2024-06-02
Stop incentivi alle elettriche e i tedeschi fanno il pieno di vetture diesel e benzina
Berlino dimostra che senza «aiuti» le auto a batteria faticano: + 28% gli acquisti dei veicoli a combustione. In Italia vendute 1.100 Ferrari e un centinaio di 500e.Il mercato è sovrano e i clienti delle case automobilistiche hanno scelto: Italia, Spagna e Germania guidano la risalita della benzina, a +7,3% in UE, mentre il diesel ha perso in Italia (-21,1%), in Spagna (-19,3%) e Francia (-18,1%) ma ha guadagnato in Germania mettendo a segno un +28,2%. Crescita accelerata dallo stop agli incentivi all’elettrico. L’Acea, l’associazione dei costruttori europei di autovetture, ha diffuso i dati di vendita relativi ad aprile 2024 e ai primi quattro mesi dell’anno, che riservano dettagli interessanti. Guardando al solo mese di aprile, l’aumento delle immatricolazioni è stato del 13,7% rispetto al 2023, con la fetta più grande del mercato che è andata alle vetture alimentate a benzina (36%). L’ibrido Hev (Full Hybrid) ha la seconda fetta più grande con il 29,1%, mentre il diesel si è attestato al 12,9%. Poi troviamo le auto elettriche a batteria (Bev) all’11,9% di market share, l’Ue viaggia dunque molto più in fretta dell’Italia, ad aprile ferma al 2,3%. Le Plug-in Hybrid Phev si sono fermate al 6,8%, mentre altre alimentazioni hanno ottenuto il 3,3%. Dati simili si ottengono anche guardando ai primi quattro mesi dell’anno: benzina al 35,6%, Hev al 29%, diesel al 12,9%, Bev al 12%, Phev al 7,2% e altre alimentazioni al 3,4%. Parlando di crescita, l’elettrico è salito del 14,8%, trainato soprattutto da Francia e Belgio a +45,2% e +41,6% rispettivamente. Male invece la Germania a -0,2%, un Paese che assieme all’Italia sta vivendo un pessimo 2024 per le Bev (complici anche gli incentivi annunciati ma non ancora arrivati). Concentriamoci sui numeri dell’Italia: il mercato delle auto elettriche nel nostro Paese continua a frenare, in attesa dei nuovi incentivi per gli Ev che dovrebbero arrivare entro maggio. Nei primi 4 mesi del 2024 le vetture elettriche immatricolate nel Belpaese sono state appena 16.400. Rispetto allo stesso periodo del 2023, questi numeri determinano un tracollo del 19,4%, mentre la quota di mercato dell’elettrico scende al 2,8% (era il 3,7% nel gennaio-aprile 2023). Ad aprile, le immatricolazioni di EV sono state poco più di 3.000, -20,5% rispetto ad aprile 2023, e la quota di mercato è scesa al 2,3% (contro il 3,2% dello stesso mese dell’anno scorso). Frenata ancora più significativa per i veicoli commerciali a zero emissioni, che segnano -53,6%. La stagnazione del mercato auto elettriche in Italia è ancora più rilevante se si considera anche il divario allarmante tra l'attuale disponibilità di punti di ricarica pubblici per auto elettriche nell’Ue e ciò che sarà effettivamente necessario per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 del continente. Del resto, basta guardare i dati di vendite di due emblemi del made in Italy: la Ferrari e la Fiat 500. Come faceva notare ieri un’analisi di Milano Finanza, il Cavallino Rampante ha venduto 13.663 esemplari nel 2023 per quasi 6 miliardi di euro di ricavi, che fanno oltre 1.100 modelli al mese (1.138 per l’esattezza). Stellantis, a marchio Fiat, ha invece venduto in aprile in Italia cento Cinquecento elettriche, peraltro una delle utilitarie non a combustione più cercate dall’esiguo mercato italiano. Questo significa, sottolinea MF, che c’è molta più domanda per un bolide da ricchi - il cui modello meno caro costa 260.000 euro, solo dieci volte di più della 500e - che per l’automobile che fu del popolo e che segnò il successo di casa Agnelli negli anni del boom economico italiano. Numeri che fanno riflettere. O meglio, che fanno prendere atto di un fallimento annunciato. Senza dimenticare, come ha scritto La Verità lo scorso 29 aprile, che l’unità di veicoli elettrici dell’americana Ford ha dichiarato che le perdite nel primo trimestre sono salite a 1,3 miliardi di dollari, ovvero 132.000 dollari per ciascuno dei 10mila veicoli venduti nei primi tre mesi dell’anno, contribuendo a trascinare al ribasso gli utili dell’azienda nel suo complesso. Nel frattempo, nella relazione annuale di Bankitalia si leggono anche i numeri dell’automazione italiana che resta indietro in Europa soltanto a causa del settore automotive (se non lo si considera, siamo i primi tra i principali paesi in area euro ovvero Francia, Germania, Italia, Spagna). Se a metà degli anni Novanta eravamo di poco lontani dalla Germania (noi avevamo 5,6 robot ogni 1.000 addetti, mentre nel mercato tedesco erano 7,6), al 2021 il divario si è ampliato e siamo stati superati dalla Spagna. In Germania ci sono oltre 10 macchinari in più ogni 1.000 operai rispetto all’Italia (27,3 contro i nostri 16,4), mentre in Spagna sono 18,3. Resta ancora indietro la Francia, con poco più di 15.Da noi la produzione di auto ha un’incidenza di robot pari al 58% della media di Germania e Spagna perché noi produciamo più componenti, attività meno adatta all'automazione.Inoltre, la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e la rinuncia al piano Fabbrica Italia hanno portato a una riduzione nell'uso di robot nel nostro mercato automobilistico.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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