2023-02-25
Una città in guerra che non si sente in guerra
Kiev, 24 febbraio 2023 (Niccolò Celesti)
Kiev ha trascorso in modo quasi apatico l’anniversario dell’attacco russo: «È una data importante solo per la stampa». Ma le tante bandierine con i nomi dei caduti, che aumentano ogni giorno, ricordano che il conflitto è tutt’altro che concluso.L'articolo contiene un reportage fotografico.Niccolò Celesti da KievA Kiev c’è una leggera coltre bianca che rende la città più spettrale del solito, già dalla mezzanotte tutti stavano con le orecchie dritte per sentire gli allarmi antiaereo, il sibilo di un missile, le sirene delle ambulanze e dei vigili del fuoco. Invece, per fortuna, niente. La notte è scorsa tranquilla, la città si è risvegliata con la voglia di normalità, la stessa del giorno prima, il 23 febbraio, una bella giornata di sole che ha mostrato una città viva, piena di persone, di negozi aperti e traffico per le strade. Siamo venuti a Podil, il quartiere artistico della città, i caffè sono aperti e i ragazzi fanno colazione e parlano come se oggi non fosse l’anniversario dell’invasione russa. «Non è una data da ricordare, lo è per la stampa e per la storia ma per noi non deve essere una data da appuntare nel calendario», risponde una ragazza che fa colazione con il fidanzato quando le chiediamo che sensazione senta oggi a stare fuori. Fuori, per le strade, in tanti sembrano sfidare la sorte, forse solo il vento e la mancanza di sole ha ridotto le persone in strada rispetto agli altri giorni. Facciamo quindi i turisti, e dribbliamo i tanti rider che effettuano le consegne negli uffici del centro città, le persone che guardano le bancarelle di numismatica nella famosa strada Andriivsky, chi porta il cane a passeggio o ha i sacchetti di un noto negozio di alta moda.Solo i cavalli di Frisia posizionati sui marciapiedi o al lato delle strade dove prima c’erano i tanti posti di blocco e alcuni edifici governativi con i sacchetti di sabbia alle finestre ti ricordano che questo è un Paese in guerra. Da Podil camminiamo quindi verso la collina che ospita il grande arco che fu costruito nel 1982 per onorare l’amicizia tra Russia e Ucraina, lo stesso arco su cui nel 2014 fu dipinta una crepa proprio a dimostrazione della rottura dell’amicizia tra i due Paesi. E che recentemente ha cambiato nome in «Arco della libertà del popolo ucraino». Sul vicino ponte pedonale di vetro che i russi provarono a bombardare con un missile andato di poco lontano, tante coppie passeggiano abbracciate guardando il fiume Dnipro.Continuiamo questa «visita turistica” verso il centro, dove tutto cominciò nell’ultima rivoluzione del 2014 e dove gli studenti che protestavano inpiazza Maidan contro il presidente Yanukovic furono presi a fucilate dai cecchini della polizia speciale Berkut.Un altro forte segnale del significato di questa giornata ce lo da una coppia di ragazzine dentro l’affollato, grande Mc Donald’s a due passi da piazza Maidan. Avvolte nella bandiera Ucraina, ordinando il loro pranzo dopo aver passeggiato nel centro città con l’intento di ricordare a tutti questa data così tristemente famosa in Ucraina. Nella famosa piazza invece le bandierine con il nome di ognuno dei civili e militari caduti nell’ultimo anno aumenta di giorno in giorno. Alcuni militari raccolgono fondi, una signora chiede un’offerta per offrire i braccialetti con i colori della bandiera, molti giornalisti fanno le solite riprese della piazza e i collegamenti con le televisioni di tutto il mondo, forse un poco delusi dalla tranquillità della giornata. L’hotel Kozatskiy sull’altro lato di piazza Maidan è ancora una volta pieno di giornalisti che possono quest’anno godere dei tanti ristoranti aperti e di una città irriconoscibile in meglio. Più su invece c’è la famosa piazza Mykhailivs’ka dove sono in esposizione i mezzi russi distrutti durante l’assedio della città e che sono un costante monito alla popolazione per ricordare che a Est la guerra continua, i cittadini di Kiev sono consapevoli che quella vissuta dalla città, non è la normalità del Paese. Incontriamo un signore vestito con la maschera di Putin e adornato da emblemi nazisti che si fa fotografare davanti ai carri russi distrutti, una provocazione agli invasori ma che comunque non piace ad alcuni poliziotti che controllano i documenti dell’uomo. Poco più in là, un giornalista attende la sua diretta, un altro collega immortala i resti arrugginiti esposti. Infine incontriamo un gruppo di ragazzine che festeggiano il compleanno, e orgogliosamente ci dicono di non avere nessuna paura a stare fuori. Abbiamo anche il tempo di passare a fare shopping in uno dei tanti centri commerciali presenti in città, l’aver dimenticato il cappello in Italia ci fa scoprire anche queste gallerie sotterranee dove molti si sentono più protetti a fare acquisti. All’uscita invece un gruppetto di ragazzine con un cartello di cartone con su scritto «osare riscaldarsi» prendono ordini per produrre le candele fatte a mano con cui i soldati si riscaldano in trincea. Nei giardini vicini, nelle strade di tutta la città, la vita va avanti normalmente. Ormai inizia a far buio, neanche una sirena è suonata, nessuno ne parla ma dentro di sé ognuno si chiede il perché di tanta tranquillità. Forse il lavoro della contraerea intorno alla città è stato particolarmente buono? Forse i russi hanno mancanza di missili a lungo raggio? Forse, non si sa, fatto sta che fino al tardo pomeriggio di ieri Kiev ha vissuto finalmente una giornata che lascia un po’ di speranza per il futuro.
Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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