
Gli scimpanzé si mordono, i leoni si graffiano, i pesci si pigliano a musate. Però superano i rancori con carinerie o facendo sesso.Anche gli animali litigano, ognuno usando le proprie armi: gli scimpanzé si spintonano e si mordono, i pesci si colpiscono con il muso, i leoni con le zanne e con le unghie, gli uccelli col il becco e con gli artigli. Naturalmente nel mondo animale non ci si azzuffa per il parcheggio o per la fila non rispettata, ma i motivi che portano allo scontro sono tanti: la conquista di una femmina o del cibo migliore, la difesa del territorio, la scalata ai ranghi più alti della gerarchia.L'aggressività tra animali della stessa specie (detta intraspecifica), è presente in quasi tutti i vertebrati e si manifesta soprattutto negli individui che vivono in gruppo. Ma due animali della stessa specie, anche quando hanno ottimi motivi per non sopportarsi a vicenda, non sempre arrivano allo scontro. Una lotta all'ultimo sangue è controproducente anche per la sopravvivenza della specie. Perciò nell'evoluzione si sono sviluppate particolari strategie preconflittuali.Ad esempio il gallo, per sbollire la rabbia, inizia a ballare, proprio come noi umani andiamo a fare due passi invece di mettere le mani addosso a qualcuno. Anche le urla funzionano: per esempio il cervo, trovandosi alle prese con un rivale che emette bramiti più forti dei suoi, fugge lasciando campo libero all'altro. Il lupo invece si mette a pancia in su, mostrando la parte più debole del suo corpo. Che è come dire: «Va bene, il più forte sei tu». Il macaco giapponese, come ha svelato una ricerca del Cnr svolta nel Bioparco di Roma, per vivere in santa pace s'è inventato un sistema tutto suo: se viene picchiato, anziché vendicarsi con l'aggressore se la prende con un suo parente più debole, magari il figlio. Tra gli umani un comportamento del genere sarebbe additato come esempio di somma viltà, ma i macachi se ne infischiano, perché funziona: l'aggressore ci penserà due volte prima di tornare a pestare chi la fa pagare ai suoi cari. L'etologo del Cnr Gabriele Schino, nel Bioparco, ha censito 15.000 aggressioni in 519 ore di osservazione. Cioè una zuffa ogni 2 minuti. «Raramente i macachi si fanno male. Anche se le aggressioni di gruppo possono essere molto violente. Tutta questa litigiosità serve a rinforzare e ristabilire le gerarchie. Spesso non c'è nemmeno un pretesto. A un certo punto un macaco parte e mena».Ci sono poi animali che risolvono il problema all'origine, instaurando con i propri confinanti un patto di non belligeranza. Alcune specie di volatili territoriali che vivono in solitaria come la cinciallegra, l'usignolo e il pettirosso, in pratica dicono ai potenziali avversari: «Caro nemico, io non entro nel tuo spazio ma tu non entri nel mio, altrimenti sono botte». Quando la diplomazia bestiale non funziona, lo scontro è inevitabile. Ma gli animali, dopo una zuffa, sanno anche fare pace. Non tutti però nell'arte della riconciliazione sono bravi: ad esempio i lupi, come ha rivelato una recente ricerca degli etologi dell'Università di Vienna pubblicata su Royal Society Open Science, superano i conflitti meglio dei cani. Gli studiosi, in due anni di osservazioni, hanno scoperto che i lupi si infiammano in fretta, ma altrettanto velocemente fanno pace: una decina di minuti dopo lo scontro i due contendenti spesso giocano insieme. Nei gruppi di cani, al contrario, i litigi sono meno frequenti, ma più violenti e duraturi. Dopo lo screzio, le parti offese preferiscono evitarsi, anziché ricucire. Secondo i ricercatori, la rapida risoluzione dei conflitti è una abilità fondamentale per i lupi: la sopravvivenza del branco si basa sulla capacità di andare d'accordo e collaborare. I cani invece, in millenni di amicizia con l'uomo e di vita lontana dal branco, sembrano aver dimenticato la difficile arte del lasciarsi i conflitti alle spalle: per loro è più utile sapersi adattare all'ambiente domestico e ottenere dall'uomo ciò che gli serve, piuttosto che riconciliarsi con i propri simili. La pace dopo il conflitto è un comportamento osservato negli ultimi 20 anni soprattutto nei primati sociali come scimpanzé, orangutan, bonobo. E ognuno, anche qui, lo fa a suo modo: gli scimpanzé si baciano sulla bocca, gli orangutan banchettano tutti insieme. Tra i bonobo, dopo una lite fatta di urla e spintoni, i due rivali si allontanano. Ma poi il più forte ci ripensa e si avvicina al compagno che le ha buscate tendendogli il braccio con la mano aperta. L'altro di solito accetta le scuse, si avvicina, i due si guardano intensamente negli occhi emettendo gridolini e pace è fatta, suggellata da molti baci. I bonobo, maschi o femmine che siano, hanno anche un altro sistema per riappacificarsi: il sesso. Gli accoppiamenti sia tra maschi e femmine che tra femmine e femmine e maschi e maschi, sono usati spesso per risolvere i conflitti. D'altronde questi primati, noti per la loro iperattività sessuale, passano dall'amore gay a quello etero con disinvoltura e senza alcun pregiudizio.Anche animali considerati più aggressivi delle scimmie, dopo una baruffa, sanno metterci una pietra sopra. La iena maculata, Crocuta crocuta, si riconcilia leccando il muso all'avversario. Mentre i delfini tursiopi Turiops truncatus, dopo una battaglia fatta di musate e spintoni, nuotano uno a fianco all'altro strofinandosi con gentilezza. Anche le capre sono capaci di seppellire l'ascia di guerra: dopo un violento duello a suon di corna, si sfregano muso contro muso e tornano a ruminare in armonia. Come ha spiegato la biologa evoluzionista Elisabetta Palagi, tra gli animali «è nell'interesse collettivo scacciare lo stress e ripristinare l'equilibrio originario all'interno del gruppo, dove ogni individuo ha bisogno dell'altro». Nelle società bestiali, insomma, non c'è spazio per i rancori di vecchia data che distruggerebbero la naturale armonia del gruppo.
Gertrude O'Brady.Il chiosco, s.d./LaM, Musée d’art moderne, d’art contemporain et d’art brut de Lille Métropole, Villeneuve d’Ascq© Philip Bernard
Dal Cubismo all’Art Brut, a Palazzo Zabarella di Padova in mostra (sino al 25 gennaio 2026) oltre 60 opere di 30 diversi artisti delle avanguardie del primo e del secondo dopoguerra, tutti provenienti dal LaM di Lille. Fra capolavori noti e meno conosciuti, anche cinque dipinti di Pablo Picasso e sei straordinarie tele di Amedeo Modigliani.
Susanna Tamaro (Getty Images)
La scrittrice Susanna Tamaro: «La società dimentica che la vita non ci appartiene, ma la morte non si affronta con le carte bollate. La lotta con il destino è essenziale perché dalla fragilità dell’esistenza è impossibile scappare».
Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Il principale operatore della rete elettrica nazionale registra ricavi pari a 2,88 miliardi (l’8,9% in più rispetto al 2024) e accelera nei progetti Tyrrhenian Link e Adriatic Link, al centro della strategia per la decarbonizzazione. Aumenta il peso delle rinnovabili.
Nei primi nove mesi del 2025 Terna, principale gestore della rete elettrica nazionale, ha consolidato la propria posizione strategica nel settore, segnando un’intensa crescita economico-finanziaria e un’accelerazione significativa degli investimenti a supporto della transizione energetica. Il consiglio di amministrazione, guidato da Igor De Biasio e con la presentazione dell’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, ha approvato risultati che provano la solidità del gruppo e il suo ruolo determinante nel percorso di decarbonizzazione del Paese.
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
L’operazione Southern Spear lanciata da Washington fa salire il rischio di escalation. Maduro mobilita 200.000 militari, denuncia provocazioni Usa e chiede l’intervento dell’Onu, mentre l’opposizione parla di arruolamenti forzati e fuga imminente del regime.
Nel Mar dei Caraibi la tensione fra Venezuela e Stati Uniti resta altissima e Washington, per bocca del suo Segretario alla Guerra Pete Hegseth, ha appena lanciato l’operazione Southern Spear. Questa nuova azione militare è stata voluta per colpire quelli che l’amministrazione Trump ha definito come i narco-terroristi del continente sudamericano ed ha il dichiarato obiettivo di difendere gli Stati Uniti dall’invasione di droga portata avanti da questi alleati di Maduro. Intanto è stata colpita la 21ª imbarcazione, accusata di trasportare droga verso il territorio statunitense, facendo arrivare a circa 80 il numero delle vittime.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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