si schierano, nel frattempo, i quotidiani tedeschi (dopo l’Handelsblatt anche la Faz ieri ha pubblicato un editoriale in cui si sottolinea che «Unicredit non merita alcuna recinzione di confine da parte dei politici») e gli azionisti di Commerz come il gigante Usa, Blackrock, che ne possiede il 7,2% (ma è anche il primo socio di Unicredit con il 6,4% del capitale). Gli americani sanno che Orcel, negli ultimi 14 trimestri, ha registrato utili record remunerando gli azionisti ben oltre le loro attese. Cash is always the king, anche a costo di far arrabbiare Berlino.
Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».






