2022-07-24
I nomi di Tremonti e Casellati spuntano nella corsa verso la squadra di governo
La coalizione si prepara al vertice di settimana prossima in un luogo istituzionale. Sul tavolo leadership, collegi, programma e collocazione dell’Italia. Rissa tra Giovanni Toti e Giorgio Mulè.«Dice che ha già gli occhi di tigre? A me sembra un gattino che fa le fusa e abbassa lo sguardo quando gli portano via la campanella». Roberto Calderoli inaugura la campagna elettorale con un ironico siluro a Enrico Letta e alla sua gioiosa macchina da guerra (do you remember Achille Occhetto?). Verranno giorni molto più turbolenti, per ora il centrodestra si ricompatta davanti al progressismo dei balocchi e dei desideri, attende con serenità l’inevitabile «allarme democratico» e qualche anatema da Bruxelles. Già il New York Times ha fatto la radiografia di Giorgia Meloni («Sarà un terremoto, ed è desolante»); il consueto approccio d’una sinistra dem maestra di conformismo che non sceglie solo i propri candidati, ma pretende di selezionare anche quelli del centrodestra.Dopo avere deciso che il summit operativo per lanciare la campagna ufficiale si terrà mercoledì prossimo alla Camera («Basta ville berlusconiane, meglio luoghi istituzionali», il suggerimento arrivato da Fratelli d’Italia), i tre leader si sono scelti weekend differenziati: Silvio Berlusconi in Sardegna a Villa Certosa, Matteo Salvini a Domodossola alla festa della Lega, Giorgia Meloni a Roma a lavorare «per fare in modo che dal vertice si esca con decisioni e non parole». C’è ampia consonanza sul programma, dalla sicurezza alla pace fiscale, dalla flat tax alle pensioni: 1.000 euro la minima e una riforma cara alla Lega (quota 41) per impedire il ritorno alla legge Fornero. Sulla sicurezza si va dal controllo più rigoroso dell’immigrazione come accade in Francia e Spagna a un maggiore impegno per prevenire la criminalità nelle città. C’è anche la variabile ambientalista declinata dal centrodestra: il milione di alberi berlusconiani ma soprattutto una sensibilità profonda sui temi dell’ecologia, senza scadere nel tafazzismo. «Essere ambientalisti non significa essere seguaci di Greta Thunberg». C’è la rassicurazione meloniana (peraltro pleonastica) sulla collocazione atlantica: «La politica estera di un governo a guida Fratelli d’Italia resterebbe quella di oggi. Per me è una condizione e non credo che gli altri vogliano metterla in discussione. Se noi non mandiamo le armi l’Occidente continuerà a mandarle e ci considereranno un Paese poco serio». I nodi della coalizione però restano due e sono corposi: la premiership e le quote di candidatura nei collegi uninominali. Su queste ultime le trattative saranno lunghe ma improntate alla collaborazione, superando le divisioni del passato nei collegi uninominali. Il mantra è: «Dobbiamo vincere con forte margine e tutti assieme». Su chi dovrà indicare il premier in caso di vittoria, invece ci sono già distinguo importanti. Per la Meloni il partito che arriva primo esprime il premier «e non si possono mettere in discussione le regole che hanno sempre funzionato». Per Salvini «chi prende un voto in più parla per primo», che è un modo diverso di dire la stessa cosa. Per Berlusconi tutto ciò non è così scontato, lui sarebbe per far scegliere ai parlamentari eletti il nome dell’uomo del destino, decidere adesso sarebbe prematuro. Lo sottolinea il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, in un’intervista al Corriere della Sera: «Ogni partito, dentro la coalizione, correrà per sé; non avremo bisogno di annunciare subito un candidato premier comune. Esattamente come accadde nel 2018. Per quanto riguarda la scelta finale sul nome per Palazzo Chigi, se ne parlerà in un momento futuro. A cominciare dal vertice della prossima settimana». Da uomo di sport, il Cavaliere alla nona discesa in campo ripete che «prima si gioca e si vince, poi si decide chi alza la coppa». Anche perché ha in serbo qualche sorpresa. In caso di personalità «terza», mentre Lega e Fratelli d’Italia vedrebbero con favore Giulio Tremonti a Palazzo Chigi, lui punterebbe su una donna che ha servito le istituzioni, vale a dire la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati. Siamo ai prodromi delle premesse ma non è sbagliato mantenere un faro acceso sui nomi perché negli ultimi anni i bisticci sui candidati sono costati alla coalizione sconfitte dolorose alle amministrative. Gli esempi di Roma, Milano, Verona insegnano. In questi giorni Forza Italia conta senza troppi drammi gli abbandoni: a Mariastella Gelmini si è aggiunto Renato Brunetta, presto li seguirà sulla strada socialdemocratica anche Mara Carfagna, corteggiata da Matteo Renzi e Giovanni Toti. Ieri il governatore della Liguria è stato protagonista di un diverbio via Twitter con il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè. «Cercati un collegio e lascia tranquilli i liguri, di guai ne avete già combinati a sufficienza», la provocazione del primo. «Sei un Di Battista un po’ sovrappeso, si prova molta pena», la risposta del secondo. Nel frattempo se n’è andato il deputato Roberto Caon: «Forza Italia è diventata una costola del populismo illiberale, razzista e qualunquista». Tajani non dà peso: «Tutti parlano di fuga al centro, ma il centro resta Forza Italia, cardine liberale dentro il Ppe. Non ne esistono altri al momento e i sondaggi ci premiano. Chi va via dovrebbe rinunciare alle cariche avute grazie a Forza Italia».La campagna elettorale irrompe fra gli ombrelloni, scombussola viaggi, rimanda letture amene. Nessuno è preparato, le tensioni sono destinate ad aumentare. Letta lancia il banner «Difendiamo l’Italia» con il volto di Mario Draghi. È ancora Calderoli, in vena di battute, a smontarlo. «Draghi lo hanno fatto cadere i suoi amici del campo largo, i suoi amici 5 stelle. Forse avevano capito campo largo minato». È solo l’inizio.