2020-02-22
Trattativa farsa sugli esuberi di Unicredit
Dopo aver sottovalutato le crisi dell'acciaio e Air Italy, Nunzia Catalfo convoca i dirigenti della banca, ma si limita a prendere atto che non esiste alcun tavolo di crisi. Le uscite sono già concordate e tutte volontarie. Intanto, Jean Pierre Mustier avrebbe già pronta la valigia.Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ieri ha convocato i rappresentanti di Unicredit e alla fine ha preso atto dei 6.000 esuberi annunciati da Unicredit. Anche perché quella con la banca non è mai stata una trattativa ma una semplice informativa: la riorganizzazione degli organici che non dovrebbe avere costi sociali perché saranno tutti, come è già successo in passato, su base volontaria con un meccanismo di uscita finanziato privatamente che prevede riscatti, incentivi e accompagnamenti senza la necessità di attivare strumenti pubblici. E dunque ancor più vantaggioso rispetto alla stessa Quota 100. Per il governo era però importante mostrare una parvenza di interessamento. Negli ultimi giorni, il ministero si è fatto passare sotto gli occhi licenziamenti (il caso di Air Italy), e migliaia di cassa integrati (tra Piombino, Arcelor Mittal e Whirlpool). Cercava così almeno di apparire agli occhi degli italiani pro attivo nei confronti del mondo bancario. Solo che ha sbagliato banca: con Unicredit non serve alcuna trattativa. All'incontro di ieri al ministero, si sono presentati il capo del personale della banca, Paolo Cornetta, e il responsabile delle relazioni istituzionali, Maurizio Beretta. Assenti, quindi, i vertici dell'istituto: il presidente Cesare Bisoni e l'amministratore delegato, Jean Pierre Mustier. Anche perché la convocazione del ministero era stata inviata all'ufficio risorse umane del gruppo senza alcun sollecito e i richiesta rivolti al banchiere francese. Catalfo ha, però, sentito Mustier al telefono, ha detto lo stesso ministro al termine del confronto avuto «con gli stessi rappresentanti incontrati per la prima volta a dicembre», ha sottolineato. «Continueremo a monitorare questo percorso ovviamente lasciando il giusto spazio che deve avere la trattativa tra datori di lavoro e sindacato. Noi siamo interessati a seguire tutto il percorso dato che riguarda una grande realtà aziendale italiana», ha poi aggiunto. Il piano resta dunque di 6.000 esuberi, «ma si tratta di impiegati più vicini alla pensione» conferma Catalfo che ha ricevuto garanzie dalla banca sul ricambio occupazionale, ovvero su «quello a cui stiamo più attenti, in quanto l'assunzione di giovani consente al paese di dare più prospettive per l'occupazione e l'inserimento giovanile».La partita sugli esuberi si intreccia però con le voci rilanciate giovedì dall'agenzia Bloomberg su una possibile uscita di Mustier che sarebbe in corsa per una poltrona al vertice della Hsbc. In Borsa il titolo Unicredit ha lasciato sul terreno il 3,89 per cento. La stessa agenzia ieri ha rincarato la dose ipotizzando un annuncio imminente dopo un'accelerazione delle trattative riservate tra il gruppo britannico e il banchiere francese arrivato in piazza Gae Aulenti nel giugno 2016 che ha traghettato oltre l'aumento di capitale da 13 miliardi, il più importante di un istituto di credito sul mercato locale. «I colloqui sono in corso anche se il passaggio al gruppo britannico potrebbe anche non avvenire», scrive però Bloomberg citando fonti anonime. Il nome di Mustier è emerso tra i principali candidati a guidare la britannica Hsbc che proprio questa settimana ha annunciato un maxi piano biennale di ristrutturazione con annesso taglio di ben 35.000 dipendenti. Tra gli interni si è parlato dell'amministratore delegato ad interim Noel Quinn, salito al timone della banca in agosto, dopo l'estromissione repentina di John Flint che aveva lasciato a causa di divergenze con il presidente Mark Tucker sulla strategia per rilanciare la crescita dell'istituto. In Unicredit le bocche restano rigorosamente cucite, ma le voci di un ad con le valigie in mano pronto a traslocare altrove non rendono di certo più sereno il negoziato aperto lo scorso 14 febbraio con i sindacati per arrivare a tirare le somme entro il 30 marzo. L'obiettivo è trovare un'intesa su 6.000 uscite - 500 del precedente piano industriale Transform - e 450 filiali da chiudere. Il tutto messo nero su bianco nella lettera di apertura della procedura che il gruppo ha inviato a Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin e in cui invita «a soluzioni condivise e idonee» che consentano di evitare misure «connesse a condizioni di eccessiva onerosità, altrimenti necessarie già nel corso del secondo semestre 2020». La strada è stretta, ha fatto già capire la banca, anche perchè la digitalizzazione ha cambiato, e sta continuando a cambiare, il volto del settore. Nello spiegare la ratio del proprio piano di riorganizzazione, l'istituto di piazza Gae Aulenti ha infatti sottolineato alcuni numeri: una riduzione dell'operatività allo sportello di 20,3 milioni di operazioni che ha fatto registrare negli ultimi dodici mesi oltre 300 milioni di transazioni disposte su «canali evoluti». Nel dettaglio poi i versamenti retail allo sportello si sono ridotti del 64% rispetto ai 10,5 milioni del 2016, quelli corporate hanno segnato una flessione del 70 per cento. Nel confronto con i sindacati il gruppo ha già detto di guardare con una certa priorità all'attuazione «dello strumento del fondo di solidarietà».