2019-02-16
Tutti assolti per l’uccisione di Sana. Il Pakistan fa infuriare l’Italia
Il processo farsa svoltosi in patria non vede nessun colpevole per la morte della giovane di Brescia portata nel Paese asiatico dai genitori e morta in modo misterioso. Matteo Salvini: «Scriverò al mio collega a Islamabad».Fu strangolata ma nessuno dei suoi parenti in Pakistan pagherà per quel delitto. Il tribunale distrettuale di Gujrat ha assolto tutti gli undici imputati dell'omicidio di Sana Cheema, la giovane bresciana morta nell'aprile dello scorso anno nel Paese di cui sono originari i suoi genitori. Uccisa perché non voleva accettare un matrimonio combinato, come hanno sempre sostenuto gli amici che ben conoscevano il dramma della ragazza, costretta a tornare per una vacanza in Pakistan e poi punita con la morte per la sua ribellione a un'assurda legge islamica. Per i giudici non ci sono prove sufficienti e mancano i testimoni, quindi il padre, la madre, il fratello e altri familiari sono tornati liberi. «Che vergogna, se questa è “giustizia islamica" c'è da aver paura. Una preghiera per Sana. Scriverò al mio collega, il ministro dell'Interno pakistano, per esprimere il rammarico del popolo italiano», è stato il primo commento del ministro dell'Interno Matteo Salvini. «Assolti per mancanza di prove padre, zio e fratello di Sana, venticinquenne italo pachistana uccisa perché voleva sposare un italiano. L'ennesima ingiustizia a danno di una ragazza vittima dell'integralismo islamico che aveva come unica colpa quella di amare un occidentale», ha twittato Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia. Tanti, tantissimi anche i commenti sul Web, contro l'islam e chi non si integra con la nostra cultura.Poco è importato al giudice Amir Mukhtar Gondal che l'autopsia avesse confermato che la ragazza era morta perché l'osso del collo era stato rotto, non per un malore come i parenti avevano affermato. L'omicidio di Sana rimane impunito, come ultima atroce beffa. A Brescia, dove da sempre viveva e dove dopo gli studi aveva trovato lavoro in un'autoscuola, la ragazza frequentava gli amici, vestiva abiti occidentali. Aveva ottenuto la cittadinanza italiana, voleva vivere come le sue coetanee, lavorare, divertirsi, sposare il giovane di cui si era innamorata. Pakistano pure lui, ma troppo occidentale per i familiari di Sana, uno a loro dire abituato a vivere come gli infedeli. Le comunità pakistane (quasi in 13.000 vivono nella sola provincia di Brescia) sono molto chiuse, poco integrate, le donne costrette in casa, succubi del marito, della famiglia e della violenza che viene esercitata su di loro. Come accadde a Hina Saleem, la diciannovenne di Ponte Zanano, sempre nel Bresciano, che nel 2006 venne uccisa dal padre con venti coltellate e poi sepolta nel giardino di casa, con la testa rivolta alla Mecca. Fu la madre a spiegare la ragione di quella morte: Hina «non si comportava come una buona musulmana». Anche la mamma di Sana non condivideva le abitudini occidentali della figlia e più volte aveva insistito perché lasciasse il suo ragazzo. L'avevano costretta a una piccola vacanza nel distretto di Gujrat, dove era nata. Non sappiamo che cosa sia successo mentre era a casa dei parenti, forse la rabbia cieca dei genitori nel vedere che la giovane non voleva saperne di sposare un uomo più grande di lei e che non amava. La giovane muore e viene seppellita in gran fretta il 18 aprile dello scorso anno. Gli amici non avrebbero saputo più nulla di Sana se non avessero visto sul Web il suo funerale. Da quel momento, la Procura di Brescia e le autorità pakistane avevano iniziato a indagare, rivelando le tante bugie dei familiari e le loro responsabilità nella morte della giovane. Il padre cinquantenne della ragazza, Mustafa Ghulam Cheema, aveva cercato di far credere che si fosse trattato di un malore, forse un infarto, producendo un certificato medico con la dicitura «morta per arresto cardiocircolatorio in seguito a un malore» che si rivelò un falso. Il corpo della giovane venne riesumato e i risultati dell'autopsia realizzata dal laboratorio forense del Punjab furono chiari: Sana era morta per strangolamento, «l'osso del collo è stato rotto». «Un disegno di Allah», commentò il padre. «Se il referto dei medici legali dice che Sana aveva l'osso del collo rotto è perché deve aver battuto contro il bordo del letto o del divano». La giovane invece sarebbe morta strangolata dal padre con una sciarpa, mentre il fratello le avrebbe messo una mano sulla bocca per non farla gridare. Lo stesso fratello, il trentenne Adnan, confessò quello che era successo quel giorno nel villaggio pakistano. Anche il padre avrebbe confessato, poi però negò di aver ammesso il delitto. Per truccare l'esito dell'autopsia fu pagata anche una mazzetta di 600.000 rupie, ovvero circa 7.400 euro, come rivelò Il Giorno. Una tangente versata a un vice ispettore di polizia e a un dipendente del laboratorio di scienze forensi del Punjab, finiti in manette senza che il referto, per fortuna, venisse cambiato. Furono arrestati il padre della ragazza e il fratello, considerati gli esecutori materiali dello strangolamento. La madre della giovane avrebbe tentato di coprire il delitto e tra gli indagati c'erano pure gli zii, un cugino e un medico, autore di un falso certificato di morte naturale. Dopo tre mesi di processi il giudice ha rilasciato tutti. Il delitto d'onore resta impunito per la legge pakistana. «L'assoluzione in Pakistan degli assassini di Sana Cheema, la ragazza uccisa perché voleva sposare un italiano, è gravissima. Il governo italiano dovrebbe protestare con le autorità del Pakistan che lasciano impuniti gli assassini di una ragazza cresciuta coi nostri valori», ha twittato la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna.