
Il blitz di Hamas ha provocato 1.200 morti e 4.834 feriti. Ieri nuovo attacco in Israele: uccisa un’agente di frontiera. Un italiano fra le vittime dell’attentato a Jaffa.Milleduecento morti, 4.834 feriti e 251 ostaggi (di cui un centinaio ancora prigionieri). Sono queste le cifre del massacro compiuto, esattamente un anno fa, da Hamas contro Israele: un evento che lo Stato ebraico non ha esitato a definire il proprio 11 settembre. Oltre ai lutti delle famiglie e alla sicurezza nazionale all’epoca fortemente compromessa, Israele ha attraversato settimane e mesi durissimi dopo quell’eccidio. Sembrava avvolto da un cappio sempre più stretto, che aveva un mandante chiaro: l’Iran. Un attore che viene troppo spesso colpevolmente dimenticato tra i responsabili di quel massacro.Ricordiamo infatti che, in ossequio alla dottrina della proxy war, il regime khomeinista è tra i principali finanziatori di Hamas. Non solo. Gli ayatollah foraggiano anche Hezbollah e gli huthi: altre due organizzazioni terroristiche che, sulla scia del 7 ottobre, hanno sempre più aumentato la pressione sullo Stato ebraico. La prima, lanciando razzi contro il suo territorio; i secondi, infestando il Mar Rosso. D’altronde, Teheran aveva tutto da guadagnare dal 7 ottobre. Il suo obiettivo era principalmente quello di far deragliare il processo di normalizzazione dei rapporti tra Gerusalemme e Riad, che gli Stati Uniti stavano cercando di mediare. Un obiettivo che gli ayatollah sono riusciti a conseguire, visto che quel processo è effettivamente naufragato. In secondo luogo, il regime khomeinista sperava di accentuare l’indebolimento e l’isolamento di Israele, approfittando anche della politica mediorientale contraddittoria e irresoluta di Joe Biden.Eppure oggi, a un anno da quel massacro, la situazione si è in gran parte ribaltata. Lo Stato ebraico ha colpito duramente Hamas a Gaza e decapitato la leadership di Hezbollah in Libano. Non solo. Israele è anche riuscito a smascherare i bluff dell’Iran, mettendo a nudo le debolezze del regime khomeinista, che è sempre più in ansia per la risposta di Gerusalemme al suo attacco missilistico di martedì (forse non a caso, ieri Teheran ha cancellato i voli dagli aeroporti iraniani fino all’alba di oggi). La strategia portata avanti dallo Stato ebraico in questo momento è quella del ripristino della deterrenza nei confronti degli ayatollah e della loro rete terroristica regionale, in una fase in cui il governo israeliano non si fida di un presidente statunitense, Biden, che, oltre ad aver avviato un appeasement verso l’Iran negli ultimi tre anni e mezzo, è anche attualmente un’anatra zoppa.È tra l’altro significativo come l’indebolimento di Teheran non risulti affatto sgradito ai Paesi sunniti. È abbastanza chiaro come sia Gerusalemme sia Riad stiano aspettando l’esito delle elezioni presidenziali americane: un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca comporterebbe il ripristino, da parte di Washington, della «massima pressione» sugli ayatollah. Un atto che sarebbe propedeutico a rilanciare quegli Accordi di Abramo, la cui logica è stata messa in crisi da Teheran proprio attraverso il massacro del 7 ottobre. Ecco perché sia l’Iran sia i suoi proxy vedono come il fumo negli occhi un ritorno a quegli accordi: per loro significherebbe ritrovarsi nuovamente isolati nello scacchiere mediorientale e le stesse ambizioni nucleari di Teheran subirebbero un duro colpo (questo spiega anche perché gli ayatollah stanno facendo di tutto per boicottare la campagna di Trump). A un anno dall’eccidio, insomma, il 7 ottobre si è ritorto contro i suoi stessi mandanti.Nel frattempo, ieri un terrorista ha aperto il fuoco nella stazione degli autobus di Beersheba, uccidendo un’agente di frontiera israeliana, Shira Suslik. L’aggressore, Ahmad al-Uqbi, è stato a sua volta ucciso dalla polizia. Israele ha frattanto bombardato la periferia di Beirut, mentre dei razzi da Gaza hanno raggiunto il suo territorio. Inoltre, è stato reso noto che una delle vittime dell’attentato del 1° ottobre a Jaffa è un cittadino italo-israeliano, Victor Green, di 33 anni.
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.






