2018-12-04
Un prete che cancella il presepe può ancora essere chiamato prete?
Don Luca Favarin, sacerdote padovano noto per le battaglie a favore degli immigrati, invita a contestare il decreto Sicurezza rinunciando ad allestire il simbolo stesso della Natività. Di fronte all'ondata di sollevazione sul Web e fra i fedeli, che hanno cominciato a dirgli «sei la vergogna della Chiesa», ha ribadito secco: «Quest'anno il presepe non s'ha da fare».Gesù Bambino? «Chissenefrega». San Giuseppe e la Madonna? «Chissenefrega». L'angelo? La stella cometa? I pastori e i Re Magi? «Chissenefrega e chissenefrega». Finora avevamo visto tanti presepi cancellati per compiacere qualche imam. Ora abbiamo il primo presepe cancellato per volontà di un prete. Poi dite che non si fanno passi avanti nel rispetto della nostra fede. Non è vero. Di negazione in negazione infatti siamo arrivati al sacerdote che dice: in nome del Signore, «chissenefrega» del Signore che nasce. Non male come preparazione del Natale, non vi pare?Don Chissenefrega è un prete di Padova, al secolo don Luca Favarin, già noto per le sue battaglie a favore degli immigrati, fondatore di un'associazione che gestisce nove comunità e ospita circa 140 ragazzi africani. Il fatto è che di cotanta offesa a Gesù Bambino lui ne va pure orgoglioso: prima l'ha scritta su Facebook, poi è andato a radio Padova a ribadirla. Quindi, di fronte all'ondata di sollevazione sul Web e fra i fedeli, che hanno cominciato a dirgli «sei la vergogna della Chiesa», ha ribadito secco: «Quest'anno il presepe non s'ha da fare». Per la Santa Messa di mezzanotte ci sta ancora pensando, ma chissà che al sacerdote rivoluzionario non venga voglia di abolire pure quella. In fondo, chissenefrega, no?Ma sì, glielo comunichi anche al vescovo, al Papa e al resto della Chiesa. Basta con queste abitudini obsolete. Chissenefrega delle tradizioni. Chissenefrega della fede più semplice e genuina. Chissenefrega dei riti che da sempre legano la storia millenaria dei cristiani con le proprie radici. È tutto da buttare via, senza pensarci nemmeno un attimo. E perché? Ma ovvio. Non l'avete ancora capito? Perché c'è Matteo Salvini. Il ministro. Il decreto sicurezza. Come si fa a festeggiare il Natale quando c'è il decreto sicurezza? Se vi sembra una domanda stupida è perché non conoscete don Luca Favarin. Detto (da me) don Chissenefrega. Un prete che al posto della tonaca indossa una sciarpa arcobaleno. Cresciuto e ordinato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Compagno. Ci scuserete ma per farvelo conoscere siamo costretti a trascrivere un po' delle sue dichiarazioni che ieri ha rilasciato a fiumi. Dice che «il nuovo decreto sicurezza costringe le persone a dormire per strada, poi però a casa tutti bravi a esibire le statuette accanto alla tavola imbandita, al caldo del termosifone acceso». E quindi «quest'anno non fare il presepe è il più evangelico dei segni». E quindi «non bisogna farlo per rispetto dei poveri». E quindi «un Natale senza il simbolo della Natività è più coerente in questo clima volgare». E quindi «chissenefrega delle quattro statuette, fare digiuno di questi segni ci fa tornare un appetito sociale valoriale di cui tutti abbiamo bisogno…».Devo dire la verità: don Favarin ha detto anche altro, ma arrivato all'«appetito sociale valoriale», non ce l'ho più fatta ad andare avanti. Mi sono arreso. Cercate di capirmi. Passi che questo prete scambi il pulpito della Chiesa per il palco di un comizio (anche se non dovrebbe passare); passi che scambi il valore altissimo dei sacramenti con le bassezza della lotta politica (anche se non dovrebbe passare); passi anche che contravvenga ai dieci comandamenti dicendo il falso («Il nuovo decreto sicurezza costringe le persone a dormire per strada»: ma quando mai?); passi pure la retorica della «tavola imbandita» e del «termosifone acceso» che già in terza elementare la maestra me l'avrebbe segnato con la matita rossa; passi tutto, per l'amor del cielo: ma perché prendersela con le statuette del presepe? Che male gli hanno fatto? Che male possono fare a chiunque? Mi viene un sospetto: che qualcuno, in passato, gli abbia tirato un pastorello in un occhio all'ennesima sua esternazione demenziale? Che gli abbiano sbattuto in testa l'incenso e la mirra dei Re Magi dopo averlo sentito predicare? Altrimenti non si spiega tanta acrimonia, da parte di un prete, nei confronti del simbolo più puro, più bello, più genuino, più ricco di tradizione e nobili sentimenti che l'umanità cristiana abbia partorito. Simbolo che, forse proprio per questo, è già così sotto attacco da parte di una società secolarizzata, indebolita, seccata con i veleni del multiculturalismo e sottomessa dall'islamizzazione progressiva e aggressiva. Perché avere paura del presepe? Perché non battersi, invece, per averne tanti? Perché non chiederne uno in ogni casa, in ogni scuola, in ogni angolo di questa nostra malandata Italia? Come si fa a non capire che è di quello che avremmo bisogno? Come si fa a dire «chissenefrega del Bambino Gesù», per altro continuando a celebrare messa e a proclamarsi sacerdoti?Non vogliamo convincere don Favarin sul decreto sicurezza. Non ce ne importa nulla. Può tenere le idee che vuole. Ma, da prete (se ancora è un prete), deve spiegare a sé stesso, prima ancora che agli altri, come può essere talmente accecato dalla politica da arrivare a volere un «Natale senza il simbolo della Natività». Come si può concepire, pensare, dire e difendere una simile bestemmia. Il Natale è la Natività. E la Chiesa annuncia da sempre i suoi valori più alti attraverso i simboli. Rinunciare ai simboli significa rinunciare alla sostanza, rinunciare alla Natività significa rinunciare al Natale. E tanto più il mondo è volgare, brutto, schifoso, pieno di miserie e di umane debolezze, più noi abbiamo bisogno di inginocchiarci davanti a Gesù che nasce, e che può (solo lui) salvarci. Se don Favarin pensa di poterne fare a meno dica pure «Chissenefrega» fin che vuole. Lo reciti come una litania al posto del Padre Nostro, se crede. Ma prima abbia il buon gusto di levarsi di dosso quella tonaca che non ha mai indossato.
L'infettivologa Chiara Valeriana
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