2024-03-13
Trovato morto il tecnico che accusò Boeing
John Barnett si sarebbe sparato pochi giorni prima della sua udienza nel processo sui problemi di sicurezza del 787 Dreamliner. Il costruttore è alle prese anche con il caso 737 Max, il cui assemblaggio avrebbe fallito decine di verifiche da parte delle autorità Usa.Gli ingredienti per un giallo ci sono, non fosse invece realtà quanto accade alla Boeing commercial aircraft, la divisione che costruisce aeroplani commerciali, per la quale non c’è pace. La notizia è la morte di John Barnett, 62 anni, ingegnere ed ex dipendente del colosso aerospaziale Usa, andato in pensione nel 2017. Un decesso avvenuto pochi giorni prima dell’udienza che lo avrebbe visto deporre in tribunale dopo che, due anni dopo il ritiro, aveva denunciato alla Bbc violazioni nelle procedure d’assemblaggio dei velivoli.È stato trovato all’interno del suo veicolo vittima di un colpo di pistola «autoinflitto», almeno stando al rapporto del poliziotto che lo ha trovato. È presto per stabilire se si sia davvero suicidato: quello che, invece, è noto è che Barnett, la settimana prima della sua morte, insieme al suo avvocato aveva affrontato un lungo colloquio con i legali della Boeing, alla fine del quale c’era stata la conferma da parte dell’uomo di voler testimoniare in merito alle presunte violazioni di sicurezza denunciate da lui stesso nel 2019. Quell’anno, intervistato dalla televisione inglese Bbc, aveva parlato di frettolosità da parte dei manager per completare e consegnare i B-787 Dreamliner, imponendo l’accettazione di parti che, secondo Barnett e in base alle procedure aziendali, avrebbero dovuto essere scartate.Ma il B-787 non ha mai avuto grandi problemi d’affidabilità come invece li ha il B-737Max che dagli incidenti di Lion Air 610 (2018) ed Ethiopian 302 (2019), fino alla perdita del portellone in volo subita dal volo Alaska Airlines 1282 del 5 gennaio scorso, non trova pace. Su questo fronte, dopo aver scagionato per l’accaduto Spirit Aerosystem, la società che costruisce le fusoliere, proprio Boeing starebbe trattando per ricomprarla. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal del 29 febbraio scorso, l’azienda, scorporata nel 2005, starebbe conducendo le trattative per essere riassorbita. Il contrario di quanto deciso dai manager di Boeing anni prima, quando volevano rendere l’azienda più snella. Ma oggi, senza il know-how della Spirit, la produzione dei jet commerciali sarebbe nei guai. Inoltre, Spirit costruisce anche in Irlanda ma per la concorrente Airbus e un acquisto da parte statunitense comporterebbe la chiusura dell’impianto europeo. Tuttavia, il defunto ingegner Barnett non avrebbe mai avuto a che fare con i problemi dei 737-Max causati dalle scelte sul sistema M-Cas; la sua attività era di planner sulla linea 787 - organizzatore della produzione - e quando parlò alla Bbc raccontò di componenti che avevano dimostrato una difettosità elevata al collaudo, come i sistemi per l’erogazione dell’ossigeno, ma non che questi fossero poi stati effettivamente installati, e anche di imprecisioni e della presenza di scarti di lavorazione nelle fusoliere.Perciò il rischio per Boeing (che ieri ha perso il 4,17% alla Borsa di New York) è che si apra un nuovo filone d’indagine su altre linee di produzione, oltre a quella del Max, sulla quale sono già in corso verifiche da parte dell’autorità aeronautica federale (Faa) statunitense. Questa avrebbe riscontrato violazioni nelle procedure di montaggio: su un totale di 13 processi analizzati (audit), 6 erano perfetti ma gli altri 7 avrebbero mostrato un totale di 33 non conformità su 89 punti totali, almeno secondo il New York Times. Tuttavia, è difficile capirne l’entità delle violazioni dal numero poiché vengono classificate in vari livelli di gravità, dalle «dimenticanze» alle «deviazioni» fino agli «errori gravi». Ma anche l’attualità non aiuta: l’11 marzo il volo Latam 800 (Sidney-Santiago del Cile), operato con un B-787 Dreamliner, ha subito una discesa improvvisa che ha portato al ferimento di cinquanta passeggeri. Le indagini questa volta sono concentrate sulle operazioni condotte dall’equipaggio: non sarebbe stato imposto alcun obbligo di restare seduti, interrompere i servizi degli assistenti di volo e mantenere le cinture allacciate. Bisognerà, quindi, chiarire se si sia trattato di un problema tecnico (disattivazione involontaria dell’autopilota), o un episodio di turbolenza in aria chiara o altro.Tutta questa attenzione verso Boeing non è, però, giustificata dai numeri: le statistiche hanno mostrato che il 2023, in fatto di sicurezza aerea dell’aviazione commerciale, è stato un anno incredibilmente positivo, con un solo evento mortale su 37 milioni di voli. Nel mondo volano oltre 12.000 velivoli Airbus e circa 13.000 Boeing (compresi i McDonnel-Douglas acquisiti e non più in produzione). Ovvio, quindi, che la probabilità che accada qualcosa è maggiore per questi due costruttori. Un’occhiata al sito Aviation-Herald rende l’idea: ogni giorno vengono riportate segnalazioni e, tra distacchi di ruote in decollo (possibile errata manutenzione), apertura incontrollata di portelloni delle stive, perdita di carenature dei motori a seguito di rimontaggi frettolosi o incompleti e altro, c’è da rimanere impressionati.Ma chi in aviazione studia la materia «fattore umano» ha capito: l’aumento della domanda di voli nel post pandemia è stata molto (troppo) rapida; l’usura e la necessità di interventi altrettanto. Sovente i più esperti meccanici e tecnici sono stati mandati in pensione e quelli giovani devono accumulare esperienza. Ma il tempo per farlo gioca contro la domanda da soddisfare. E come disse Barnett, chi non vola perde soldi.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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