2019-10-22
«Uccisero Desirée»: 4 africani a processo
Violenza sessuale di gruppo, omicidio volontario e cessione di droga a minorenne sono i reati contestati agli immigrati accusati di aver mandato in overdose, stuprato e lasciato morire la sedicenne di Cisterna di Latina. Il procedimento al via il 4 dicembre.Gli uomini neri vanno finalmente a processo. Il nigeriano Alinno Chima, i senegalesi Mamadou Gara (detto Paco) e Brian Minthe, il ghanese Yusef Salia sono stati rinviati a giudizio per l'omicidio di Desirée Mariottini. Uomini neri non tanto per il colore della pelle ma per ciò che questi individui rappresentano: l'incarnazione delle paure più profonde e antiche. Sono i mostri delle favole che attendono le ragazzine nel bosco e le portano via per non farle tornare indietro mai più. Così avrebbero agito con la povera Desirée, che aveva appena 16 anni. I quattro africani, secondo la ricostruzione dell'accusa, le sono saltati addosso dentro la tana di via dei Lucani, uno stabile macilento nel quartiere San Lorenzo di Roma. Prima le hanno dato la droga: la miscela letale che ha causato il decesso della ragazza. Ma, tra lo stordimento e la morte, c'è stata la violenza sessuale. L'avrebbero stuprata a turno, uno dopo l'altro. E infatti sono accusati di cessione e somministrazione di droga a minori, violenza sessuale di gruppo e omicidio volontario. Questi sono i reati che hanno voluto contestare il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Stefano Pizza: una linea che è stata recepita in toto dal gup Clementina Forleo. Il processo inizierà il 4 dicembre nell'aula bunker di Rebibbia, e si tratterà di un altro viaggio nell'orrore. Del resto i presunti macellai non hanno fatto alcuna dichiarazione di pentimento rispetto alle atrocità di cui sono accusati, anzi. Basti ricordare che cosa è accaduto pochi giorni fa. Yussef Salia, uno degli imputati, ha presentato una denuncia contro i famigliari di Desirée. Il difensore dell'africano, Maria Antonietta Cestra, si è opposta alla costituzione di parte civile da parte della famiglia della ragazza, spiegando che la mamma, il papà, i nonni e la zia avrebbero «abbandonato» Desirée e l'avrebbero «lasciata sola, senza alcuna vigilanza e protezione allorché la stessa acquistava droga, e peggio si prostituiva allo scopo». Non soddisfatto, l'avvocato ha riportato alla stampa alcune frasi pronunciate da Salia. Il quale, riferendosi alla ragazzina uccisa, avrebbe detto: «Meglio lei morta che noi in galera». E ancora: «Se lei fosse rimasta a casa non sarebbe venuta a San Lorenzo, e io non sarei in galera». Beh, in base alla stessa logica si potrebbe anche affermare che, se Salia e i suoi tre compari africani fossero rimasti nei loro Paesi invece di venire a infestare Roma, forse Desirée adesso sarebbe viva, e non morta ammazzata dopo essere stata drogata e violentata da un gruppo di belve. Tra l'altro, Salia non è stato arrestato nella Capitale come gli altri. L'hanno fermato a Foggia il 26 ottobre di un anno fa, circa una settimana dopo il delitto. Dunque stava probabilmente cercando di darsi alla macchia. Lui e gli altri, mentre la sedicenne era già in overdose, avrebbero abusato di lei «mediante la costrizione delle braccia e delle gambe», come spiegano le carte dell'accusa. Significa che, mentre uno le usava violenza, altri la tenevano ferma. Ecco, questi sono gli individui che andranno a processo, uno dei quali ha avuto pure la faccia tosta di accusare la famiglia della sua vittima. Quattro uomini neri, quattro lupi mannari che - dicono le carte - non hanno avuto pietà di una bambina che si era perduta nel bosco.