2020-10-17
Trump deve battere pure la stampa nemica
Il duello impari tra i candidati in tv: il presidente incalzato dalla moderatrice, allo sfidante dem nemmeno una domanda sugli scandali finanziari del figlio in Ucraina e sui rapporti con un uomo d'affari cinese. The Donald in rimonta in Florida.Il premier inglese minaccia il «no deal». A rischio 20 miliardi di export italiano.Lo speciale contiene due articoli.Imbarazzante. Non c'è altro modo per descrivere la serata elettorale di mercoledì scorso, quando Donald Trump e Joe Biden si sono sfidati a distanza in due show televisivi differenti e andati contemporaneamente in onda: show in cui erano previste anche domande del pubblico (il cosiddetto modello townhall). Il primo su Nbc News e il secondo su Abc News. Gran parte della stampa ha già decretato il candidato democratico come vincitore della disfida catodica. Biden – è stato detto – era sicuro di sé, mentre Trump ha navigato in mezzo alle difficoltà. Eppure a ben vedere forse questo giudizio non tiene conto di un elemento decisivo: ovvero del fatto che, nonostante il medesimo format e la medesima ora, quei due spettacoli fossero incommensurabili. Se infatti Biden si è trovato in un salotto, Trump è dovuto salire su un ring. In parole povere, il consueto doppiopesismo di parte della grande stampa americana ha colpito ancora. L'inquilino della Casa Bianca è stato continuamente incalzato (e spesso interrotto) dalla moderatrice Savannah Guthrie, che è andata all'attacco sulla gestione della pandemia, il suprematismo bianco, la dichiarazione dei redditi e il controverso mondo di QAnon. «Non sei lo zio pazzo di qualcuno che può ritwittare qualsiasi cosa», ha detto al presidente la giornalista. Sull'altro canale, Biden parlava invece tranquillo, ampiamente e senza domande scomode da parte del pubblico e del suo intervistatore, George Stephanopoulos. Un intervistatore che non solo non gli ha chiesto nulla sui dubbi che circolano sul suo stato di salute e sulle contraddizioni politiche interne al Partito democratico. Ma che ha anche totalmente evitato di interrogare l'ex vicepresidente sul recente scoop del New York Post: uno scoop che ha mostrato come, nel 2015, il figlio di Biden, Hunter, abbia probabilmente presentato al padre – all'epoca vicepresidente in carica – un dirigente dell'azienda ucraina in cui lo stesso Hunter lavorava, Burisma Holdings. E, guarda caso, poco tempo dopo l'attuale candidato dem si diede da fare per costringere l'allora presidente ucraino, Petro Poroshenko, a silurare il procuratore che stava indagando sulla stessa Burisma per corruzione. Ci si sarebbe attesi almeno un accenno: anche perché il candidato dem ha sempre detto di non aver mai avuto nulla a che fare con gli affari all'estero del figlio. E invece niente. Tra l'altro, Fox News ha rivelato che tra i membri del pubblico che hanno posto una domanda a Biden ci fosse l'ex speechwriter di Barack Obama, Nathan Osburn. Del resto, il doppiopesismo di certa stampa americana non è una novità. Nel corso di questa campagna elettorale, assai raramente Biden è stato incalzato dai giornalisti e ha spesso evitato di rispondere alle domande che gli venivano poste. La testata conservatrice Washington Examiner riportò che, tra luglio e agosto, Trump ha accettato 635 domande dalla stampa. Nello stesso periodo Biden si è fermato a quota 80. Quando invece, lo scorso agosto, un giornalista della Cbs chiese all'ex vicepresidente se si fosse sottoposto a test cognitivo, il candidato dem andò su tutte le furie. Tutto questo, mentre il New York Times attese più di due settimane per riportare la notizia che una donna, Tara Reade, avesse accusato l'ex vicepresidente di aggressione sessuale. Come nel 2016, si sta insomma replicando l'attacco concentrico dei grandi media contro Trump.Nel frattempo continua ad aggravarsi la posizione di Hunter. Mercoledì, il New York Post ha riferito che, sulla base di una mail dell'agosto 2017, il figlio di Biden avrebbe cercato di incassare una quota annuale di 10 milioni di dollari «solo per le presentazioni» da Ye Jianming: controverso miliardario cinese accusato di corruzione. Una figura che, secondo il Financial Times, intratteneva stretti legami con l'esercito della Repubblica popolare. Novità si sono registrate anche da Twitter che, dopo aver bloccato la diffusione dello scoop del Post, ha annunciato un ammorbidimento sulle sue politiche di condivisione dei contenuti. Evidentemente l'intenzione, espressa dai senatori repubblicani, di convocare in audizione Jack Dorsey deve aver sortito qualche effetto. La campagna elettorale intanto non si ferma. E qualche buona notizia per il presidente arriva dagli Stati chiave: soprattutto dalla Florida, dove – secondo la media sondaggistica di Real Clear Politcs – Biden ha visto scendere il suo vantaggio locale in quattro giorni da 3,7 a 1,7 punti. E proprio in Florida si è recato il presidente nelle scorse ore per tenere eventi elettorali con l'obiettivo di rivolgersi soprattutto ai votanti anziani. Il candidato dem è invece andato in Michigan per parlare di assistenza sanitaria. In particolare, Biden attende mercoledì, quando Obama dovrebbe iniziare a fare campagna per lui. In tutto questo, Cnbc ha riportato ieri il parere del sondaggista filo-repubblicano, Frank Luntz, secondo cui gli elettori indecisi sarebbero attualmente dilaniati dal dilemma: costoro –secondo l'analista – non apprezzano Trump a livello personale, ma si dicono al contempo spaventati dalle politiche di Biden.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-deve-battere-pure-la-stampa-nemica-2648233041.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="brexit-l-ultimatum-di-bojo-all-a-ue-pronti-all-addio-senza-accordi" data-post-id="2648233041" data-published-at="1602885902" data-use-pagination="False"> Brexit, l'ultimatum di Bojo all a Ue. «Pronti all'addio senza accordi” Sempre più vicina l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea senza alcun accordo. Ad annunciarlo ieri è stato il primo ministro Boris Johnson, in un discorso breve ma deciso, pronunciato dopo che il Consiglio europeo gli aveva fatto fretta, lanciando un ultimatum a cambiare atteggiamento nei negoziati sulla Brexit. La sua reazione è stata netta: il no deal gli sembra l'unica possibilità. Nonostante le conseguenze che si porta dietro, da visti e frontiere per chi viaggia fino al ritorno dei dazi e delle dogane, che potrebbero mettere in difficoltà le aziende italiane, che esportano Oltremanica qualcosa come 20 miliardi all'anno di merci. Una prospettiva che spaventa su entrambe le coste, visto che se in Europa ci saranno danni per i produttori, in Gran Bretagna a soffrire saranno i consumatori, che vedranno lievitare il prezzo di certi beni cui si erano abituati, dal vino ai capi dei grandi marchi italiani e francesi. Eppure il primo ministro britannico ha sottolineato che non ha più voglia di scherzare. «Sin dall'inizio del periodo di transizione abbiamo obbedito alle leggi europee, versato i nostri contributi senza avere diritto di voto, lavorando per una relazione futura serena», ha detto. «Non chiedevamo tanto, un accordo sullo stile di quello del Canada basato su amicizia e libero commercio, ma i partner europei vogliono continuare a controllare la nostra libertà a livello legislativo e in termini di pesca, in un modo inaccettabile per un paese indipendente». Anche perché secondo Johnson negli ultimi mesi gli emissari europei non hanno lavorato seriamente per trovare una soluzione, ma si sono limitati solo a escludere l'idea della formula canadese. Dunque, visto che il tempo stringe e sono rimaste solo dieci settimane prima del primo gennaio, data effettiva del divorzio tra Londra e Bruxelles, il Paese si deve preparare. Johnson ha fatto appello ai suoi concittadini: commercianti, aziende e viaggiatori si organizzino, sul modello dell'Australia, che non ha accordi con l'Unione europea. «Prospereremo come uno stato indipendente e libero di fare scambi commerciali con le altre nazioni, un Paese che controlla i suoi confini, le sue acque territoriali, le sue leggi» ha proclamato il premier nel suo discorso, al termine del quale, però, ha precisato che si continuerà comunque a discutere sui dettagli pratici, dove peraltro sono stati fatti dei progressi in alcuni settori. A suo parere basterebbe che l'Europa cambiasse il suo approccio in modo fondamentale, accettando uno schema come quello canadese. Una rottura netta, dunque, a meno che – come suggerisce qualcuno - Johnson non abbia pensato di fare la voce grossa nel tentativo di spingere l'Europa a concedere di più. Una speranza infondata, almeno a giudicare dalle reazioni della controparte. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, su Twitter, ha precisato che «l'Unione vuole un'intesa ma non a tutti i costi» e che la prossima settimana manderà i suoi emissari a Londra per continuare a ragionare su un accordo. Mentre il presidente francese Emmanuel Macron è stato più secco: «I dirigenti dei 27 paesi membri Ue non hanno come loro compito quello di rendere felice il premier britannico. Nonostante ciò che è stato detto loro nel referendum sulla Brexit i britannici hanno bisogno del nostro mercato unico: sono molto più dipendenti da noi che noi da loro».