2023-06-24
«Transizione irrealizzabile». Per la Corte dei conti Ue troppi i fattori di rischio
Randellate alle velleità di Bruxelles di diventare il faro mondiale dell’economia verde. Incide soprattutto la forte dipendenza dell’Europa dalle importazioni di materie prime.La Corte dei conti europea assesta una buona serie di randellate alle velleità di Bruxelles di diventare il faro mondiale dell’economia verde. Questa settimana l’organismo europeo che controlla come l’Unione spende i nostri soldi si occupa, con una lunga relazione, dell’ambizione unionista di diventare una potenza mondiale delle batterie basata sul piano strategico per le batterie presentato nel 2018.«Per le batterie, l’Ue non deve finire nella stessa posizione di dipendenza in cui si è trovata per il gas naturale; in gioco c’è la sua sovranità economica» ha dichiarato Annemie Turtelboom, il membro della Corte responsabile del documento. «Programmando lo stop alla vendita di auto nuove a benzina e diesel per il 2035, l’Ue sta puntando molto sulle batterie. Ma potrebbe partire svantaggiata in termini di accesso alle materie prime, interesse degli investitori e costi».Nel prendere nota che nell’Unione l’espressione «sovranità» è gradita quando di parla di economia europea e negletta quando si parla di popoli e democrazia, la capacità di assemblare batterie per i veicoli elettrici diventerà un imperativo per l’Europa. La Corte ci informa che tra il 2014 e il 2020 il settore delle batterie ha ricevuto 1,7 miliardi di euro di sovvenzioni e garanzie, più sei miliardi ricevuti come aiuti di Stato autorizzati tra il 2019 e il 2021. Ma il rapporto dice anche che non c’è un quadro chiaro e definito degli aiuti pubblici che sin qui sono stati erogati dagli Stati, per via della sovrapposizione di programmi diversi a livello europeo e nazionale.Posto che oggi la Cina da sola rappresenta il 76% della produzione mondiale di batterie, le proiezioni del settore della produzione europea vedono una crescita iperbolica dai 44 GWh del 2020 agli oltre 1.200 entro il 2030. Un aumento di 30 volte, su cui però fioccano le incertezze. Già nel 2021 l’Ue ha aggiunto solo 16 dei 62 GWh di capacità produttiva annunciati.La prima incertezza riguarda la possibile delocalizzazione delle fabbriche fuori dall’Europa, verso Paesi in cui vi siano particolari condizioni incentivanti o vantaggiose in termini fiscali. Ma questo è tutto sommato un aspetto secondario, rispetto alle vere incognite che la Corte stessa si premura di descrivere con dovizia di particolari.Infatti, il secondo fattore di rischio è costituito, come del resto evidente, dalla forte dipendenza dell’Europa dalle importazioni di materie prime. L’87% delle importazioni di litio hanno come origine l’Australia, mentre il manganese arriva per l’80% da Sudafrica e Gabon, il cobalto grezzo per il 68% dalla Repubblica Democratica del Congo e la grafite per il 40% dalla Cina. Anche ipotizzando di iniziare una intensa attività mineraria nel continente, prima di avere risultati consistenti occorrono non meno di 12 anni, dunque abbondantemente fuori tempo massimo. Dipendenza dall’estero su questi materiali critici significa che la sicurezza dell’intero sistema della mobilità continentale è a rischio di interruzione nel caso di shock esterni. La storia recente ha dimostrato che gli shock esterni non sono un’invenzione e che possono anche essere molto frequenti. Questo porta al terzo gigantesco fattore di rischio, ovvero i prezzi. Con l’aumento tempestoso della domanda mondiale di tutti i metalli necessari alla rivoluzione verde, è molto facile concludere che i prezzi cresceranno a dismisura. In questo, il green deal europeo costituisce un ulteriore fattore destabilizzante, poiché introduce una turbativa legata all’accelerazione che imprime alla curva della domanda. Nichel, rame, alluminio, hanno tutti aumentato le proprie quotazioni tra il 20 e il 70%. Il litio è aumentato dell’870% in due anni. L’aumento dei prezzi potrebbe non riguardare solo le materie prime, ma l’energia stessa. Tutto ciò ridurrebbe la domanda e dunque l’interesse degli investitori nel settore.Quarto fattore, anche questo dirimente, è, per usare le parole del rapporto della Corte, l’imminente penuria di materie prime critiche a livello mondiale, in particolare nichel, litio e cobalto, che minaccia seriamente la produzione, non solo europea, ma mondiale.Inoltre, la Corte nota una contraddizione fondamentale nei piani dell’Unione europea relativi alla crescita del settore delle batterie per auto. Infatti, la Commissione prevede che al 2030 vi siano circa 30 milioni di veicoli elettrici circolanti e che dal 2035 possano essere immatricolati quasi esclusivamente veicoli elettrici. Ma rispetto a tale previsione e a tale obbligo, non esiste una stima del valore obiettivo da raggiungere in termini di produzione.Nel rapporto della Corte c’è anche spazio per deprecare la scarsità di dati e analisi adeguate da parte della Commissione su una catena del valore così importante. Infine, critiche alle politiche pubbliche di finanziamento, che non sono coordinate e non sono all’altezza delle ambizioni, e critiche per la carenza di investimenti in ricerca e sviluppo. Insomma, la Corte, pur con linguaggio sorvegliato, mette in evidenza l’estrema fragilità del piano europeo sulle batterie, a conferma della sostanziale incapacità di Bruxelles di afferrare la complessità della macchina che ha messo in moto.