2021-02-28
Trump è pronto a riprendersi il partito
The Donald oggi parlerà alla conferenza annuale dei conservatori statunitensi, da dove nel 2011 partì la sua discesa in campo Il tycoon si proporrà come guida dell'Elefantino. Metà dell'elettorato repubblicano, infatti, lo vorrebbe ancora leader del Gop.Sta tornando. E non sembra avere intenzione di andarsene tanto facilmente. Donald Trump parlerà oggi alla Conservative political action conference (Cpac): la conferenza annuale, organizzata dall'American conservative union, a cui prendono tradizionalmente parte esponenti politici ed attivisti di fede conservatrice (statunitensi e non). La partecipazione dell'ex presidente americano è significativa sotto due punti di vista. Sul piano politico, perché si tratta del suo primo comizio, da quando ha lasciato la Casa Bianca; sul piano simbolico, perché Trump avviò di fatto il proprio impegno pubblico con un discorso tenuto alla Cpac del 2011. Insomma, l'ex presidente da qui è partito e qui ha intenzione di tornare, per riprendere in mano le redini dell'elefantino. D'altronde, l'evento - iniziato giovedì a Orlando - sta mostrando un sentimento decisamente trumpiano: gli oratori succedutisi hanno infatti evidenziato un forte sostegno nei confronti dell'ex inquilino della Casa Bianca: dai senatori repubblicani Ted Cruz, Josh Hawley, Tom Cotton e Rick Scott al figlio dello stesso Trump, Donald jr, passando per il deputato Matt Gaetz. E adesso cresce l'attesa per quel che dirà il magnate newyorchese. Secondo anticipazioni riportate dai media, Trump toccherà tre punti. In primis, si proporrà come leader dell'elefantino, mettendo nel mirino quella parte di establishment repubblicano che sta cercando di neutralizzarlo e che magari ha anche votato per condannarlo nel corso del suo secondo processo di impeachment (pensiamo a Liz Cheney o a Mitt Romney). In secondo luogo, nonostante sia improbabile il lancio di una candidatura ufficiale già oggi, l'ex presidente lascerà intendere la probabile intenzione di tornare in campo per il 2024. Infine, sono previste bordate contro Joe Biden, soprattutto - pare - sul fronte delle politiche migratorie. Il neo presidente ha del resto siglato vari ordini esecutivi per sconfessare la linea dura del predecessore. Tutto questo, al netto comunque di qualche paradosso (visto che sta riaprendo quei centri di accoglienza per immigrati minorenni, dai dem criticati, che lo stesso Trump aveva chiuso tra le polemiche due anni fa). È quindi possibile che l'ex presidente metterà in luce tali incongruenze, tornando ad additare Biden come ostaggio delle correnti più a sinistra del Partito democratico. La sfida principale riguarda quindi la leadership dell'elefantino. Se dopo l'irruzione al Campidoglio Trump era finito all'angolo, l'assoluzione nell'ultimo processo di impeachment ha costituito un punto di svolta. I suoi avversari non sono infatti riusciti a privarlo dell'agibilità politica. Una circostanza, questa, che va associata al consenso di cui l'ex presidente ancora gode (almeno per ora) tra la base repubblicana: stando a un recente sondaggio di Cnbc, il 48% degli elettori repubblicani vorrebbe Trump leader del partito, mentre - secondo una rilevazione della Suffolk University - il 46% lo seguirebbe in un eventuale nuovo contenitore politico. Forte di questi numeri, l'ex presidente sta usando lo spauracchio del partito personale per mettere sotto pressione le alte sfere dell'elefantino. E, in parte, sta avendo successo. Alcuni big che fino a un mese fa erano severamente critici nei suoi confronti (dal capogruppo al Senato, Mitch McConnell, all'ex ambasciatrice all'Onu, Nikki Haley) hanno da qualche giorno assunto toni più concilianti verso The Donald. È ovvio che da qui al 2024 la strada è lunga e che si stagliano varie incognite sul futuro di Trump (l'età, una salute non ottimale, le indagini giudiziarie in corso). Quel che emerge tuttavia è che, si candidi o meno, l'ex presidente ha al momento le carte in regola per tornare ad essere il kingmaker del Partito repubblicano. E quindi chi (come la Haley o Cruz) guarda con interesse alla nomination del 2024 non può permettersi di ritrovarselo come nemico. D'altronde, al netto di indubbi limiti ed errori, il trumpismo ha permesso all'elefantino di allargare la propria base elettorale (dalle minoranze etniche alla classe operaia della Rust Belt): ragion per cui, agire secondo una logica di mera restaurazione rischierebbe di rivelarsi politicamente suicida. E attenzione: perché questa Cpac avrà risvolti anche per il nostro Paese. A Orlando sono infatti presenti Susanna Ceccardi, Silvia Sardone e Paolo Borchia per la Lega e Carlo Fidanza per Fratelli d'Italia. I due partiti - storicamente vicini per sensibilità ai repubblicani americani - prendono parte a questa Cpac da posizioni contemporaneamente convergenti e distinte. Convergenti perché alleati nel centrodestra e di comune ancoraggio atlantista; distinte perché una al governo e l'altra all'opposizione. Pur nelle reciproche differenze, entrambi i partiti evidenziano, con questa partecipazione, la consapevolezza di dover intrecciare rapporti con il mondo repubblicano d'oltreatlantico. Il che va al di là della banalizzazione dei «sovranisti alla corte di Trump», come ha detto qualcuno. La questione è molto più complessa. Lega e Fratelli d'Italia sanno che, soprattutto nella prospettiva di un'alleanza che miri al governo dell'Italia, è impellente inserirsi in una rete internazionale. Una rete che, pur nella sua natura variegata, sposi determinati principi e determinati valori. Perché, piaccia o meno, c'è vita al di là del liberal - progressismo.
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