2019-10-07
Dal Po al Lambro, il turismo fluviale in Italia vale 8 milioni di euro
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Lasciarsi cullare dalle acque di un fiume a bordo una casa galleggiante o di un baton mouche. Questa nuova forma di viaggio lento è perfetta per vacanze in famiglia low cost. Tra le mete più gettonate, oltre al nostro Paese, anche la Francia e la Spagna. Non solo battelli o piccole natanti: anche gli hotel di lusso sempre più spesso scelgono le rive di fiumi famosi per le loro strutture. Ecco dove andare, nel mondo, in cerca di relax e natura. Lo speciale contiene quindici articoli e gallery fotografiche.Una vacanza sull'acqua non significa per forza barca a vela, skipper, o una crociera. Immaginate, anzi, di viaggiare lentamente, trasportati dalle acque, tra boschi, paesi, città, cambiando regioni e stati senza quasi accorgervene. Il turismo fluviale è una delle forme di «slow tourism» che negli ultimi anni sta spopolando in Europa e nel nostro Paese. Il motivo è semplice: questa forma di turismo si pratica su cabinati a motore (più piccoli dei barconi), ma anche su house-boat chiamate comunemente case galleggianti che offrono tutti i tipi di confort e possono essere affittate, a basso prezzo, anche per lunghi periodi. Il vantaggio sta nella possibilità di navigare, in Italia ma anche oltre i nostri confini, senza patente nautica.Nato in Inghilterra, nella regione del Norfolk Broads, oggi è una delle forme preferite da chi vuole passare lunghi tempi lontano da casa immerso nella natura e in un contesto quasi del tutto detossinante dalla frenesia quotidiana. Tra le aree fluviali più gettonate ci sono senza dubbio quelle italiane, francesi e spagnole. Ma anche Belgio, Scozia, Portogallo, Irlanda e Paesi Bassi stanno guadagnando interesse soprattutto nei più giovani. Solo per quanto riguarda l'Italia si stima che il giro di affari complessivo sia di circa 8,3 milioni di euro. «Quello del turismo fluviale è un prodotto che riscuote un interesse sempre maggiore da parte dei tour operator della domanda estera e dei venditori italiani, segno che sta aumentando la domanda turistica di vacanze slow, di itinerari ciclo fluviali, di arte ed enogastronomia legate alle terre attraversate dal Po» ha spiegato Nicola Scolamacchia, presidente di Confesercenti Ferrara, durante la nona edizione della Borsa del turismo fluviale italiano. Solo nel 2018, nei comuni dell'area Po delle province di Ferrara, Piacenza, Parma e Reggio Emilia, sono stati registrati (con una permanenza media di 4,1 notti) 847.915 arrivi e 3 milioni e 434.803 presenze con una crescita dell'8,8% degli arrivi e dell'11,1% delle presenze. In crescita sia i mercati nazionali (+279.000 presenze), sia quelli esteri (+64.000 presenze). Numeri ragguardevoli anche nell'area del Po ferrarese dove sono state contate 2.865.010 presenze con un 61,4% di italiani e il 38,6% di stranieri. Gli arrivi sono stati, invece, pari a 592.832 con un 67,1% di italiani e 32,9% di stranieri.In Lombardia, uno dei luoghi più apprezzati è il Po. Con i suoi 652 chilometri di lunghezza è uno dei fiumi più navigabili del nostro Paese. In tutto ci sono 12 tra porti veri e proprie banchine, 111 attracchi (3 in Piemonte, 39 in Lombardia, 36 in Emilia-Romagna, 33 in Veneto) e oltre 20 operatori fluviali per il noleggio di imbarcazioni o l'organizzazione di escursioni o vere e proprie crociere. Il tratto più bello? Quello del parco del Ticino, con centinaia di chilometri di percorsi percorribili, una volta attraccati, anche in bicicletta.Turismo fluviale non significa però solo house boat o battelli. In tutto il mondo il fiume sta diventando motivo di fascino estremo, al punto che grandi hotel di lusso hanno deciso di aprire le loro strutture nei pressi di percorsi fluviali importanti.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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