2022-04-08
Per trascinarci tutti nel conflitto va bene qualsiasi trovata horror
Si parla di «forni crematori mobili» utilizzati dai soldati di Vladimir Putin per cancellare le tracce dei loro crimini. Prove non ce ne sono, ma l’intento è chiaro: evocano l’Olocausto affinché ogni contromossa sia giustificata.Risalendo un gradino dopo l’altro la scala dell’orrore siamo infine giunti ai forni crematori. I russi, titolano quasi all’unisono alcuni dei principali quotidiani italiani in prima pagina, utilizzano «forni crematori mobili». Come fonti della notizia vengono citati il sindaco di Mariupol e l’intelligence ucraina, secondo cui gli orrendi marchingegni servirebbero a far sparire le tracce dei crimini sui civili. L’idea che possano avvenire cose del genere a non troppi chilometri da noi è ovviamente raccapricciante, ma anche in questo caso, come sulla strage di Bucha, occorre appellarsi alla lucidità per frenare le esplosioni emotive.Le immagini che circolano sulla Rete di questi forni mobili risalgono in realtà al 2013, come ha già avuto modo di dimostrare France 24 (quindi non una fonte «putiniana»). Secondo qualcuno, si tratterebbe di scatti realizzati a Kaliningrad, dunque non in Ucraina, che ritrarrebbero i prodotti di una azienda specializzata in inceneritori.In ogni caso, non è la prima volta che la storia circola. Già alla fine di febbraio sui siti si erano affacciati articoli sui crematori semoventi, ma in quel caso la narrazione era leggermente diversa: si diceva che i russi li utilizzassero per bruciare i corpi dei propri soldati morti, e non per distruggere i cadaveri dei civili ucraini sterminati. Per l’ennesima volta, è molto difficile se non impossibile stabilire dove stia il confine tra verità e propaganda.Su un punto tuttavia non ci sono dubbi: negli ultimi giorni abbiamo assistito a un innalzamento del livello dello scontro mediatico. Nelle dichiarazioni degli ucraini ritorna con allarmante frequenza il riferimento all’Olocausto che pure - evocato da Zelensky durante il discorso in Israele – aveva suscitato un certo fastidio ai vertici dello Stato ebraico. Sui giornali italiani, ad esempio La Stampa, leggiamo dichiarazioni secondo cui «i russi hanno trasformato Mariupol in un campo di sterminio. […] Questa non è la Siria, è la nuova Auschwitz». Con tutta evidenza, il costante richiamo allo sterminio degli ebrei serve ad alimentare il carico emotivo: se stiamo assistendo all’Olocausto, allora chi lo compie va fermato con ogni mezzo, guerra mondiale compresa.Il fatto è che questo tipo di approccio tutt’altro che razionale non consente di calcolare adeguatamente le conseguenze delle azioni e delle mosse politiche, e rischia di condurci dritti dentro un disastro ancora peggiore di quello che già attende a stretto giro. Ciò che ricaviamo da questo precipitare nella dimensione delle emozioni a scapito della ragione è infatti un dibattito falsato, in cui alle voci dissonanti non è consentito esprimersi o è concesso di manifestarsi solo all’interno di una dimensione di spettacolo. Nel senso che il dissenziente viene fatto parlare, magari nei talk show, ma solo per vestire i panni del mostro, del fenomeno da baraccone da guardare con orrore o con morboso interesse. In entrambi i casi, ciò che il dissenziente dice non viene preso sul serio, perché collocato su un piano «moralmente inferiore» rispetto alla verità ufficiale.Come spesso accade quando si verificano polarizzazioni di tal genere, qualcuno è subito pronto ad approfittarne per coltivare i propri interessi. Della reazione emotiva profittano ad esempio gli strateghi a cui non dispiace l’idea di una «guerra che durerà a lungo», o i politici che sfrutteranno il momento per imporre transizioni ecologiche, riduzioni dei consumi e altri analoghi divertimenti. C’è, inoltre, una sottile forma di sciacallaggio politico mediatico, proprio di chi s’accoda alla colonna sentimentale dei «buoni» al fine di regolare qualche conto in sospeso.In balia dello sgomento suscitato dal «genocidio» e dei «crematori», facciamo passare come se fosse normale il fatto che il direttore di una rete pubblica, Rai3, si senta in dovere di «prendere le distanze» dalle opinioni espresse da un ospite di una trasmissione (nello specifico le frasi, discutibili ma non folli, scandite dal professor Alessandro Orsini nello studio di Bianca Berlinguer). Non ci risulta, pure al cospetto di frasi più aberranti o offensive, che altri dirigenti Rai si siano spinti a tanto. Viene dunque da interrogarsi sul futuro dell’informazione italiana.Davvero vogliamo vivere in una nazione in cui le tesi sgradite alla dirigenza Rai – quindi alle forze politiche dominanti a viale Mazzini – vengono ufficialmente condannate e pubblicamente stigmatizzate come «riprovevoli e incondivisibili» (sic)? Diciamo di essere in guerra contro «l’Orso russo nemico della democrazia» e poi ci pregiamo di costruire un sistema mediatico a senso unico? Sembra un atteggiamento leggermente ipocrita.Orsini – condivisibili o meno che siano le sue uscite – viene esposto alla riprovazione generale, che viene inevitabilmente estesa anche alla Berlinguer, di cui qualche giornale è andato a scomodare persino l’illustre cugino Luigi affinché la bacchettasse. L’indignazione si riversa copiosa sui reprobi putinisti (immaginari), nell’allucinante cestone dei cattivoni vengono mescolati Tony Capuozzo, Donatella Di Cesare, Francesca Donato, Gianluca Savoini e mille e diversissimi altri, a casaccio. Tutti uguali seppur differenti, tutti da condannare o sanzionare.Nel frattempo, nelle reti pubbliche ottengono incarichi e programmi coloro che – a vario titolo – fan parte del «fronte del Bene». L’ex direttore dell’Espresso Marco Damilano, lo scrittore non esattamente super partes Gianrico Carofiglio. Intendiamoci: benissimo che a costoro sia dato spazio, ci mancherebbe. Ma è possibile che mai e poi mai e poi mai si trovi uno spiraglio per chi non proviene dal solito bacino democratico piddino o sedicente liberale? Come mai un Orsini non merita un compenso e un Carofiglio invece può pontificare a pagamento? Sappiamo la risposta: «Perché Carofiglio non pronuncia frasi “deplorevoli”».Già: e chi decide che cosa sia «deplorevole» e che cosa no? La questione è tutta qui.
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Margherita Agnelli (Ansa)