2020-11-05
Ma i terroristi continuano a sbarcare
Marouan Elkroumi, nipote del capo di una cellula in Francia, sbarcato a Lampedusa. Paura nell'isola: ci sono 1.300 clandestini.La Slovacchia avvertì che Kujtim Fejzulai, il killer di Vienna, si era introdotto nel Paese in cerca di armamenti, ma gli austriaci non si sono mossi. E ora ammettono: «Qualcosa è andato storto».Lo speciale contiene due articoli.Il secondo tunisino che in pochi giorni ha messo in imbarazzo il Viminale è il nipote di un terrorista arrestato in Francia nel 2016 perché sospettato di essere a capo di una cellula jihadista che progettava attentati. Come Brahim Aouissaoui, il tagliagole di Nizza, anche Marouan Elkroumi, 35 anni, è approdato con un barchino a Lampedusa. Al contrario del connazionale che è riuscito a raggiungere indisturbato la Francia, però, il secondo tunisino, avendo un cognome ingombrante e noto all'intelligence, è stato segnalato come «soggetto pericoloso» alla Direzione centrale anticrimine della polizia di Stato. Il questore di Palermo, dopo aver ricevuto una relazione dettagliata dalla Digos agrigentina contenente la segnalazione dell'Aisi (il servizio segreto che si occupa di minaccia interna) e gli ulteriori accertamenti svolti dalla polizia, ha firmato un decreto di espulsione. Elkroumi è stato rimpatriato con un volo diretto Palermo-Tunisi.Aveva messo piede a Lampedusa, per la seconda volta nella sua vita, il 18 ottobre scorso con altri 16 tunisini. Al momento dell'identificazione è risultato già respinto nel 2017 e destinatario di un provvedimento - inserito dalle autorità francesi - di inammissibilità nell'area Schengen. Insieme allo zio Imed Hamouda, indicato dall'antiterrorismo d'Oltralpe come jihadista, stando a quanto ha segnalato dall'Aisi, avrebbe soggiornato in Italia già dal 2008 al 2015, facendo ingresso sempre dalla Sicilia. Ora, oltre a ricostruire gli spostamenti dei due sul territorio nazionale, bisognerà accertare cosa abbia riportato Elkroumi in Italia, risalire alla sua cerchia relazionale e verificare se era ancora in contatto con lo zio in Francia. Insieme all'inchiesta antiterrorismo, affidata allo Sco, il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, è scattato anche un accertamento amministrativo, in quanto immigrato irregolare sul territorio nazionale. Il tunisino è stato portato in Questura a Palermo nella giornata di sabato, subito dopo la segnalazione degli 007. Ma l'espulsione, comunica il Viminale (che per la delicatezza della situazione ha accentrato tutta la comunicazione sul caso), è stata eseguita ieri. Si tratta del quarantatreesimo immigrato allontanato per motivi di sicurezza nazionale nel 2020 (dal 2015, l'anno in cui è stata introdotta la misura, ne sono stati espulsi complessivamente 504). Anche per il giovane che ha ospitato ad Alcamo Aouissaoui, un tunisino che lavorava come dipendente in un ristorante etnico, si profila l'espulsione. È stato mandato nel centro per il rimpatrio di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), in quanto la sua posizione si è rivelata irregolare. Interrogato dai magistrati di Palermo, ha dichiarato di aver offerto all'amico, che prima di allora non conosceva di persona (tanto da essere stato costretto a farsi mandare una foto di Aouissaoui dalla Tunisia), solo un posto in cui dormire. «Nei confronti dell'attentatore di Nizza non erano mai emersi, neanche da parte delle autorità tunisine, sotto il profilo della sicurezza, elementi che ne facessero desumere la sua radicalizzazione o la sua vicinanza ad ambienti del jihadismo», si è difeso ieri il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese durante il question time alla Camera. Non ha spiegato, però, come intenda intervenire per contrastare gli arrivi di clandestini potenzialmente pericolosi come gli ultimi due jihadisti. D'altra parte, i 268 immigrati arrestati nel corso del 2020 per motivi legati al fanatismo religioso la dicono lunga su quanto siano pericolosi gli ingressi incontrollati. Che sembrano non fermarsi. Dalla mezzanotte di martedì sono arrivati a Lampedusa altri 114 africani a bordo di tre imbarcazioni. Prima è stato soccorso un barchino con 10 tunisini a bordo, poi un altro con 85 persone di varia nazionalità e, infine, all'alba, è stata agganciata un'altra imbarcazione che trasportava 19 persone. Sono finiti tutti nell'hotspot dell'isoletta, dove si è arrivati già a quota 1.300 presenze, a fronte di una capienza massima che sulla carta sarebbe di 192 ospiti. Un centinaio di migranti, poi, sono stati salvati nel corso della mattinata dalla Guardia di finanza: un gommone stava per affondare davanti alla banchina del porto lampedusano dopo aver urtato contro uno scoglio. A bordo c'erano anche donne e bambini. Martedì, dopo l'approdo di 16 imbarcazioni con altri 847 extracomunitari, sono stati trasferiti solo 77 ospiti del centro, imbarcati sulla nave quarantena Allegra. «Nel centro di accoglienza la situazione è totalmente fuori controllo», denuncia Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di polizia Coisp, «soprattutto grazie alle modifiche dei decreti sicurezza, che hanno allentato le maglie dei controlli». La situazione a Lampedusa è ancora più difficile della scorsa estate. «Si pensi, ad esempio», aggiunge il sindacalista, «che quest'estate, anche nei momenti più critici, si è arrivati a un massimo di 1.200 persone, ma oggi la situazione è di gran lunga peggiorata». Al controllo della struttura ci sono solo un centinaio di agenti, esposti anche al pericolo di contagio da Covid-19.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/un-tunisino-espulso-per-terrorismo-ma-nessuno-ferma-larrivo-dei-barconi-2648623795.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-killer-di-vienna-si-poteva-bloccare" data-post-id="2648623795" data-published-at="1604575086" data-use-pagination="False"> Il killer di Vienna si poteva bloccare Passato lo choc e il dolore, è il momento degli interrogativi. Di fronte all'attacco terroristico che ha insanguinato Vienna, le autorità austriache sono ora sotto pressione per le varie falle nella catena dei controlli che stanno pian piano emergendo. Oltre alla vicenda grottesca della «deradicalizzazione» di Kujtim Fejzulai, che era riuscito a fingersi pentito e a ingannare le autorità, spuntano ora anche gli allarmi ignorati. Come quello che proveniva dalla Slovacchia. Il Paese confinante aveva infatti avvertito Vienna nei mesi scorsi sul fatto che Fejzulai avesse tentato di acquistare munizioni nel Paese. «La polizia slovacca è stata informata l'estate scorsa che alcuni sospetti provenienti dall'Austria avevano tentato di acquistare munizioni in Slovacchia, senza, però, riuscire nel loro intento», ha scritto su un social network il direttorato della polizia slovacca. L'informazione è stata trasmessa immediatamente alla polizia austriaca, aggiunge il comunicato. Anche se le armi utilizzate dall'attentatore a Vienna (una pistola e un fucile da assalto) non venivano dalla Slovacchia, l'informazione poteva risultare preziosa per attivare un protocollo di prevenzione. E invece non si capisce bene cosa sia successo. «Qualcosa è andato storto nella comunicazione qui», ha dovuto ammettere mestamente il ministro dell'Interno austriaco, Karl Nehammer. Sul fronte delle indagini, ci sono state «numerose perquisizioni domiciliari» e «14 arresti», ha detto Nehammer, spiegando che gli arrestati avevano tra i 18 e i 28 anni, avevano «tutti un background migratorio» ed erano «in parte cittadini non austriaci». Il cancelliere Sebastian Kurz, intanto, dopo aver proclamato tre giorni di lutto nazionale, ha commentato: «Non ci lasceremo intimidire, difenderemo i nostri valori fondamentali, il nostro modello di vita e la nostra democrazia con tutte le nostre forze». Poi ha aggiunto: «Non cadremo nella trappola del terrorismo. Dobbiamo essere coscienti che non c'è una una battaglia fra cristiani e musulmani, o fra l'Austria e i migranti. No. Questa è una lotta fra le molte persone che credono nella pace e alcuni che auspicano la guerra. È una lotta fra civiltà e barbarie. E questa lotta l'affronteremo con ogni determinazione». Intanto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, da molti giudicato fra i responsabili politici della nuova ondata di odio anti europeo che ha travolto molti Paesi musulmani, ha trovato il modo di sfruttare propagandisticamente la situazione, telefonando a Mikail Özen e Recep Tayyip Gültekin, i giovani lottatori turchi di arti marziali miste (Mma) che, insieme a Osama Joda, un palestinese, hanno aiutato i feriti di Vienna. I loro video sui social hanno fatto il giro del mondo e la stampa turca li ha presentati come eroi nazionali. Occasione prontamente colta dal discusso «sultano» di Ankara, che ha trovato il modo per porsi dalla parte dei «buoni» e rilanciare l'immagine dei musulmani solidali e integrati. Una strategia che però sa molto di trovata mediatica, viste le parole di fuoco usate qualche settimana fa da Erdogan per rilanciare la polemica sulle vignette anti Maometto e, più in generale, sul presunto odio anti islamico dominante in Europa.