2022-12-09
La trattativa Quirinale-Bruxelles partorisce una farsa sul price cap
Sergio Mattarella e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il capo dello Stato chiede un inesistente tetto «realistico» al metano. Eppure, la stampa loda l’«apertura» mostrata dalla Commissione. L’intesa non era già stata ottenuta grazie a Supermario?Tra tasse su extraprofitti e tetto ai prezzi dell’energia, il governo guidato da Giorgia Meloni si è collocato nella scia del precedente governo, perdendo così l’occasione di mettere ordine nell’assai confuso lascito dell’esecutivo targato Mario Draghi.Sugli extraprofitti, ad esempio, fu il precedente governo a introdurre un contributo straordinario del 10% per l’anno 2022 a carico delle aziende che operano nel settore dell’energia. La norma, contenuta nell’articolo 37 del dl 21/2022, poi modificata dal decreto Aiuti, che ha innalzato l’aliquota al 25%, faceva riferimento ai saldi Iva di un certo periodo temporale per il calcolo del contributo. Il testo, scritto in fretta e male, ha dato origine a diverse interpretazioni, tanto che alcuni soggetti avevano richiesto la sospensiva al Tar, mentre altri hanno versato cifre che risultano lontane da quanto il precedente governo si aspettava. L’esecutivo di Giorgia Meloni ha presentato ora in Parlamento una nuova norma, contenuta nell’articolo 28 del ddl di bilancio. In esso, si introduce un contributo straordinario del 50% sulla differenza tra l’imponibile medio dei quattro anni precedenti e l’imponibile del 2022. La tassa su questi extraprofitti si applicherebbe a tutti i soggetti che producono, importano o vendono energia elettrica, gas naturale e prodotti petroliferi. Rispetto al contributo già versato in forza del vecchio decreto, questa nuova tassa si configura come aggiuntiva e non sana le ambiguità del decreto precedente. Considera però soggetti obbligati anche gli operatori dell’energia elettrica. Questi ultimi sono invece esclusi dall’articolo 14 del regolamento Ue 2022/1854, che dovrebbe essere alla base della norma nazionale. Il settore elettrico sarebbe escluso dal Regolamento Ue perché a esso si applica già una limitazione sui ricavi da fonte rinnovabile. Infatti, sempre il governo Draghi (articolo 15bis del dl 4/2022) aveva introdotto un limite massimo ai ricavi dei produttori di energia elettrica da fonte rinnovabile, ponendolo tra i 57 e i 60 euro/MWh a seconda delle zone. Nel disegno di legge di bilancio, all’articolo 9, il nuovo governo ha ora presentato una nuova norma che pone un nuovo tetto a 180 euro/MWh per tutti i produttori da fonte non a gas che non siano già soggetti al precedente limite. Dunque, dal primo gennaio 2023, tutta l’energia elettrica prodotta con fonti diverse dal gas sarà soggetta a uno dei due tetti massimi. In teoria, i due tetti sono temporanei e dovrebbero decadere il 30 giugno 2023. Ma ad aumentare la confusione arriva la notizia che martedì si è tenuta una riunione a Palazzo Chigi per decidere come disaccoppiare dal gas l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Eppure, su questo tema si è già intervenuti ben due volte, come abbiamo visto. Di quale nuova alchimia si sta parlando? Si vuole rendere strutturale il tetto di ricavi per le fonti rinnovabili?Le norme descritte sin qui non hanno una portata sistemica, ma sono espedienti in parte per comprare tempo, in parte per reperire risorse. Pannicelli caldi che rinviano il problema senza risolverlo. Non ci sarebbe stato bisogno di alcuna extra tassa sui profitti, se le politiche energetiche europee non avessero colpito l’offerta in maniera tanto scriteriata. Il tema di fondo rimane la gestione europea del dossier energia.In occasione della prima della Scala a Milano, il presidente della Repubblica ha incontrato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, esortandola a fare sì che il tetto al prezzo del gas europeo sia «realistico ed efficace». L’unico price cap che risponde a questi requisiti, però, è quello che non c’è, perché qualunque tetto effettivamente applicato provocherebbe gravi turbative di mercato, come hanno scritto tutti i principali analisti, ricercatori ed esperti del settore (ultimo in ordine di tempo il prestigioso Oxford institute for energy studies). Oltretutto, la Commissione ha già deciso di lavarsene le mani e ora è il Consiglio europeo a dover trovare una mediazione rispetto alla proposta originaria della Commissione. Eppure, ieri, sia Il Giornale sia La Stampa celebravano passi avanti nel negoziato sul tetto al prezzo che, peraltro, doveva essere già stato mietuto da Mario Draghi: il quotidiano di via Negri sosteneva che «von der Leyen apre al price cap», quello torinese parlava di un «dialogo».L’impressione, da un lato, è che si voglia alimentare una narrazione dell’Europa e del Quirinale che lavorano per noi anche se, a Palazzo Chigi, s’è installato un esecutivo indisciplinato. Dall’altro, che si stia mettendo mano in maniera grossolana a costruzioni delicatissime, quali sono i mercati del gas e dell’energia elettrica europei. Il Green deal da operetta e la sanzione (mai dichiarata tale) della rinuncia al gas russo hanno portato due choc esterni per i quali la struttura del mercato non era preparata. In pochi mesi, tutte le fragilità del modello europeo sono emerse, e con esse i costi, insostenibili. Mettere mano adesso a questi modelli complessi, nella fretta di «fare qualcosa», non può che peggiorare la situazione. I due mercati hanno una serie di complicazioni interne e ricadute che hanno richiesto anni per essere capite, elaborate e risolte da operatori, esperti, legislatori nazionali ed europei. Ogni modifica regolatoria, anche la più banale, provoca degli effetti collaterali a catena, fino a dare, a volte, esiti contrari rispetto alle intenzioni. L’unica soluzione alla crisi attuale resta quella di rivedere completamente le politiche legate al Green deal, rinviandone sine die l’applicazione, e riportare in equilibrio domanda e offerta di idrocarburi, aumentando l’offerta per abbassare i prezzi.
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