2025-10-02
Trump sottomette Pfizer sui prezzi
Al contrario di Ursula Von der Leyen, che in passato ha chinato il capo a Big Pharma, il tycoon ha costretto il colosso ad abbassare i costi dei farmaci per i consumatori americani.Che l’obiettivo di Donald J. Trump - mantenere le promesse elettorali - rappresenti il paradigma esattamente opposto rispetto ai target che si è prefissata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, lo si era capito da tempo. Ma l’accordo stipulato tra il presidente degli Stati Uniti e la casa farmaceutica Pfizer per abbassare sensibilmente il prezzo dei medicinali più comuni e venire pragmaticamente incontro alle esigenze dei cittadini, ne è l’ennesima, importante dimostrazione. Del resto, uno è stato eletto dai cittadini, l’altra no; dove uno fa i loro interessi, l’altra s’inchina a quelli dei grandi capitali; dove uno sfida la finanza, anche soltanto con il prosaico obiettivo di essere rieletto, l’altra continua a servire l’industria di turno, ieri quella farmaceutica, oggi quella degli armamenti. Fatto sta che l’accordo stipulato fra l’amministrazione Usa e Pfizer è davvero storico: la «maison» produttrice del vaccino più famoso della storia, quello contro il Covid - che in pandemia era riuscita a portare i suoi ricavi a 81,2 miliardi di dollari nel 2021 e 100,33 miliardi di dollari nel 2022 grazie alle agevolazioni consentite da Joe Biden negli Usa e da von der Leyen in Europa - ha accettato per la prima volta di abbassare i prezzi dei farmaci. Gran parte dei trattamenti di assistenza primaria e alcuni medicinali specifici saranno offerti con lo sconto dell’85% e in media tutti costeranno il 50% in meno. Tra i medicinali scontati, elencati in conferenza stampa dal presidente insieme con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, e dal Segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr., c’è quello per l’artrite reumatoide Xeljanz, che ha un prezzo di listino di oltre 6.000 dollari al mese, il farmaco anti emicrania Zavzpret, quello contro la dermatite Eucrisa e il farmaco per l’osteoporosi post-menopausa Duavee.«Pfizer si è impegnata a offrire tutti i farmaci da prescrizione nell’ambito di Medicaid - ha spiegato Trump, riferendosi al programma di assistenza sanitaria pubblica per i redditi più bassi, che copre circa 70 milioni di americani - e questo avrà un enorme impatto sui costi». Non solo: Pfizer venderà anche alcuni dei medicinali da banco più popolari a prezzi scontati: saranno disponibili per la vendita online su un sito gestito dal governo federale, chiamato TrumpRx, che verrà lanciato nel 2026. «Gli altri produttori di farmaci seguiranno l’esempio», ha promesso il presidente Usa: e in effetti, se martedì le azioni di Pfizer sono aumentate di oltre il 6%, la notizia ha sollevato anche le quotazioni di Eli Lilly, Merck, Amgen, AbbVie e Gsk Glaxo. L’iniziativa di Trump era più che necessaria: attualmente i pazienti statunitensi pagano per i farmaci da prescrizione quasi tre volte in più, per lo stesso farmaco, rispetto ad altre nazioni sviluppate. «Gli Stati Uniti non sovvenzioneranno più l’assistenza sanitaria del resto del mondo», ha dichiarato Trump, che il 25 settembre aveva annunciato dazi del 100% sulle importazioni di prodotti farmaceutici di marca o brevettati a partire dal primo di ottobre, a meno che le aziende non li producessero negli Stati Uniti.È per questo motivo che a luglio il presidente Usa ha contattato 17 importanti aziende farmaceutiche americane chiedendo loro di tagliare i prezzi per allinearsi a quelli pagati all’estero. Le aziende hanno avuto tempo fino al 29 settembre per rispondere: Pfizer è la prima compagnia farmaceutica ad aver accettato l’accordo e investirà 70 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo e produzione nazionale, in cambio dell’esenzione dai dazi per tre anni, «a condizione che spostiamo la produzione qui», ha precisato Bourla. L’azienda ha circa nove siti di produzione negli Stati Uniti rispetto ai 28 aperti in altre parti del mondo, dall’Irlanda al Giappone.Un’attitudine, quella di Trump, esattamente opposta a quella di Ursula von der Leyen, che in pandemia ha rifiutato i vaccini anglo-svedesi (dunque, europei) di Astrazeneca per favorire l’invasione nel mercato Ue di quelli prodotti dalle aziende americane Pfizer e Moderna, a prezzi oltretutto molto più elevati: Astrazeneca costava 2,9 dollari a dose, contro i 15,50 euro a dose di Pfizer. L’1 agosto 2021, donna Ursula ha accettato l’aumento a 19,50 euro a dose (23,15 dollari per gli Usa). Nei mesi successivi, alcune testate europee hanno reso noto che il costo era ulteriormente salito a 22,50 euro. Non male per una che dovrebbe fare gli interessi dei consumatori. Non contenta, la presidente della Commissione europea ha avviato nel 2023 la riforma del mercato dei medicinali, che sta arrivando alla fase finale dei negoziati. Preoccupata di risolvere il problema dell’accessibilità logistica, a rischio per la carenza di materie prime, la Commissione si è dimenticata dell’accessibilità economica: i costi per energia e logistica, da quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, sono aumentati del 350%, mentre quelli per principi attivi, eccipienti e altri componenti hanno subito un rincaro del 25%. L’invito di von der Leyen a delocalizzare la produzione altrove, dunque, rischia di affossare definitivamente l’industria europea del farmaco, anziché sostenerla. L’Europa sarà semplicemente consumatrice dell’innovazione medica di altri continenti.
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La Fondazione per la scuola italiana, ente non profit finanziato da privati, ha lanciato un bando da 600mila euro per sostenere le venti filiere più significative del modello di formazione tecnico-professionale 4+2. L’iniziativa è realizzata con il supporto scientifico dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire).
Con l’ultimo Decreto legge Scuola, il percorso 4+2 — che consente di conseguire il diploma in quattro anni e proseguire con due anni di specializzazione presso gli ITS Academy — è entrato a regime, affiancando i tradizionali percorsi quinquennali. Il bando è rivolto agli istituti capofila che abbiano sottoscritto un accordo di rete con gli altri soggetti della filiera. Le candidature devono essere presentate entro il 24 ottobre e saranno valutate da una commissione di esperti nominata dalla Fondazione.
La graduatoria terrà conto di diversi criteri, tra cui il numero di ore di laboratorio nelle discipline STEM e nelle imprese, la progettazione di unità didattiche interdisciplinari, la formazione specifica dei docenti, il sistema di monitoraggio, i progetti di economia circolare e quelli di internazionalizzazione. Le venti filiere vincitrici, selezionate nel limite di cinque per indirizzo e tre per regione, potranno investire i fondi per rafforzare la didattica innovativa, avviare programmi di scambio con l’estero e potenziare l’orientamento dei diplomati.
«L’obiettivo non è solo premiare i progetti più efficaci, ma diffondere buone pratiche replicabili a livello nazionale», ha spiegato il presidente della Fondazione, Stefano Simontacchi, sottolineando anche l’attenzione alle aree svantaggiate nella ripartizione dei fondi.
Secondo Francesco Manfredi, presidente di Indire, il consolidamento del modello 4+2 passa da «un accompagnamento scientifico qualificato, monitoraggi costanti e un lavoro metodologico condiviso». L’obiettivo è costruire percorsi formativi capaci di rispondere meglio alle esigenze culturali e professionali delle nuove generazioni.
Il bando si inserisce nell’accordo tra la Fondazione e Indire per l’attuazione del Piano nazionale di accompagnamento alla sperimentazione della filiera tecnologico-professionale. Parallelamente, la Fondazione porta avanti il programma EduCare per sostenere singole scuole con progetti su laboratori didattici, efficientamento energetico e sicurezza infrastrutturale.
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