2021-02-27
Un giro di Walser tra le minoranze della cucina italiana
Dalle zuppe alle specialità come il bettelmatt, la Rolls Royce dei formaggi, o il maccagno che piaceva a Quintino Sella. Invece Richard Wagner...L'Italia è un incrocio di contaminazioni e storie diverse. Minoranze etniche resistenti, con i loro usi e costumi, che passano anche per la tavola. Ecco i walser e gli occitani a nord ovest, cimbri e mocheni a nord est. Catalani, greci salentini oppure arbereshe, gli attuali albanesi, a sud e sulle isole. Un melting pot radicato da secoli che ha resistito all'omologazione del tempo. I walser sono una minoranza di lingua tedesca radicati in un territorio a presenza francofona, gli occitani, a loro volta minoranza essi stessi, in un'area che va dal Piemonte alla Valle d'Aosta con un piede in Lombardia. Il loro arrivo attorno XIII secolo quando stagioni particolarmente calde spinsero popolazioni dell'area vallese, la Svizzera tedesca, a spingersi a sud, alla ricerca di pascoli e nuovi terreni da coltivare. I cambiamenti del clima non sono cosa di oggi.Nel XVI secolo, un nuovo irrigidimento del termometro radicò queste comunità nelle loro valli adottive. Attualmente sono 15 i Comuni dove la lingua walser è riconosciuta, parlata correntemente da circa 3.500 residenti. Furono, in un certo senso, pionieri, tanto che le signorie del tempo, come gli ordini monastici proprietari di terreni improduttivi, applicarono il cosiddetto «diritto walser» che, oltre a garantire una significativa autonomia amministrativa e giudiziaria, assicurava la trasmissione ereditaria dell'affitto dei terreni. Garanzia, per pastori e contadini, di una stabile autosufficienza per le loro famiglie. Queste e molte altre storie si possono scoprire visitando i tre musei etnografici di Alagna Valsesia, Macugnaga e Gressoney. All'interno di antiche case rurali introducono alle mille storie di questi luoghi. Una tradizione era rappresentata dal formaggio della morte. Quando veniva a mancare un congiunto i familiari distribuivano piccole scaglie di una toma che si voleva fosse stata custodita nel solaio, sin dal giorno della nascita. In quel mentre si apriva la finestra dell'anima, presente in ogni casa sul tetto. Un modo per favorire l'ascensione verso l'aldilà dello spirito dell'amato. Tornando ai riti della vita quotidiana la mattina, prima di salire in alpeggio, la colazione era una tazza di zuppa con brodo di cipolla, condita con burro o grasso animale. Il caffè molto autarchico, una miscela di surrogato con radice di cicoria tostata. Il pane di segala veniva irrobustito con farina di fava, cui seguì quello di patata. Il raccolto era invernale, con il miglior prodotto, e primaverile. Ma dato che la necessità aguzza l'ingegno vi era anche la segala «dormiente». Si seminava appena prima che la terra gelasse. Restava a covare sottoterra per poi germogliare al primo sole primaverile. La benedizione di questo pane ancora oggi, in occasione della festa di San Bernardo, il patrono, all'ombra del vecchio tiglio di Macugnaga, di fianco alla chiesa. Una pianta di quasi otto metri di diametro con oltre cinquecento anni di storia che leggenda vuole sia stata piantata da una donna walser appena arrivata, a ricordo delle sue lontane origini vallesi. Con la farina di segala si preparano le miacce, sottili cialde cotte su piastre di ferro, e non al forno. In origine erano ghiotte con burro e sale. Il tempo le ha ingentilite (con confettura di mirtilli) o irrobustite (farcite con speck, salumi, formaggi). Tra le minestre curiosa l'ava cocia, una sorta di acqua cotta. Come base un soffritto di burro e porri arricchito con toma e fette di pane. Nella tradizione orale era definita la medesina dei ciuch, utile a lenire i postumi di una sbornia galeotta. È divenuta un piatto identitario di tutta la Valle d'Aosta la seupa a la vapelenentse, originaria di Valpelline, 600 anime. Al tempo il pane bianco era alimento prezioso, comprato quasi esclusivamente per i malati o le persone anziane. Motivo in più per non sprecarne neanche una briciola, se avanzava nella madia. Più che una zuppa una sorta di timballo, con strati alterni di pane e fontina, bagnati con un brodo di cavolo verza, verdure e aromi vari. La sua apoteosi nella storica sagra dedicata, a fine luglio. Golosi chnefflene, piccoli gnocchetti spadellati con cipolla e conditi poi con fonduta e speck. Curiosa la supa de la ghigia. Era il ricostituente per le donne reduci dalle fatiche del parto. Pane nero tostato in padella con il burro cui veniva poi data una spolverata di zucchero ammorbidendo il tutto con vino rosso. Poteva essere abbinata a caffè o brodo, a seconda dei gusti. Il suhrmilc era il dissetante tra gli addetti alla fienagione sui pascoli in altura. Il siero residuo della lavorazione del latte veniva lasciato riposare in un recipiente di legno (tsaber), poi bollito e scremato e di nuovo messo ad affinare, sino a diventare leggermente acidulo. A Macuganga la panicia è un risotto morbido, cotto con burro e latte. Curioso l'etimo del riso in cagnon, che non era il cibo per i migliori amici dell'uomo, laddove il termine rinvia alla forma dei chicchi dopo la bollitura, tozzi e irregolari come larve di insetto, i cagnon, appunto. Modernità e tradizione si incontrano con i tortelloni farciti con pere e fichi secchi conditi con burro cotto e cannella. I primi essiccati dopo il raccolto per essere consumati in inverno. Il burro cotto cucinato in grossi paioli di rame e poi conservato in contenitori di sasso o terracotta. La patata, tra i walser, all'inizio era vista con timore, possibile portatrice di malattie. Poi è diventata di famiglia, anzi, come documentò il canonico Nicolao Sottile ai primi dell'Ottocento, contribuì a sfamare l'intera comunità, tanto da ridurre l'incidenza delle carestie e favorire le nascite, poiché le giovani donne potevano finalmente godere di una alimentazione più sana. Tre le tipologie tuberose. Walser ideale per insalate. Occhi rossi per fritture e Formazza per gnocchi e purè. In val Formazza, un tempo, era ricercata la marmotta di cui era goloso Richard Wagner quando passava da quelle parti, confessioni che lui stesso scriveva nelle lettere alla moglie Mathilde. In Valsesia troviamo l'uberlekke, un misto di carni varie conservato sotto sale assieme a spicchi d'aglio utile per le diete d'inverno, lontani dal pascolo. Con il brodo di cottura si preparava il moush, fettine di pane, toma e vino, usato come seconda colazione a metà mattina. I formaggi walser sono ricercate pepite golose giunte sino a noi. Già nel XIV secolo venne stabilito che il pascolo estivo poteva essere concesso solo al bestiame che aveva trascorso l'inverno nella valle, impedendo quindi l'intrusione di mandrie lontane preservando così il territorio da sfruttamento eccessivo e conseguente impoverimento del pascolo. Il bettelmatt è un acronimo che rimanda a battel, questua e matt, pascolo. Formaggio usato come merce di scambio, pagamento di canoni d'affitto, ma anche come offerta benefica, con alcune forme distribuite alle famiglie più indigenti delle valli. Una marcia in più gli aromi dei pascoli d'altura, in particolare la mottolina. Cambiano i tempi, ma non la produzione, limitata a 6.000 forme l'anno, tanto che Gian Franco Vissani l'ha ribattezzato la Rolls Royce dei formaggi. Suoi ambasciatori Edoardo Raspelli nel diffonderne il verbo e il cuoco Matteo Sormani, con i suoi ravioli al bettelmatt.Altra pepita casearia il maccagno, il preferito da Quintino Sella, ministro delle Finanze del neonato Regno d'Italia nonché fondatore del Cai. La sua particolarità quello di essere tra i pochissimi formaggi lavorato ancora caldo di mungitura poiché, in quota, il legname da ardere era merce preziosa. Alla staffa non può mancare la fioca, ossia la neve nell'idioma locale. Un dolce al cucchiaio a base di panna, latte, uova e zucchero messo a frollare entro conche di rame immerse nella neve. Tradizione così radicata che le donne anziane continuarono a confezionarlo quando già c'erano i frigoriferi in cucina.