2022-11-02
Un ex 007 comunista al fianco dei pm del caso Eni
Incurante del processo flop Opl 245, Drago Kos, emissario Ocse, ha definito Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro «esempi luminosi per altri pm». Ma oggi il gup deciderà sul rinvio a giudizio.In attesa che il gup di Brescia, Cristian Colombo, si esprima oggi sul rinvio a giudizio di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro (indagati per omissioni d’atti d’ufficio sul processo Eni-Nigeria), emergono dettagli inquietanti sul passato degli emissari dell’Ocse che hanno sostenuto in questi mesi il lavoro dei due pm di Milano in un’inchiesta che ha visto assolti tutti gli imputati dalle accuse di corruzione «perché il fatto non sussiste». Il responsabile del dipartimento anticorruzione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, infatti, avrebbe avuto un passato nei servizi segreti del Partito comunista sloveno e più in generale alla nomenclatura dell’epoca. Stiamo parlando di Drago Kos (classe 1961), funzionario di polizia, da più di vent’anni impegnato nella lotta alla corruzione (è stato per 5 anni a capo della commissione dell’anticorruzione statale), considerato a Ljubljana come uno dei fedelissimi di Milan Kučan, ultimo segretario del Partito comunista della Slovenia prima della svolta democratica nel 1991. La vicenda è di non poco conto. Nelle scorse settimane proprio l’Ocse, guidato da Kos, ha attaccato i giudici di Milano che hanno assolto Eni e Shell sul caso del giacimento petrolifero nigeriano Opl 245. Lo ha fatto decidendo di non sentire le difese, tra cui nessun esponente dell’azienda di San Donato. Kos ha anche evitato di ascoltare i magistrati bresciani che hanno indagato sia De Pasquale sia Spadaro per aver nascosto prove alle difese nel corso del processo, tra queste anche il video dove Piero Amara e Vincenzo Armanna minacciavano i vertici del colosso petrolifero. Proprio De Pasquale ha depositato nelle scorse settimane in Procura a Brescia la lettera che Kos aveva inviato alla Procura di Milano nei mesi scorsi dove aveva definito De Pasquale e Spadaro «esempi luminosi per altri pm in tutto il mondo». Il poliziotto sloveno aveva anche attaccato il procuratore generale di Milano, Celestina Gravina, perché «responsabile» di aver affossato la richiesta di appello dei due pm contro Eni dopo l’assoluzione di tutti gli imputati in primo grado. Secondo Gravina, infatti, i motivi d’appello presentati da De Pasquale erano «incongrui, insufficienti e fuori dal binario di legalità», anche perché il processo stesso era stato costruito «su chiacchiere e opinioni generiche», senza uno straccio di prova, come poi avevano sottolineato anche i giudici della settima sezione penale presieduta da Marco Tremolada. Va ricordato che, a differenza degli altri stati dell’Europa dell’Est come Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia, la Slovenia non ha mai adottato una normativa che vietasse cariche pubbliche agli appartenenti dei servizi segreti del regime precedente. In questo modo diversi ex dirigenti statali, anche dopo la caduta del muro di Berlino, hanno ottenuto incarichi nella magistratura, nella pubblica amministrazione, nei media come nel sistema economico sloveno. Kos è fratello di Marta Kos, ex ambasciatrice, che si era candidata alle presidenziali slovene con il Movimento libertà (il 13 ci sarà il ballottaggio), ma poi aveva ritirato la sua candidatura, ufficialmente per motivi personali. Negli ultimi mesi, il centrodestra l’aveva accusata di sostenere la Russia di Vladimir Putin, anche perché si era opposta alle sanzioni dopo l’invasione della Crimea. La famiglia Kos è molto nota in Slovenia. Drago Kos ha avuto un ruolo di primo piano nel caso «Patria», un’inchiesta della magistratura slovena che rovesciò il governo di centrodestra di Janez Janša nel 2008 per poi inquinare le due tornate elettorali successive. Le accuse riguardavano un presunto giro di tangenti da 21 milioni di euro intorno all’acquisto di mezzi militari dall’azienda finlandese Patria (da cui il nome dell’operazione). A quanto pare fu proprio Kos a recarsi in Finlandia, portando ai magistrati locali una documentazione contro Janša e affidandola anche ai media nazionali finlandesi. La storia fu poi pubblicata dalla tv pubblica finlandese e, esploso lo scandalo, i media sloveni decisero di cavalcare l’inchiesta che fece cadere il governo. Alla fine, fu proprio Kos a spiegare pubblicamente che l’azienda finlandese era stata favorita nell’assegnazione dell’appalto da parte del governo sloveno di centrodestra. Così i pm sloveni hanno poi incriminato Janša con diverse accuse di corruzione e riciclaggio. Il processo è durato a lungo e l’ex premier di centrodestra è stato poi condannato a 2 anni di carcere in Cassazione nel 2013. Ma nel 2015 la Corte costituzionale - che ha competenza a giudicare anche sulla violazione dei diritti fondamentali nei processi penali - ha annullato la sentenza per insufficienza di prove. Non solo. La Corte costituzionale ha anche giudicato incompatibile il presidente stesso della Cassazione, Branko Masleša, anche perché aveva attaccato lo stesso Janša, ai tempi imputato, in un convegno di magistrati, ripreso pure dalla televisione di Stato.
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