2020-09-21
«Troppe attese sui soldi Ue Per noi varranno l’1% del Pil»
L'anima critica di Leu, Stefano Fassina: «Con le attuali regole, il Recovery fund avrà impatto modesto. E il Mes è un suicidio. Siamo in economia di guerra, Bruxelles e Pd devono capirlo».Stefano Fassina, deputato di Leu, è la voce critica della sinistra. Spesso «non allineato», specie sui temi europei, al referendum ha scelto di votare sì.Perché?«Mi sono convinto, dopo sette anni da parlamentare, che la riduzione del numero di onorevoli sia condizione necessaria, anche se non sufficiente, per migliorare l'attività legislativa».In che senso, non sufficiente?«Ci vogliono anche un intervento su base elettorale del Senato e legge elettorale proporzionale e una revisione dei regolamenti parlamentari».Lei in Aula aveva votato no?«In prima lettura: c'erano elementi preoccupanti».Ovvero?«Il referendum propositivo in contrapposizione alla democrazia parlamentare; il progetto di vincolo al mandato parlamentare; una proposta sull'autonomia differenziata esiziale per l'unità della Repubblica».Poi cosa è successo?«Con il programma del governo Conte bis, abbiamo tolto dall'agenda i pericoli e messo le riforme. E, in seconda lettura, ho scelto il sì. Confermandolo alle urne, per coerenza».Il Pd è stato coerente?«Sì. Ha dimostrato autonomia politica, affidabilità e lungimiranza».Da domani, se vince il sì, che riforme bisogna avviare?«Legge proporzionale; introduzione delle circoscrizioni multiregionali per l'elezione dei senatori; riduzione dei delegati regionali; aggiornamento dei regolamenti d'Aula».Il destino del bicameralismo?«Le Camere vanno specializzate».Come?«I deputati danno la fiducia al governo e si occupano di legislazione ordinaria; il Senato rappresenta le autonomie territoriali, partecipa all'elezione del presidente della Repubblica e alle modifiche costituzionali».Nelle riforme istituzionali andranno coinvolte le opposizioni?«È imprescindibile. Va evitato l'errore commesso nel 2006 e nel 2016. Se non altro, con il referendum, si vota una misura, sia pure di portata limitata, che ha avuto un sostegno trasversale».Quindi, il successo del sì non sarebbe una vittoria grillina?«Be', la riforma è stata un punto caratterizzante del M5s. Ma esiste, a sinistra, una storia lunga di progetti di riduzione del numero dei parlamentari».Con le stesse motivazioni?«Su queste c'è una netta divergenza. Ho trovato inaccettabile la propaganda su costi e poltrone».Con meno onorevoli, non danneggiamo la rappresentanza?«Ormai, importanti funzioni legislative sono state dislocate verso l'alto - Bruxelles -, verso il basso - Regioni - e assegnate alle autorità indipendenti».Ad esempio?«Il Parlamento non tocca più palla sulla politica monetaria».Quindi?«La democrazia soffre una crisi di potenza, non di rappresentanza».Cioè?«I cittadini non si sentono rappresentati non perché non possono eleggere il deputato di pianerottolo, ma perché un deputato ha scarsissimi poteri: quelli che risiedevano nei Parlamenti e nei governi nazionali si sono erosi».Se alle regionali sarà una débâcle per i giallorossi, dovrete aprire una riflessione?«Assolutamente. Non sono tra quelli che fanno finta che il voto regionale non rilevi sul quadro nazionale».E allora, che dovreste fare?«Raccogliere il messaggio e fare un salto di qualità nella nostra capacità riformatrice».Che intende?«Non possiamo ignorare la sofferenza sociale, che c'era già prima del Covid e, ora, si è aggravata».Dunque?«Dovremo dare risposte in termini di occupazione, sostegno ai redditi, alle piccole attività produttive, al lavoro autonomo. E vanno evitare scelte sbagliate».Tipo?«Accedere al Mes».Eugenio Giani, in Toscana, ci ha fatto la campagna elettorale: con noi arrivano i miliardi del Mes.«C'è un uso strumentale e larghissimamente disinformato di questo tema».Se uscisse ulteriormente indebolito dalle urne, il M5s ingoierà pure questa pillola amara?«Non ho motivi per crederlo. Sarebbe un suicidio, per ragioni di merito e credibilità politica».E Giuseppe Conte?«Non ha truppe proprie in Aula. Deve cercare una mediazione».La scelta, però, è binaria. A un certo punto si deve decidere: il Mes, o lo prendi o no.«Certo. Ma si può arrivare alla scelta cercando di mostrare al Pd le ragioni per le quali è pericoloso accedere al prestito».Lei come convincerebbe i dem?«Segnalo l'ennesimo appello di cento economisti di area, sicuramente non sovranisti, contro il ricorso al Mes».Può bastare?«Aggiungo: mentre 17 Paesi hanno chiesto i fondi Sure, per importi minori di quelli che garantirebbe il Mes, nessuno chiede il Mes sanitario...».Vuol dire che il Meccanismo di stabilità ha qualcosa che non va?«Non ha condizionalità all'accesso, ma per un debitore in difficoltà come noi, che a fine anno avremo un debito pubblico superiore al 160% del Pil, in uno scenario di deflazione, il Mes comporterebbe un programma di aggiustamento macroeconomico».Perché il Pd ci tiene tanto, secondo lei?«Dal 1989, la sinistra storica ha fatto dell'europeismo subalterno il proprio tratto distintivo e di legittimazione politica. Fa fatica a interpretare in modo autonomo il vincolo esterno».Ci dicono che con il Mes potremmo assumere medici e infermieri. Ma poi con che soldi li paghiamo, di qui alla pensione?«Infatti, il Mes può essere utilizzato solo per spese una tantum. Sì, alla sanità servono risorse».Ma?«Come avviene a Washington, Londra o Tokyo, ci deve pensare la banca centrale: siamo in un'economia di guerra ormai».Addirittura?«A capo della Fed c'è un uomo scelto da Donald Trump. Mica Che Guevara».E allora?«A fine agosto, Jerome Powell ha rotto il tabù dell'inflazione al 2% e ha posto la massima occupazione come priorità».Da noi, invece?«È un indicatore di smarrimento culturale il fatto che il Pd insista sul Mes e non su una radicale modifica del paradigma economico».«Smarrimento culturale» è una bella definizione...«Anziché riconoscere le variazioni di fase, ci si concentra su strumenti inadeguati, con cui non si farà altro che rafforzare il vincolo esterno sull'Italia. Un grave errore politico, oltre che economico».Ma il commissariamento non lo rischiamo pure con il Recovery fund? Soldi in cambio di riforme: solo che, insieme alla digitalizzazione, ci sono pure l'allungamento dell'età pensionabile e l'aumento della tassazione sugli immobili. «Nel Recovery fund sono previste delle condizionalità, ma non è come il Mes».In che senso?«Se le condizionalità dovessero essere intese a colpire gli interessi nazionali o i settori sociali più fragili, si potrà scegliere di non prendere quelle risorse».Così, rimarremmo a secco...«Io spero che a Bruxelles abbiano l'intelligenza di archiviare la lista dei compiti a casa della stagione liberista. E che riconoscano che le raccomandazioni pre Covid, oggi, sono surreali».Cos'ha di diverso il Mes?«Il suo statuto non è stato modificato dal Consiglio europeo. E rimangono in piedi i regolamenti Ue. Una volta che entri, sei risucchiato in un ingranaggio che ti porta al programma di aggiustamento macroeconomico».Comunque, non crede che, sul Recovery fund, stiamo proiettando aspettative messianiche?«Sì. E l'ho fatto notare, in audizione, sia al commissario Paolo Gentiloni, sia al ministro Roberto Gualtieri».Cosa ha detto?«Che si stanno alimentando aspettative eccessive. I fondi che potremmo utilizzare senza appesantire i conti pubblici sono i grants: parliamo di un punto di Pil all'anno».Solo?«Per carità, è importante. E c'è un bel risparmio anche in termini di spesa per interessi. Ma se non cambiano radicalmente il Patto di stabilità e il fiscal compact e se dobbiamo sottostare al percorso di rientro previsto dalle regole in vigore, quelle risorse saranno neutralizzate da altre che non potranno essere spese». Un gioco a somma zero?«L'impatto macroeconomico sarebbe davvero modesto».Che si dovrebbe fare?«Lavorare, con la sponda di altri Paesi europei in difficoltà con le finanze pubbliche, per riformare Patto di stabilità e fiscal compact. Oppure, con il Recovery fund, non ci sarà la svolta prospettata. E c'è un'altra variabile, persino più importante».Ovvero?«La politica monetaria della Bce. Se i titoli di Stato acquistati non vengono sterilizzati, cioè permanentemente sottratti dal mercato, sarà difficile tenere i tassi bassi».Ci crede alla riforma del Trattato di Dublino? Ci vogliono trasformare nell'hotspot d'Europa, senza impegnarsi davvero sulla redistribuzione dei migranti?«Non ci siamo ancora. L'Ue deve assumersi fino in fondo la responsabilità sui flussi».In che modo?«Impegno nei Paesi d'origine, anzitutto: è evidente che i flussi vanno ridotti. Bisogna affrontare le cause strutturali delle migrazioni e garantire alle persone di poter vivere nelle loro nazioni natie».Fa effetto, se a dirlo è lei.«Nel Mediterraneo, poi, servono navi europee. E sull'accoglienza ci vuole una vera volontà di condivisione. Le proposte sul tavolo, ad oggi, sono inadeguate».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)