
Gli Usa si ritirano: «Guerra tribale, i curdi sono stati ripagati per l'aiuto dato contro l'Isis». Ankara è pronta a invadere il Nord del Paese. Bruxelles si oppone, ma è impotente: il Sultano ci ricatta con migliaia di profughi.Svolta degli Stati Uniti sul dossier siriano. Domenica la Casa Bianca ha diffuso un comunicato in cui ha annunciato il ritiro delle truppe americane dal Nordest del Paese, dando così il via libera a un'imminente invasione del territorio da parte della Turchia. Già nella giornata di ieri, secondo Politico, i soldati statunitensi avrebbero iniziato a ritirarsi dalle proprie posizioni. Lo stesso presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha confermato che Washington avrebbe avviato le operazioni di abbandono. «Dopo la nostra conversazione della scorsa notte (con Trump), il ritiro è iniziato come espresso dal presidente», ha dichiarato il leader turco. La mossa della Casa Bianca lascia di fatto soli i curdi che - nel corso della lotta contro lo Stato islamico - sono stati stretti alleati degli americani: quegli stessi curdi che non hanno affatto apprezzato la scelta di Trump e che paventano adesso non solo una rinascita dell'Isis ma anche (e soprattutto) un violento attacco da parte di Erdogan, che li considera temibili terroristi.Trump, dal canto suo, sembra aver adottato questa linea per ragioni di natura principalmente elettorale. Ieri, su Twitter, ha non a caso dichiarato: «Sono stato eletto per uscire da queste ridicole guerre senza fine». «I curdi», ha proseguito, «hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati con enormi quantità di denaro e attrezzature per farlo. Combattono la Turchia da decenni. Mi sono trattenuto per quasi 3 anni, ma è tempo per noi di uscire da queste ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali, e di portare a casa i nostri soldati». «Se la Turchia», ha poi precisato, «farà qualcosa che io, nella mia grande e ineguagliata saggezza, considero “off limits", distruggerò e cancellerò totalmente l'economia della Turchia». Sotto questo profilo, non bisogna d'altronde dimenticare che - nel 2016 - Trump vinse le elezioni anche grazie alla promessa di porre un freno alle cosiddette «guerre senza fine» in cui gli Usa erano rimasti impigliati. Un elemento che è tornato al centro del dibattito politico americano, soprattutto a causa della campagna elettorale in corso per le presidenziali del 2020. Sono infatti numerosi i candidati democratici che stanno accusando Trump di non aver fatto abbastanza su questo fronte. E, conoscendo l'insofferenza di gran parte dell'elettorato americano verso i conflitti in giro per il mondo, il presidente vuole accelerare il ritiro delle truppe statunitensi da alcuni scenari caldi, come l'Afghanistan e la stessa Siria. La mossa di Trump ha tuttavia causato forte scetticismo da parte di alcuni importanti esponenti del Partito repubblicano, a cominciare dal senatore del South Carolina, Lindsey Graham, secondo cui il ritiro americano favorirà la rinascita dell'Isis e rafforzerà il presidente siriano, Bashar al Assad, e l'Iran.In questo complicato contesto, la posizione della Russia non è ancora chiara. «Il Cremlino sa che la Turchia è impegnata al principio dell'integrità territoriale e politica della Siria. Speriamo che i nostri colleghi turchi aderiscano a questo principio», ha dichiarato ieri il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Nonostante le mire espansive turche costituiscano un indubbio problema, è altrettanto vero che Vladimir Putin e il suo alleato Assad possono trarre beneficio da un indebolimento dei curdi ad opera del Sultano. Senza poi dimenticare come, negli ultimi anni, Mosca e Ankara si siano avvicinate sempre di più sotto il profilo economico e geopolitico. Russia, Turchia e Iran sembrerebbero intenzionati a raggiungere una sorta di tacito accordo, approfittando del disimpegno americano.Una certa agitazione si registra invece nel Vecchio Continente, con una portavoce della Commissione europea che ha affermato: «L'Ue ribadisce la sua preoccupazione […] Ogni soluzione a questo conflitto non può essere militare bensì deve passare attraverso una transizione politica». Bruxelles ha di che temere. In primo luogo, un attacco di Erdogan contro i curdi rischia di mettere seriamente in imbarazzo l'Unione europea, che è legata ad Ankara da un controverso accordo sui migranti, siglato nel 2016: un accordo che è costato finora moltissimo a Bruxelles (soprattutto in termini finanziari). In secondo luogo, la Turchia ha annunciato di voler estradare nei Paesi d'origine i miliziani dell'Isis attualmente prigionieri nel Nordest della Siria, una volta preso il controllo dell'area: una questione che chiama principalmente in causa Francia e Germania. Del resto, per il Sultano si tratta di una scelta che può sorgere da due ragioni: venire incontro a Trump e aumentare il proprio potere di ricatto verso Bruxelles. Non solo, lo scorso agosto il presidente americano aveva auspicato che Parigi e Berlino si prendessero i propri foreign fighter con annessi oneri, ma la Turchia ha anche fatto recentemente sapere di voler rinegoziare l'accordo sui migranti del 2016. In quest'ottica, la questione dell'estradizione dei foreign fighter potrebbe rappresentare un efficace strumento di pressione, per portare Bruxelles su posizioni più arrendevoli.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





