
Al di là delle dichiarazioni diplomatiche sul sostegno di Washington a Kiev, dal colloquio telefonico di ieri tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky non è emersa alcuna svolta significativa, anche perché la linea tracciata il giorno prima da Trump e Putin sembra già definita e, per ora, lascia poco margine al leader ucraino. Durante la conversazione, il tycoon ha offerto nuove garanzie sul sostegno americano, ma ha anche informato Zelensky del colloquio di giovedì con lo zar.
Dieci giorni fa Daniele Ruvinetti, senior advisor della Fondazione Med-Or, in un’intervista al nostro quotidiano, anticipava una chiave di lettura destinata a far discutere: il cessate il fuoco tra Israele e Iran sarebbe stato possibile solo grazie a un accordo sotterraneo tra Trump e Putin. «I due attori principali sono stati Trump e Putin », spiegava Ruvinetti, «il presidente americano probabilmente ha fermato Israele, e quello russo ha fermato a sua volta l’Iran». Ma l’aspetto più significativo di quell’intesa, aggiungeva, era che Mosca avrebbe ottenuto in cambio maggiore libertà d’azione su altri dossier: «Putin sicuramente avrà detto a Trump: “Io ti aiuto, ma tu mi devi concedere mani libere sull’Ucraina”». A dieci giorni di distanza, la sequenza dei fatti sembra confermare quella lettura.
Dopo la telefonata di giovedì tra Trump e Putin, il quadro si è ulteriormente definito. Dal Cremlino, lo zar ha ribadito la linea già nota: nessuna intenzione di arretrare sui propri obiettivi in Ucraina. Il tycoon, da parte sua, avrebbe espresso insoddisfazione, ma senza annunciare cambi di rotta. Già il giorno precedente, mercoledì, il Pentagono aveva deciso di sospendere la fornitura di armi a Kiev: una scelta formalmente motivata con ragioni logistiche, ma che politicamente è apparsa come un segnale verso Mosca; anche se proprio Trump, dopo il colloquio con Putin ha smentito di aver bloccato l’invio di armi a Kiev: «Continuiamo a mandarle, dovevamo solo verificare che ne avessimo abbastanza per noi». Parallelamente, nelle stesse ore, le forze russe hanno intensificato i bombardamenti, quasi a voler consolidare le proprie posizioni sul campo prima che si definiscano i nuovi equilibri. Un ulteriore indizio è arrivato ieri da Politico, che ha rivelato come Steve Witkoff, inviato speciale della Casa Bianca, stia lavorando a un piano per revocare le sanzioni energetiche contro la Russia, altro elemento che si inserisce nel disegno negoziale tra i due presidenti, così come il fatto cheThe Donald abbia deciso di confrontarsi prima con Putin e poi con Zelensky. Il colloquio con il leader ucraino è avvenuto infatti ieri pomeriggio. Stando a quanto riportato dal giornalista di Axios Barak Ravid i due avrebbero avuto una «buona conversazione» durata circa 40 minuti. Il consigliere presidenziale ucraino Andri Yermak ha parlato di «un dialogo molto importante e significativo tra i presidenti» in cui ufficialmente si è discusso dell’escalation degli attacchi russi degli ultimi giorni e della fornitura di difesa aerea americana a Kiev. Più nello specifico è entrato Zelensky, che su Telegram ha scritto: «Abbiamo discusso le opzioni di difesa aerea e concordato di collaborare per rafforzare la protezione del nostro spazio aereo». Si tratta di dichiarazioni che, come avviene in ogni trattativa diplomatica, fanno parte del gioco negoziale: il vero nodo del colloquio era la soluzione concordata 24 ore prima con Putin, Kiev deve prendere atto delle posizioni attuali sul campo, accettare la perdita dei territori e chiudere il conflitto, oppure correre il rischio che Mosca continui l’avanzata e infligga il colpo decisivo. Una tesi sostenuta e ribadita dallo stesso Ruvinetti: «Piano piano si sta confermando quello che avevamo anticipato qui dieci giorni fa: nell’intesa Putin-Trump che ha riguardato Israele e Iran, Mosca ha chiesto mani libere sul fronte ucraino in cambio dell’aiuto a risolvere la vicenda iraniana», spiega il senior advisor della Fondazione Med-Or. «Putin ha detto a Khamenei che, per restare vivo e mantenere il potere, avrebbe dovuto accettare la tregua, mentre Trump ha fermato Netanyahu. Ora, lo stesso schema si sta applicando all’Ucraina: Trump ha chiamato Zelensky per proporgli di accettare lo status quo sul terreno - Crimea, Donbass e posizioni attuali - altrimenti rischia di perdere l’intero Paese. Senza la difesa aerea e le armi americane, l’Ucraina è in grande difficoltà, anche a livello di uomini, con lo schieramento di altri 50.000 russi a cui si aggiungeranno i 30.000 nordcoreani. Al tempo stesso immagino che Trump abbia strappato a Putin la promessa di fermarsi qui». Intanto, ieri, come riportato da Nbc News, il segretario alla Difesa americano Pete Hegseth ha bloccato per la terza volta un carico di armi tra cui intercettori Patriot, missili Hellfire e sistemi Gmlrs. «Dobbiamo fare la tara rispetto a quello che viene dichiarato e capire che c’è sempre un po’ di retorica. Se Trump ha fatto un accordo con Putin, deve agire con molta cautela con Zelensky per portarlo a un’accettazione di quella che nella sostanza è quasi una resa. È un gioco di trattative, dove però ci sono segnali evidenti: lo stop alla fornitura delle armi, Witkoff che vuole togliere le sanzioni energetiche alla Russia, anche il fatto che Trump abbia sentito prima Putin che Zelensky è sintomatico. Mi sembra ovvio che c’è un percorso partito dall’accordo Iran-Israele per chiudere anche il tema Ucraina. Che ricordiamo, per Trump è sempre stato un tema europeo e non americano».






