2023-09-27
Una bimba vuole mamma e papà. Per la stampa e i social è fascismo
Marea di polemiche per lo spot di Esselunga, in cui una bimba tenta di far riconciliare i genitori separati: «Inno alla famiglia tradizionale, meloniano». Quello della Braun, col trans che si rade la barba, va bene?L’ex parroco di Rozzano molestò un quindicenne: il reato contestato è stato attenuato per la denuncia tardiva. Ma i parenti avvisarono la curia e l’attuale vescovo di Milano. Lo speciale contiene due articoli.Spot numero uno: mamma e figlia fanno spesa all’Esselunga. La piccina si allontana. Sua madre la cerca, preoccupata, tra i reparti; alla fine, la trova davanti a un cesto di pesche. Ne ha una in mano. «Vuoi una pesca? Va bene, prendiamo una pesca, ma non devi farlo mai più», la rimprovera. Qualche scena più avanti, il papà citofona a casa. È il marito separato che viene a prende la bambina. Attraverso la finestra, c’è uno scambio di sguardi algidi tra gli ex coniugi. Ma salita in auto, la bimba compie un gesto dolcissimo: porge la pesca al padre e gli dice che gliela manda la mamma. Lui comprende che è l’ingenuo e incantevole tentativo della figlioletta per far riappacificare i genitori. E le promette: «Dopo la chiamo per ringraziarla». Ed ecco il motto del cortometraggio, realizzato, per la catena di supermercati, dall’agenzia Small di New York: «Non c’è una spesa che non sia importante».Spot numero due: nella pubblicità del suo rasoio Serie X, la Braun inserisce una modella trans che si taglia la barba, con tanto di segni della mastectomia, cui si è sottoposta per diventare uomo.Perché le sinossi? Perché la campagna di Esselunga ha sollevato un vespaio. La Stampa l’ha incasellata subito: «Tradizionalista». Secondo Today, «è il trionfo della famiglia tradizionale che piace a Meloni». Retrogusto di fascismo, più che di frutta. Io Donna, sul sito, ricostruisce la polemica social, tappezzando la pagina di riferimenti ad altri pezzi: «Barbara Boboulova: “La famiglia tradizionale non è più l’unica opzione”»; «Papa Francesco ai cattolici Lgbtqi+: “Dio è Padre e non rinnega nessuno dei suoi figli”». Gli utenti delle piattaforme online si dividono. In tanti giudicano lo spot «toccante». Ma parecchi sono indignati: «Lancia un messaggio sbagliato sul divorzio», «Io sono separata e spero che i miei figli non lo vedano mai». C’è chi sostiene che il mini sceneggiato intenda «strumentalizzare» le emozioni di una bambina, per celebrare la vituperata famiglia tradizionale.Insomma, nel mondo alla rovescia, quello della suscettibilità universale, è diventato un problema ricamare su una situazione innocente, financo scontata: quella di un figlio piccolo, il quale desidera rivedere insieme i suoi genitori. Ovvio: non sempre la riconciliazione è possibile. Qualche volta, addirittura, non è auspicabile. E in effetti, la pubblicità di Esselunga non allude alla ricostituzione del nucleo familiare. Che certe cose rotte non si possano riparare, però, non significa che il racconto del dolore per le rotture debba essere interpretato come un manifesto ultraconservatore.A essere onesti, pure lo spot di Braun, andato in onda sulle reti anglosassoni, è stato criticato. Ma solo dalle associazioni che si battono contro l’ideologia di genere. Ad esempio, Sex matters, un’organizzazione di attivisti, afferma che ha violato le linee guida contro la spettacolarizzazione degli interventi estetici. La direttrice esecutiva, Maya Forstater, l’ha demolito: «Immorale in una maniera scioccante». Tuttavia, certe trovate hanno dalla loro il puntello dei media e del potere. Piacciono alla gente che piace. Magari non aprono nuovi sbocchi di mercato: è lecito dubitare che i profitti di un venditore di rasoi elettrici si moltiplichino grazie ai trans female to male. In ogni caso, tengono al riparo le aziende dalle crociate arcobaleno. Tipo quella che investì la Barilla - indotta a rimangiarsi in fretta e furia il rifiuto di immortalare coniugi gay - e che ora rischia di travolgere Esselunga.È lo specchio del baratro culturale in cui siamo piombati. Una deriva agghiacciante, in cui la politica, nella sua versione più polarizzata, fagocita ogni altra dimensione umana: l’etica, la società, l’estetica, le relazioni interpersonali. Fino a qualche anno fa, mettere in scena un bambino che sogna di riavere mamma e papà uniti sarebbe rientrato nella categoria del dramma; adesso, è un atto ideologico. Che innesca altrettante reazioni ideologiche. Così si ribalta pure il concetto di normalità. In fondo, qual è lo scopo di uno spot? Entrare nell’immaginario, facendo leva su situazioni, circostanze e sentimenti quotidiani. E Dio solo sa - lo sa pure l’Istat, anzi - quante persone, quanti adulti e quanti ragazzini, coinvolga il naufragio del matrimonio. Di sicuro, si tratta di un fenomeno ben più pervasivo della routine mattutina di una transgender. Ammettiamolo, almeno su basi statistiche: una bimba alla quale manca la famiglia unita è normale; una donna che va dal chirurgo per diventare uomo e si fa la barba allo specchio, no.Certo, le compagnie che corteggiano le bizzarrie woke non devono fare i conti soltanto con i talebani arcobaleno. Quando esagerano, si ribellano i consumatori. Quelli «normali». È successo alla Bud light, che ha affidato la réclame della birra più popolare nell’America rurale a una drag queen. Un disastro d’immagine e commerciale. Un autogol clamoroso. Quanto alla bimba e alla pesca, rimane una mesta constatazione: viviamo in un’epoca in cui è controverso persino rappresentare l’attaccamento di un figlio a mamma e papà sotto lo stesso tetto. Un’epoca che ha messo il buon senso alla sbarra. Poi dice che il libro di Vannacci diventa un bestseller…<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/una-bimba-vuole-mamma-papa-2665741809.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tre-anni-a-don-galli-prete-abusatore" data-post-id="2665741809" data-published-at="1695812923" data-use-pagination="False"> Tre anni a don Galli, prete abusatore Dodici anni per restituire un orizzonte di pace a una famiglia distrutta. Tanto è durata la vicenda di abusi che si è conclusa ieri in corte d’Appello bis a Milano (al quarto procedimento), con alla sbarra don Mauro Galli, ex parroco di Rozzano già condannato in passato a cinque anni e sei mesi. Il risultato processuale è il patteggiamento dell’imputato a tre anni, deadline che gli consente di non andare in carcere ma di scontare la pena con «detenzione domiciliare» in un istituto ecclesiastico lombardo. Il reato è stato riqualificato da violenza sessuale ad atti sessuali con minorenne, con «abuso della situazione di cura e affidamento». Infatti il sacerdote aveva in consegna l’allora quindicenne parrocchiano e gli propose di «dormire nel lettone» con lui. La difesa, sostenuta dal legale dell’Arcidiocesi professor Mario Zanchetti, ha puntato sul risarcimento del danno (la vittima e la famiglia non si sono costituiti parte civile) e sul «tardivo disvelamento della presunta violenza», avvenuto due anni dopo perché la famiglia - molto cattolica - ha chiesto invano, a più riprese, alla curia di prendere posizione e di assumersi responsabilità prima di denunciare in proprio i fatti ai carabinieri.In realtà le carte processuali sottolineano che la prima denuncia degli abusi alla diocesi di Milano era avvenuta due giorni dopo la vicenda (quindi subito); che la vittima non ha mai cambiato versione; che la famiglia ha chiesto il sostegno della Chiesa. In questo senso esistono ampi carteggi con il cardinale Angelo Scola e con il Vaticano. Nella storia ha una parte non secondaria anche l’attuale arcivescovo Mario Delpini, che al tempo era vicario episcopale e invece di aprire un’indagine previa - arrivata solo quattro anni dopo i fatti - si limitò a spostare nell’immediato il sacerdote in un’altra parrocchia (a Legnano), sempre a contatto con adolescenti. Lui sapeva, era stato informato da don Carlo Mantegazza al quale la vittima aveva segnalato subito i presunti abusi; a questo proposito esiste un verbale di polizia firmato da monsignor Delpini e acquisito nel dibattimento. Un atteggiamento che secondo i canoni di papa Francesco, messi nero su bianco nel motu proprio «Vos estis lux mundi», oggi sarebbe da considerarsi omissivo, quindi da condannare.Su questo punto la famiglia della vittima non intende arrendersi. Nel libro che ripercorre gli angosciosi anni, scritto dalla madre del ragazzo e dal titolo eloquente Chiesa, perché mi fai male?, c’è un passaggio che non ammette dubbi: «La famiglia, che continua a professarsi cattolica e praticante, vuole che il Pontefice mantenga le promesse rimuovendo l’arcivescovo e sottoponendolo a processo ecclesiastico». La richiesta prende spunto dalla lettera apostolica del Santo Padre pubblicata nel 2019, comprensiva di 19 articoli, fra i quali spicca quello relativo all’omissione da parte di vescovi e cardinali, «per i quali su questi casi non c’è immunità». Se il processo in nome del popolo italiano si conclude definitivamente qui, il patteggiamento (tecnicamente un concordato) lascia inalterati forti dubbi anche sull’esito del processo canonico, che due anni fa aveva mandato assolto don Galli con formula dimissoria (non constat) per «mancanza di certezza morale sulla colpevolezza», praticamente per insufficienza di prove. Tre anni; ora le responsabilità morali sono acclarate. Poiché non c’è prescrizione, in caso di riapertura del fascicolo il sacerdote rischierebbe la riduzione allo stato laicale.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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