2024-02-20
Sveglia agli ipocriti e alle anime belle. Un morto nel gulag non piegherà Putin
Vladimir Putin (Getty Images)
L’indignazione per la scomparsa di Aleksej Navalny svanirà presto. Chi fa affari con Mosca non si fermerà, quindi il problema resta.È meglio mettere da parte l’ipocrisia: la morte di Aleksej Navalny non cambierà la situazione in Russia, né cambierà i rapporti che il mondo intrattiene con Vladimir Putin. Chi fin qui ha appoggiato l’Ucraina dopo l’invasione di Mosca continuerà a farlo, ma con sempre minore convinzione, per via della stanchezza dell’opinione pubblica nei confronti di un conflitto che sembra non avere mai fine, e per la cronica mancanza di fondi che rendono impossibile l’acquisto o la produzione di nuove munizioni. L’America è alle prese con un’elezione complicata e gli aiuti in discussione al congresso sono bloccati dai repubblicani, che preferirebbero dirottare quei soldi verso misure anti immigrazione. Quanto all’Europa, ciò che poteva concedere lo ha già concesso e la crisi economica dei Paesi Ue, con la Germania in recessione, non permetterà di dare di più. Per quanto riguarda gli Stati che fino a ieri hanno strizzato l’occhio alla Russia, ignorando le sanzioni imposte dai Paesi occidentali, continueranno a fare affari con Putin come prima e forse più di prima, facendo finta di non sapere che Navalny è morto in un gulag per il solo fatto di essersi opposto allo zar. Del resto, quanti Navalny ci sono nelle loro prigioni? Dunque, la Cina e l’India seguiteranno a comprare petrolio e gas sottobanco, contribuendo a compensare gli acquisti venuti a mancare dopo lo stop europeo. Iran e Corea del Nord proseguiranno ad armare Putin fino ai denti, con missili e droni, mentre Turchia, Armenia e Azerbajan e tanti altri insisteranno a vendere a Mosca ciò che le aziende occidentali non possono più vendere. In Europa ci si consola dicendo che la Russia è isolata e la sua economia sta in piedi solo grazie alle spese militari. Sta di fatto che, nonostante le previsioni, il Paese non è in bancarotta come si pensava e le stime del Fondo monetario internazionale, dopo due anni di guerra, prevedono un rialzo del Pil, che dal 1,1 per cento in più previsto, nel 2024 dovrebbe crescere al 2,4. Se si confrontano queste cifre con quelle dei principali Stati europei, che non riescono ad andare oltre lo 0,9 per cento, si capisce non solo che dopo la morte di Navalny non cambierà niente, perché l’Occidente non ha alcuna possibilità di influire sulla situazione in Russia, ma che la prospettiva con cui noi continuiamo a guardare Mosca è profondamente sbagliata ed è per questo che fatichiamo a capire che cosa sta succedendo.No, la morte del blogger nel gulag artico in cui Putin lo aveva confinato, nonostante le proteste nelle capitali europee e pure di alcune centinaia di russi, non cambierà la situazione e nemmeno farà cadere lo zar che, come previsto, verrà rieletto presidente alle prossime elezioni. Da che cosa mi vengono questa certezza e questo pessimismo? Un po’ dalle notizie che arrivano dall’Ucraina dove, sebbene le informazioni siano filtrate e sottoposte a rigorosa censura dagli stessi ucraini e purtroppo anche da molti media occidentali, si capisce che la guerra è persa, o quasi. Per mesi siamo stati illusi dalla storia della controffensiva e la propaganda di Zelensky su tutti i canali ci ha fatto credere che Kiev non si sarebbe mai arresa. Ma la sproporzione delle forze e una strategia occidentale suicida, che affidava la resistenza al solo sostegno economico e alla presenza di pochi consiglieri militari americani e inglesi, non poteva che portare alla disfatta. E infatti è ciò a cui con distacco, quasi che la faccenda non ci riguardi più, stiamo assistendo.Ma non ci sono solo le notizie dei rovesci registrate dalle forze ucraine e dal malumore che cova sotto la censura imposta da Zelensky. A farmi ritenere che anche Navalny sarà presto dimenticato c’è anche l’esperienza passata. Quando un sicario assassinò nell’androne del suo palazzo Anna Politkovskaja, in Occidente si sollevò un coro di proteste. In campo scesero politici e intellettuali. Si mossero Jaques Chirac e Angela Merkel, promettendo appoggio per individuare gli assassini. Da George W. Bush a José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, tutti insorsero in nome di una paladina della libertà assassinata per la sola colpa di aver fatto il proprio mestiere. Pure in Italia si spesero fiumi di parole. Intervennero i radicali, da Marco Pannella a Marco Boato per finire ad Angelo Bonelli. E sulle pagine del Corriere scese in campo il filosofo André Glucksmann: ma le molte parole spese non servirono a nulla. Prova ne sia che di lì a qualche anno, a pochi mesi dall’invasione della Crimea, Enrico Letta si recò a Sochi a baciare la pantofola dello zar. Il quale nel frattempo era ricevuto con tutti gli onori da tutti. A stringergli le mani non era solo l’amico Berlusconi, come si è soliti ricordare, ma anche Gentiloni e Mattarella, insieme ovviamente a gran parte della classe politica europea che oggi si indigna. Poche settimane dopo la morte di Anna Politkovskaja morì Aleksandr Litvinenko, la spia che aveva oltrepassato la frontiera con i suoi segreti, avvelenato con il polonio. I suoi libri, finanziati da un altro assassinato speciale, Boris Abramovic Berezovskij, sollevarono il velo sulla guerra in Cecenia e su quella che egli definì la gang della Lubyanka. Ma né la sua morte, né quella di Berezovskij o della Politkovskaja, né quella di molti altri oppositori, hanno fatto vacillare il potere di Putin. Dunque, perché dovrebbe succedere con Navalny? Fra un po’, tutti coloro che ora si mostrano commossi lo avranno già dimenticato e quelli che non hanno versato una lacrima perché di Navalny da far fuori ne hanno in casa un certo numero, proseguiranno imperterriti con i loro affari e i loro crimini.