2025-03-04
Trump: «Non sopporto più Zelensky»
Donald Trump e Volodymyr Zelensky durante l'incontro alla Casa Bianca (Getty Images)
Non si placa la tensione dopo lo scontro nello Studio ovale. Il presidente ucraino definisce «molto, molto lontana» la fine della guerra, e scatena quello Usa: «Non poteva dire cose peggiori, l’America non è disposta a tollerarle a lungo. Come ho detto, non vuole accordi».Per permettere il riarmo, la Ue sta pensando di introdurre eccezioni al Patto di stabilità.Lo speciale contiene due articoli.È di nuovo scontro, ma stavolta a distanza, tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky. Domenica, parlando da Londra, il presidente ucraino ha definito un eventuale accordo di pace con Mosca «ancora molto, molto lontano». Parole, che hanno irritato l’inquilino della Casa Bianca. «Questa è la peggiore affermazione che Zelensky potesse fare e l’America non sopporterà ciò ancora per molto», ha tuonato ieri Trump su Truth. «Questa persona non vuole che ci sia la pace finché ha il sostegno dell’America e l’Europa, nell’incontro che ha avuto con Zelensky, ha dichiarato senza mezzi termini che non può fare il lavoro senza gli Usa. Probabilmente non è stata una grande affermazione da fare in termini di dimostrazione di forza contro la Russia», ha proseguito il presidente americano.Poco dopo, su X, il leader ucraino, in un tentativo di gettare acqua sul fuoco, ha auspicato la fine della guerra «il prima possibile». «Dobbiamo fermare la guerra e garantire la sicurezza», ha specificato, per poi aggiungere: «Stiamo lavorando con l’America e i nostri partner europei e speriamo molto nel sostegno degli Usa nel cammino verso la pace». Zelensky ha, insomma, citato prima gli Usa degli europei. E, soprattutto, è sembrato aprire a una cessazione dei combattimenti da attuare prima delle garanzie di sicurezza. Il tweet è quindi probabilmente interpretabile come un ramoscello d’ulivo rivolto alla Casa Bianca.Come che sia, il nuovo scontro fa seguito alla lite tra Trump e Zelensky, avvenuta venerdì nello studio ovale. E questo ulteriore battibecco è avvenuto poco prima di un incontro che, secondo Axios, l’inquilino della Casa Bianca aveva in programma, nella serata italiana di ieri, con il suo team di sicurezza nazionale, per valutare la possibilità di sospendere gli aiuti militari a Kiev. Nel momento in cui La Verità andava in stampa, non si avevano ancora notizie sull’esito del meeting. Ricordiamo comunque che, già nel 2023, l’attuale inviato americano per l’Ucraina, Keith Kellogg, aveva ipotizzato di subordinare l’assistenza bellica all’Ucraina alla disponibilità di Zelensky a sedersi al tavolo delle trattative con Vladimir Putin.A rendere ancora più fredde le relazioni tra Washington e Kiev sta il fatto che alcuni alti esponenti repubblicani hanno apertamente messo sul tavolo le dimissioni del presidente ucraino. «O deve tornare in sé e tornare al tavolo con gratitudine, oppure qualcun altro deve guidare il Paese per farlo», ha detto lo Speaker della Camera, Mike Johnson, riferendosi a Zelensky. Apertamente critico del presidente ucraino è diventato anche il senatore repubblicano, Lindsey Graham: uno che, fino alla lite nello studio ovale, era sempre stato tra i principali alleati di Zelensky. «O deve dimettersi e mandare qualcuno con cui possiamo avere a che fare, oppure deve cambiare», ha affermato Graham, parlando del presidente ucraino, che si è notevolmente risentito per queste affermazioni.Nel mezzo di questo gelo, ieri - prima del nuovo botta e risposta tra Trump e Zelensky - il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Mike Waltz, ha comunque aperto cautamente uno spiraglio. Ha, infatti, mostrato disponibilità a trattare con gli ucraini, ma a una condizione. «Quello che dobbiamo sentire dal presidente Zelensky è che si penta di quanto accaduto, che sia pronto a firmare questo accordo sui minerali e che sia pronto a impegnarsi in colloqui di pace», ha detto, per poi aggiungere: «La pazienza del popolo americano non è illimitata, i suoi portafogli non sono illimitati e le nostre scorte e munizioni non sono illimitate». Insomma, nell’amministrazione americana e nel mondo repubblicano si sta registrando una dialettica tra chi auspica che Zelensky si faccia direttamente da parte e chi chiede che vada a Canossa, per ricucire lo strappo. In questo quadro, ieri il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick, ha tuttavia escluso che Trump voglia le dimissioni del leader ucraino.Nel frattempo, il presidente americano ha respinto le critiche di chi lo accusa di voler favorire Mosca. «L’unico presidente che non ha ceduto alcun territorio dell’Ucraina alla Russia di Putin è Trump», ha dichiarato. Effettivamente è un dato di fatto che lo zar abbia aggredito l’Ucraina nel 2014, ai tempi dell’amministrazione Obama, e nel 2022, quando Joe Biden era alla Casa Bianca. Un altro dato di fatto è che Trump, nel 2019, diede i missili Javelin a Kiev, imponendo delle sanzioni al Nord Stream 2: sanzioni che fu Biden a revocare nel 2021. Trump ha anche criticato gli europei per la loro storica dipendenza dal gas russo. «L’Europa ha speso più soldi per acquistare petrolio e gas russi di quanti ne abbia spesi per difendere l’Ucraina», ha tuonato. Infine, è vero che, venerdì, il capo della Casa Bianca ha chiesto a Zelensky di accettare dei compromessi. Tuttavia, il mercoledì precedente, aveva anche detto che lo stesso Putin avrebbe dovuto fare delle concessioni in sede di trattative.Il punto è che la lite di venerdì e il nuovo scontro di ieri hanno fatto venire alla luce un problema di antica data: la divergenza tra gli obiettivi politico-militari di Washington e quelli di Kiev. Era marzo 2023, quando Politico riportò di dissidi, dietro le quinte, tra Zelensky e l’amministrazione Biden su varie questioni militari e strategiche. La testata riferì anche di funzionari americani irritati per il fatto che, nella consegna degli armamenti a Kiev da parte di Washington, il presidente ucraino «non aveva mostrato la dovuta gratitudine». Ora il dissidio è venuto alla luce del sole. Zelensky rifiuta compromessi e invoca l’integrità territoriale ucraina. Trump, dal canto suo, vuole ritagliarsi il ruolo di mediatore e spinge i due belligeranti ad accettare delle concessioni per farli sedere entrambi al tavolo senza precondizioni. È stata d’altronde la divergenza negli obiettivi, ragionano oggi alla Casa Bianca, a determinare l’attuale situazione di stallo in Ucraina.In tutto questo, non va trascurato che Trump sta inserendo la gestione della crisi ucraina nell’ottica di un obiettivo ben preciso: quello di separare il più possibile Mosca da Pechino. Oltre ai nuovi dazi americani al Dragone, l’attuale Casa Bianca ha finora marginalizzato il ruolo politico cinese nella questione ucraina, mentre giovedì Pechino ha definito «inutile» ogni eventuale sforzo americano di dividerla da Mosca. Segno che la Repubblica popolare ha perfettamente capito qual è il principale obiettivo dell’inquilino della Casa Bianca.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-zelensky-2671254979.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="starmer-gia-smentisce-leliseo-nessun-accordo-sulla-tregua" data-post-id="2671254979" data-published-at="1741036178" data-use-pagination="False"> Starmer già smentisce l’Eliseo: «Nessun accordo sulla tregua» La tregua in Ucraina proposta da Londra e Parigi, che doveva durare un mese, è durata una notte: lo stato confusionale in cui versa l’Europa (nella quale torniamo a comprendere politicamente anche la Gran Bretagna) fa registrare una ennesima rappresentazione plastica tra la tarda serata di domenica scorsa e ieri mattina. Di ritorno dal vertice di Londra, Emmanuel Macron annuncia che Francia e Gran Bretagna hanno elaborato un piano che prevede una tregua di un mese in Ucraina. Una tregua parziale, che riguarda solo «i cieli e i mari», spiega Macron a Le Figaro, e comprende «lo stop ai raid russi contro le infrastrutture energetiche». Una tregua di questo genere «sappiamo come misurarla», sottolinea Macron, mentre sarebbe impossibile verificarne l’attuazione sulle operazioni di terra, considerata l’immensa linea del fronte, «l’equivalente della linea Parigi-Budapest». La proposta è un po’ (eufemismo) cervellotica, ma almeno sembra concreta: il problema è che dal piano Francia-Gran Bretagna, la Gran Bretagna si sfila immediatamente. Alle 10 del mattino, il ministro delle forze armate britannico, Luke Pollard smentisce Macron: «Non è stato raggiunto alcun accordo», dichiara a Times Radio, «su come dovrebbe apparire la tregua. Ci sono diverse opzioni sul tavolo, che saranno oggetto di discussioni più approfondite con i partner americani ed europei, ma una tregua di un mese non è stata oggetto di un accordo». Pollard spiega che il timore di Volodymyr Zelensky è che una tregua limitata, «possa permettere alle forze russe di riorganizzarsi, riarmarsi, raggrupparsi e poi attaccare nuovamente. E questo chiaramente non sarebbe nell’interesse di nessuno». Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barro qualche minuto dopo spiega che la tregua mensile servirebbe a testare «la buona fede di Putin», ma ormai la frittata è fatta. Un portavoce di Keir Starmer nel pomeriggio derubrica la proposta a «una delle opzioni sul tavolo». Con questa mirabile chiarezza di idee e unità di intenti l’Unione si avvicina al Consiglio europeo straordinario sulla difesa di giovedì prossimo. L’unica cosa certa è che l’Europa si accinge a far crescere a dismisura le spese per gli armamenti. Lo dice chiaro e tondo Ursula von der Leyen: «Sto preparando intensamente il Consiglio europeo insieme al presidente Costa e domani (oggi, ndr) informerò gli Stati membri con una lettera sul piano per il riarmo dell’Europa. Senza alcun dubbio, abbiamo bisogno di un massiccio aumento della difesa. Vogliamo una pace duratura, ma una pace duratura può essere costruita solo sulla forza. E la forza», aggiunge la Von der Leyen, «inizia con il rafforzamento di noi stessi». Nelle bozze delle conclusioni del Consiglio europeo di giovedì prossimo circolate ieri le ulteriori forniture di armi all’Ucraina e quelle da acquistare per la difesa europea fanno la parte del leone, si parla di maggiore flessibilità nell’uso dei fondi strutturali e nell’ambito del Patto di stabilità e crescita, insomma non si bada a spese. Le industrie delle armi in Europa, inevitabilmente, fanno segnare record stellari in borsa, grazie a quella che viene definita «euforia da riarmo». Una certa euforia bellicista trapela anche dalle parole pronunciate ieri da Starmer che, a quanto riferisce l’Adnkronos, in un accorato discorso alla Camera dei comuni sostiene che «la Gran Bretagna avrà un ruolo leader per la pace in Ucraina. Se necessario, e insieme ad altri, con scarponi sul terreno e aerei nei cieli. È giusto che l’Europa si faccia carico del peso maggiore per sostenere la pace nel nostro continente. Ma per avere successo», aggiunge Starmer, «questo sforzo deve avere un deciso sostegno degli Usa. Accolgo con favore il continuo impegno del presidente Donald Trump per questa pace. La Russia è una minaccia per i nostri mari e cieli. Per la sicurezza del nostro continente, per la sicurezza del nostro Paese e per la sicurezza dei britannici, ora dobbiamo vincere la pace. Il Regno Unito continuerà a mantenere il flusso di aiuti militari all’Ucraina». Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius in serata ha discusso in videoconferenza con i colleghi di Francia, Italia, Gran Bretagna e Polonia in una videoconferenza nel formato G5. Tutti hanno concordato sul fatto che si potrà contare sul continuo e ampio sostegno del Gruppo dei Cinque all’Ucraina. «Noi europei siamo più forti di quanto crediamo. E ci comportiamo come se fossimo deboli», chiosa il premier francese, François Bayrou. Una cosa almeno è chiara anche a lui: i leader europei avrebbero bisogno di un ottimo psicoterapeuta.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci