
Nessuna condivisione di debiti e immigrati, ma appena Germania & C. cominciano a vedere lo spettro della crisi energetica ecco che Bruxelles sbandiera la «solidarietà europea». Cioè: chi ha riserve e flussi dall’Africa (noi) deve cederne parte agli altri Paesi.L’Europa non vuole mettere in comune i debiti dei singoli Stati, né ha intenzione di condividere i flussi migratori, perché appellandosi al trattato di Dublino ritiene che ogni richiedente asilo debba restare a carico del Paese in cui è approdato. A quanto pare, pure sul tema dell’esercito la Ue nicchia, perché non sia mai che poi le truppe possano essere impiegate al di fuori degli interessi dei grandi azionisti di Bruxelles, ossia Francia e Germania. Detto in parole povere, l’Unione europea è disunita su tutto. O meglio: quasi su tutto, perché c’è una questione che soprattutto i Paesi del Nord vorrebbero condividere ed è quella delle forniture energetiche. Tranquilli, non mi riferisco alla pagliacciata dei pannelli solari obbligatori su ogni tetto di casa. Se Ursula von der Leyen pensa davvero di sostituire il gas russo con quelli stiamo freschi, nel senso che ci dobbiamo preparare a indossare il cappotto durante il periodo invernale anche quando staremo a casa. Soprattutto, ci dobbiamo preparare a uno shock energetico dalle conseguenze inimmaginabili se anche un tipo come Wolfgang Schauble, ex ministro delle Finanze di Angela Merkel, dice che non sa come uscire dalla crisi e ritiene che si stia «sottovalutando molto» l’impatto economico della guerra, che ovviamente ha ricadute dirette su gas e petrolio. Se la presidentessa della Ue pensa di far funzionare le industrie siderurgiche, quelle delle piastrelle e anche le cartiere, cioè le aziende energivore, con l’energia solare, ci dobbiamo preparare al peggio.Ma forse quella furbacchiona di Ursula ha in serbo una sorpresa, e cioè altro che pannelli sul tetto: la sua soluzione è la condivisione del gas. Sì, avete letto bene. Mentre i tedeschi e chi regge loro il gioco dicono che ognuno deve tenersi i propri debiti e i propri immigrati, senza lamentarsi se alcuni Paesi fanno dumping fiscale, cioè attirano investitori offrendo imposte al minimo, poi quando si parla di metano vorrebbero obbligare tutti a condividere le proprie riserve e i propri flussi. Ufficialmente l’ideona è motivata dalla convenienza negli acquisti, nel senso che più materia prima si compra e più si spunta un buon prezzo. Ma dietro il progetto in realtà c’è il concetto di solidarietà: se siamo un’Unione dobbiamo anche condividere ciò che abbiamo. Tutto ciò vuol dire che se abbiamo delle scorte di gas, invece di tenercele strette per i periodi di magra, quando magari il flusso in arrivo dalla Russia o da altri Paesi esportatori diminuisce, le dobbiamo condividere con chi non ne ha o ne ha poche.La fregatura è evidente e non serve qualcuno addentro alle segrete cose per rendersi conto che la nostra posizione geografica è strategica. Così come facilmente dalle coste africane arrivano i migranti, altrettanto agevolmente confluiscono i tubi che dalla Libia, dall’Algeria e da Baku ci portano il gas. Non solo: con il gas liquido è più facile raggiungere quella specie di pontile nel Mediterraneo che è l’Italia invece di circumnavigare mezza Europa per arrivare in Germania. Insomma, noi siamo nella condizione ideale per essere l’hub energetico dell’Unione, perché abbiamo la tecnologia e anche le infrastrutture. In effetti, tempo fa, quando ancora la Snam faceva parte dell’Eni, studiarono un progetto che prevedeva proprio questo, ovvero di far diventare il nostro Paese un porto d’arrivo del gas, per poi distribuirlo ai partner europei. Manco a dirlo, l’idea fu accantonata, perché ai nostri amici di Bruxelles non conveniva: meglio, infatti, rifornirsi di metano dalla Russia, senza dover passare dall’Italia e magari pagare dazio. Ora, con la guerra e la necessità di non dover dipendere da Putin, la possibilità di sfruttare la piattaforma italica ha ripreso quota, con una differenza però. Mentre allora la costruzione di una infrastruttura poteva avere senso sul lungo periodo, oggi l’Europa ha bisogno subito del gas e siccome questo arriva preferibilmente da noi che lassù nel Nord, ecco spuntare il concetto di condivisione. «Siamo una comunità, no? Dunque, dobbiamo spartire le risorse, mettendole a disposizione di tutti».Per noi sarebbe un disastro, perché non avendo centrali nucleari e disponendo di poche altre fonti energetiche, gli stoccaggi di gas ci servono per controbilanciare i periodi di massima richiesta energetica da parte delle aziende e delle famiglie. Detto senza giri di parole, rischieremmo di rimanere al buio e al freddo, ma soprattutto di dover fermare la produzione. Dunque, se il governo non vuole farsi e farci del male, altro che piano energetico comune. Dica a Bruxelles che quando condivideremo il debito, le tasse e pure gli sbarchi, condivideremo anche il gas. Per adesso, però, preferiamo tenerci strette le nostre riserve e lasciare agli altri Paesi il compito di riflettere su quali siano gli interessi di un’Unione che esiste solo sulla carta, ma per il resto si fa gli affari suoi.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






