
In vista delle elezioni di metà mandato, a novembre, il presidente deve mantenere la presa sullo «zoccolo duro» che apprezza la difesa dell'industria tradizionale made in Usa. E chiede ad Angela Merkel reciprocità nei rapporti commerciali.Torna alta la tensione commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. Martedì scorso, durante un comizio in West Virginia, il presidente americano, Donald Trump, ha affermato di voler imporre dazi piuttosto pesanti sull'importazione di automobili europee. «Metteremo una tassa del 25% su ogni automobile che arriva negli Stati Uniti dall'Unione Europea», ha affermato il magnate. La dichiarazione del presidente arriva poco dopo un'intervista del Segretario al Commercio americano, Wilbur Ross, al Wall Street Journal in cui annunciava il rinvio della scadenza di agosto per la pubblicazione di un rapporto sulle tariffe automobilistiche, visti i negoziati in corso con Canada, Messico e Unione Europea. Insomma, le relazioni commerciali tra Washington e Bruxelles tornano a farsi complicate. E questo nonostante il parziale disgelo celebrato appena un mese fa, quando le due parti sembravano aver raggiunto un accordo sulla questione dei dazi automobilistici. A fine luglio, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, si era infatti recato in visita a Washington ed era riuscito a strappare la promessa a Trump di non aumentare le tariffe sull'import di auto provenienti dall'Unione europea. Una schiarita non di poco conto, arrivata dopo mesi di turbolenze. Mesi, in cui né il presidente francese, Emmanuel Macron, né la cancelliera tedesca, Angela Merkel, erano stati capaci di far cambiare idea all'inquilino della Casa Bianca.Ciò nonostante sulla tregua incombe adesso questa minaccia, che potrebbe provocare una nuova escalation commerciale con Bruxelles. Certo: dalle parti dell'amministrazione americana si sta cercando di minimizzare le affermazioni di Trump, derubricandole a retorica da comizio. Qualcosa, insomma, che non mirerebbe ad intaccare l'intesa raggiunta con Juncker. Eppure, la situazione potrebbe rivelarsi più complicata del previsto. E, del resto, il rinnovato attacco all'Europa da parte di Trump si inserisce all'interno di un contesto ben preciso: quello della politica interna americana. Non dimentichiamo infatti che, a novembre, si terranno le elezioni di metà mandato, in cui si rinnoverà la totalità della Camera e un terzo del Senato. Un appuntamento importantissimo per Trump che sta ovviamente facendo di tutto per evitare di ritrovarsi con un Congresso avverso. In questo senso, il presidente sa di dover mantenere la presa sullo zoccolo duro del suo elettorato storico: la classe operaia impoverita della Rust Belt. Una quota elettorale che apprezza sensibilmente la difesa dell'industria tradizionale americana (soprattutto automobilistica). È, del resto, proprio per venire incontro a questa frangia che Trump sta optando ormai da mesi per una politica economica di stampo protezionista. E, guarda caso, non è un mistero che proprio la classe operaia della Rust Belt non nutra storicamente particolare simpatia sia per la Cina che per la Germania. Se - nonostante alcuni negoziati in corso - i rapporti con Pechino restano al momento particolarmente tesi, sul fronte tedesco le cose non vanno molto meglio. Donald Trump attacca da sempre Berlino per il suo surplus commerciale nel settore automobilistico. Una linea durissima che, all'interno dello staff presidenziale, viene alacremente sostenuta dal consigliere al commercio, Peter Navarro: altro storico critico delle pratiche commerciali teutoniche. È allora chiaro come la recente minaccia di nuovi dazi al 25% sull'import di automobili europee voglia configurarsi come una misura prevalentemente antitedesca. Una misura che ha un obiettivo principalmente di carattere elettorale. Alla luce di tutto questo, la minaccia del magnate potrebbe rivelarsi qualcosa di più sostanzioso di una semplice boutade da comizio. Anche perché sarà pur vero che l'imposizione di tariffe così alte possa alla fine rivelarsi almeno in parte controproducente per lo Zio Sam (non dimentichiamo infatti che aziende automobilistiche tedesche come Daimler, Mercedes e Bmw hanno grandi stabilimenti produttivi sul territorio statunitense). Ma è altrettanto vero che, alla fin fine, ciò che Trump chiede ad Angela Merkel altro non è se non reciprocità nei rapporti commerciali. Una reciprocità che la cancelliera, a maggio scorso, si è detta indisponibile a concedere. Un atteggiamento che spiega quindi la furia commerciale di Trump. Negli anni Ottanta, anche un liberista di ferro come Ronald Reagan, del resto, impose dazi su vari prodotti di importazione giapponese (tra cui proprio le automobili). Quelle misure non si rivelarono indolori per i consumatori americani. Ma, alla fine, costrinsero Tokyo a giocare secondo regole commerciali corrette. Ecco: non è escluso che Trump, quando tratta con Berlino, abbia questo esempio in testa.
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