2021-02-25
«In rapporti con il Pd, non era più credibile». Il Csm trasferisce il procuratore di Reggio
Approvata all'unanimità dal Csm la proposta del consigliere Nino Di Matteo: Marco Mescolini fece pressioni su Luca Palamara per la nomina. L'attività del magistrato giudicata accondiscendente coi dem: ritardò le perquisizioni in Comune perché c'erano le elezioni «Chi ha imposto Marco Mescolini? Celestina Tinelli, me l'ha detto Luca Palamara». Giovanni Paolo Bernini, l'esponente di Forza Italia a Parma finito nell'inchiesta Aemilia, quella sulle infiltrazioni della 'ndrangheta a Reggio Emilia (che Mescolini coordinava) e poi assolto, lo dice senza girarci attorno proprio mentre al plenum è in corso la pesantissima relazione del consigliere Nino Di Matteo che ha concluso chiedendo il trasferimento del collega per incompatibilità ambientale. I sospetti lanciati da Bernini fanno il paio con un'attività investigativa che in più occasioni è apparsa a tutela di una parte politica: quella dem. La proposta di Di Matteo è stata approvata all'unanimità, con l'unica assenza, coincidenza, dell'esponente del Pd David Ermini, che del Csm è vicepresidente. «È evidente», ha tuonato Di Matteo, «che i colleghi sostituti e una parte della società civile percepiscono che qualsivoglia indagine sulla pubblica amministrazione effettuata dalla Procura di Reggio Emilia è accompagnata dal sospetto di parzialità». Bernini è stato sentito a Perugia e, anche se non lo conferma, non è difficile immaginare che abbia riferito ai magistrati pure il particolare legato a chi negli ambienti del Pd abbia sostenuto la nomina di Mescolini. Tinelli, ex presidente dell'Ordine degli avvocati di Reggio Emilia, già membro laico del Csm e membro del Cda della Fondazione Manodori (precedentemente era stata designata dal Comune di Reggio Emilia, targato Pd, nel consiglio generale), ha annunciato querele. Ma nella discussione al plenum sulla nomina del procuratore che pressava Palamara per ottenere quella poltrona e che agli occhi dei cittadini di Reggio Emilia, e anche dei suoi colleghi d'ufficio, risulta come un amico del Partito democratico, al punto da rinviare le perquisizioni al Comune perché erano in corso le elezioni, è stata convocata anche lei. E ha fornito una difesa d'ufficio di Mescolini, dichiarando che quanto accaduto non aveva gettato alcun discredito sulla stima di cui gode il procuratore Mescolini e ha aggiunto che la conflittualità in Procura esiste da oltre 20 anni. Tinelli assolve Mescolini, perché l'istanza che era arrivata al Consiglio dell'ordine degli avvocati e che chiedeva di sostenere la richiesta di dimissioni del procuratore proveniva da esponenti di destra, «che fanno politica». Uno addirittura era un esponente del «Movimento sociale». E allora è stata bocciata. Ma è l'ennesimo indizio che nel palazzo di giustizia di Reggio Emilia la politica ci è entrata. E proprio gli esponenti di sinistra avranno messo da parte le parole di Sandro Pertini sui magistrati che devono essere indipendenti ma che devono anche apparire tali. Mescolini già veniva da una esperienza fuori ruolo per due anni come capo ufficio del viceministro dell'Economia al tempo del governo di Romano Prodi. E tra le righe della sentenza dell'inchiesta Aemilia, poi, i giudici avevano lasciato trapelare che sugli esponenti dem erano rimaste zone d'ombra. E quando sono saltate fuori le chat con lo stratega delle nomine, tutte ricordate da Di Matteo, il tappo è saltato. Quattro colleghe (Maria Rita Pantani, Isabella Chiesi, Valentina Salvi e Giulia Stignani) hanno presentato un esposto al Csm. È stata molto eloquente l'audizione della pm Chiesi, «la quale confermava che, quando il 12 agosto il giornale La Verità aveva pubblicato le chat», ha ricordato al plenum Di Matteo, «i sostituti erano rimasti sorpresi e amareggiati perché, le era stato raccontato, che nel corso della riunione di maggio il procuratore Mescolini, in esito alla pubblicazione del messaggio di Gianluigi Morlini (esponente reggiano del Csm ndr), aveva giurato di non avere mai interloquito con Palamara sulla procedura di nomina». Di Matteo ha ricordato che «era, poi, iniziata una campagna mediatica che descriveva Mescolini come un procuratore propenso, nella sua attività, a favorire e proteggere gli esponenti del Pd». A quel punto, i sostituti avevano ripercorso l'attività svolta da Mescolini come procuratore sotto una diversa luce, quella della paventata vicinanza ideologica-politica, valutando diversamente, ad esempio, l'intervento del procuratore volto a ritardare le perquisizioni delle indagini sui bandi del Comune. La ricostruzione ad avviso dei sostituti avrebbe trovato conferma nella circostanza che in occasione della conferenza stampa, successiva alle perquisizioni e alle elezioni comunali, Mescolini aveva detto che era stata una scelta «condivisa» con i magistrati titolari dell'indagine, che invece avevano aderito alla richiesta del procuratore. Nell'indagine Angeli e Demoni, poi, si dovevano fare le notifiche degli avvisi di conclusione indagini a gennaio, e il solito Mescolini aveva storto il naso perché c'erano le elezioni regionali. La pm Salvi si impose ma, è emerso dall'istruttoria, poi venne lasciata sola nella conduzione delle indagini senza neanche un coassegnatario. Mescolini ha tentato un'ultima carta difensiva: «Se un magistrato esce di qui con l'ignominia dell'essere additato come vicino ad una parte politica e disposto a piegare il proprio ufficio a questa parte politica, o anche solo di darne l'impressione, questo per quanto mi riguarda è la fine della mia magistratura, del mio possibile contributo in magistratura per quel poco che è stato». Partita chiusa. I fatti contestati «hanno di per sé arrecato un vulnus all'immagine della Procura di Reggio Emilia e hanno inevitabilmente generato un serio appannamento» della figura del procuratore Mescolini, «la cui credibilità, in un ambiente piccolo come quello reggiano, è stata fortemente deteriorata». Verrà trasferito fuori dal distretto della Corte d'appello di Bologna.
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