Sberla Usa: «L’Ue fuori dai negoziati». Vertice Trump-Putin «a fine mese»

Ci sono tante angolature da cui si potrebbe dimostrare che, nei fatti, l’Ue come ente politico non esiste. Già negli anni Settanta, Henry Kissinger si chiedeva: «Chi devo chiamare se voglio chiamare l’Europa?». Una domanda rimasta irrisolta e che ora, Oltreoceano, si è tramutata in un’affermazione: «Grazie, richiamiamo noi». È un po’ questo, infatti, il senso delle parole pronunciate da Keith Kellogg, il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina e la Russia, alla Conferenza per la sicurezza di Monaco. «Abbiamo esaminato il problema di Minsk II», ha affermato. «C’erano molte persone al tavolo e non hanno avuto alcuna opportunità di unirsi al processo di pace: non ha funzionato». In quell’occasione, al netto del coinvolgimento dell’Osce, non c’era l’«Europa»: c’erano Francia e Germania. «Vi siederete al terzo tavolo? No», ha detto rivolgendosi ai rappresentanti europei: «Saranno inclusi tutti i vostri interessi in queste discussioni? Sì. Se significa sedersi fisicamente al tavolo, allora no».
D’altra parte sarebbe difficile, per un’amministrazione che fa professione di realismo, trovare punti di contatto con chi per anni ha ripetuto fino a convincersene che l’Ucraina potesse vincere una guerra con la Russia e, a periodi alterni, che la Nato potesse inviare truppe contro una potenza detentrice di oltre 6.000 testate nucleari. Non sbaglia, dunque, chi afferma che Donald Trump stia imponendo la pace: è proprio quello che intende fare. Il piano, ha spiegato Kellogg, dovrebbe arrivare «entro pochi giorni o settimane». Ieri, intanto, c’è stata una telefonata tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il segretario di Stato americano Marco Rubio. L’agenzia Tass ha riportato che i due hanno concordato «sui contatti regolari, compresi quelli per la preparazione del vertice tra Putin e Trump».
Secondo il Financial Times, il dipartimento di Stato Usa avrebbe chiesto ai governi europei (e non all’«Europa») informazioni dettagliate sulle armi, le truppe e le misure di sicurezza che sarebbero disposti a mettere in campo in Ucraina come garanzie per la fine del conflitto.
Volodymyr Zelensky cerca di tenere il punto, ma anche lui sa che dovrà sottostare al volere degli Usa. La stessa persona, infatti, non può sostenere che l’Ucraina ha «poche chance di sopravvivere all’assalto russo senza il supporto degli Stati Uniti» e, contemporaneamente, che «mai accetterà accordi fatti» alle sue «spalle». Ciononostante, il presidente ucraino non ha mancato di ribadire che l’unica garanzia di sicurezza per Kiev è l’ingresso nella Nato e che, per accettare un’intesa, la Russia dovrà tornare almeno ai confini antecedenti al febbraio del 2022 (ma non è una grande novità che la Crimea sia data per persa). Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha menzionato quest’ultima frase come dimostrazione della disponibilità di Zelensky a una «trattativa di buon senso»: ma come si può anche solo immaginare che Vladimir Putin, dopo tre anni e centinaia di migliaia di uomini persi, si accontenti di tornare alle stesse delimitazioni che c’erano prima dell’«operazione speciale»?
Zelensky ha anche annunciato di aver rifiutato l’accordo con Washington sulle terre rare, perché privo di garanzie di sicurezza. Rivolgendosi a Trump, ha ribadito la richiesta di incontrarsi tra di loro prima di avviare i negoziati con Mosca. Per quanto comprensibile, però, è dubbio che l’atteggiamento dell’ex comico sia utile a ingraziarsi i suoi alleati. Se, da una parte, ci ha tenuto a mettere in guardia il presidente Usa da Putin, che vorrebbe invitarlo a Mosca «non come un leader rispettato ma per renderlo un burattino del suo spettacolo sulla Piazza Rossa», dall’altra si atteggia a leader del Vecchio Continente sostenendo che «è tempo di creare un esercito europeo con l’Ucraina». «Il pagliaccio di Kiev ha rimproverato Trump per qualsiasi cosa possibile», ha reagito Dmitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Russia. «Cioè, il mendicante e ladro fallito ha sputato nella mano del donatore. La domanda è: come reagirà Trump?». D’altronde, la tesi secondo cui Putin voglia in futuro attaccare l’Europa non è una base particolarmente convincente su cui fondare la garanzia di aiuti. Benché la Russia, secondo il segretario generale della Nato, Mark Rutte, produca in tre mesi le munizioni che l’intera Alleanza atlantica sforna in un anno, la situazione demografica ed economica di Mosca rende l’ipotesi di un’ulteriore invasione piuttosto inverosimile. Questo, però, rimane il fondamento retorico dell’impegno europeo verso Kiev. «Continueremo a sostenere l’Ucraina come parte integrante del nostro progetto di pace», ha affermato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa: «Solo l’Ucraina può definire quando ci sono le condizioni per una negoziazione. Imporre concessioni prima di negoziare è inaccettabile». Una «pace imposta all’Ucraina non riceverà mai il sostegno» della Germania, ha sostenuto il cancelliere (ancora per poco) Olaf Scholz. Secondo il primo ministro polacco, Donald Tusk, serve un piano di azione europeo, altrimenti saranno gli altri a decidere. Emmanuel Macron, preoccupato, ha proposto per domani un summit di urgenza all’Eliseo tra capi di Stato europei, mentre oggi a Monaco si terrà una riunione informale tra i ministri Ue. Zelensky, invece, vorrebbe riunire a Kiev e online tutti gli alleati il 24 febbraio, a tre anni dall’invasione. Ma la partita, ormai è chiaro, in prima battuta si giocherà altrove. L’atteso incontro tra Putin e Trump, secondo Reuters, potrebbe avvenire già entro la fine del mese in Arabia Saudita. Alti funzionari di entrambi i Paesi si incontreranno settimana prossima per preparare il terreno.






