2020-02-06
Più soldi a chi prende gli immigrati
Il Viminale abolisce i tagli di Matteo Salvini e ripristina i vecchi rimborsi .Chi lucra sui migranti festeggia: la pacchia ricomincia davvero. Lo statuto del contribuente lo vieta, ma il Conte due conferma l'intervento sul forfettario in modo retroattivo. Per 300.000 autonomi le tasse saliranno tra il 50 e il 75%. Batoste anche del 30% per chi resta nel regime. Lo speciale contiene due articoli.Lo speciale contiene due articoliRiparte il grande business dei migranti. La svolta era nell'aria, ieri è arrivata la conferma con una circolare inviata dal Viiminale alle prefetture con questo titolo: «Nuovo schema di capitolato di appalto per la fornitura di beni e servizi relativi alla gestione e al funzionamento dei centri di prima accoglienza». Le prefetture potranno cioè riaprire i bandi per la gestione delle strutture di accoglienza a condizioni migliori per le cooperative. In pratica, salta il tetto alla diaria per ogni migrante imposto dall'ex ministro Matteo Salvini. Un rimborso che fino al 2018 era pari a 35 euro al giorno ed era stato ridotto a una quota variabile tra i 19 e i 26 euro, in linea con la media europea. Quei 35 euro erano il cuore del commercio dell'accoglienza, il motore della profugopoli che aveva regnato nella scorsa legislatura con i governi Letta, Renzi e Gentiloni. Un giro di soldi enorme, che aveva avuto due effetti devastanti: da un lato, la moltiplicazione degli sbarchi; dall'altro, il proliferare di situazioni fuorilegge, come ha dimostrato lo scandalo di Mafia capitale a Roma che ruotava proprio attorno ai soldi assegnati alle cooperative che gestivano i centri di accoglienza. Salvini al Viminale aveva dato un colpo di freno, abbattendo il via vai di barconi tra la Libia e le coste meridionali italiane e rendendo più serrati i vincoli per chi aveva trasformato un'attività umanitaria in una fonte permanente di profitti. Le coop lasciate a bocca asciutta hanno reagito disertando i bandi lanciati dalle prefetture per la gestione dei centri di accoglienza. Poco denaro, zero offerte: altro che spirito di solidarietà. I soldi sono appena sufficienti per vitto e alloggio, si erano lamentate le cooperative protestando perché non avrebbero più potuto allestire progetti di integrazione e inserimento per i profughi sbarcati. Con l'addio di Salvini e l'arrivo al Viminale di Luciana Lamorgese, le pressioni per cancellare i tagli imposti dall'ex ministro sono riprese assieme agli sbarchi.Ieri dunque la circolare del Viminale, firmata dal capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione Michele di Bari e vistata preventivamente dall'Autorità anticorruzione, ha ufficialmente riaperto la stagione degli appalti e ridato fiato al business delle braccia aperte. La nota è lunga 10 pagine in cui la burocrazia ministeriale tenta di dare ragione del perché viene compiuto questo ulteriore passo per cancellare la riforma introdotta da Salvini. Si parla di «necessità di rimodulare i bandi» sotto la spinta della ripresa degli sbarchi: «L'esigenza di collocazione dei migranti è costante», scrive il Viminale, «il che obbliga le prefetture a bandire di nuovo, e in modo ricorrente, l'appalto per la gestione dei centri di accoglienza». Lo sforzo, in sostanza, non è quello di porre nuovamente un freno ai taxi del mare, ma di fare ripartire a pieno regime la macchina dell'ospitalità.Il Viminale smantella i risparmi salviniani sostenendo che i valori di riferimento dei prezzi sono medie nazionali, mentre le spese possono variare da regione a regione, e anche da città a città: affittare un immobile da adibire all'accoglienza costa certamente di più a Milano piuttosto che alla periferia di Sondrio. «Alcune delle voci che compongono il costo medio potrebbero riportare sensibili variazioni rispetto alla media nazionale a seconda del diverso perimetro territoriale preso in considerazione dal bando», si legge nella circolare, soprattutto «in riferimento al costo della locazione di immobili». Perciò le prefetture sono autorizzate a rifare gli appalti «in senso migliorativo per gli operatori economici». Cioè per le coop che vivono di accoglienza. La proroga dei contratti in corso «è da considerare come extrema ratio», cioè ultima spiaggia. Meglio non prorogare, insiste il Viminale, ma rifare gli appalti: una procedura «funzionale al soddisfacimento degli interessi dei concorrenti stessi». Ancora una volta, il primo interesse da perseguire è quello di chi deve rituffarsi in questo giro di soldi per troppo tempo ridimensionato.Anche i rimborsi per taluni servizi sanitari vengono aumentati: per i centri con capienza fino a 50 posti, le prefetture pagheranno a parte il costo sostenuto per i medici, che sono tenuti a coprire un monte orario complessivo di 200 ore annuali a chiamata. Per i centri maggiori, invece, le prefetture potranno far valere i costi per le prestazioni sanitarie come motivo sufficiente per alzare la base d'asta, soprattutto se si tratta di un hotspot. E pure la necessità di maggiore vigilanza è considerata ragione più che valida per gonfiare le somme da versare alle coop.Tutta la circolare è un elenco di casi in cui il ministero autorizza ad aprire i cordoni delle borse per «ulteriori circostanziate condizioni di eventuale modifica del contratto», con un susseguirsi di clausole e scappatoie. Porte aperte, bilanci aperti. E così, assieme all'impennata degli sbarchi (+700% nel gennaio 2020 rispetto a 12 mesi prima), l'esecutivo Conte 2 regala la moltiplicazione dei rimborsi. «Dopo aver riaperto i porti, il governo riapre i portafogli degli italiani, aumentando i soldi per chi accoglie richiedenti asilo», ha commentato Matteo Salvini su Twitter. «Noi avevamo ridotto da 35 euro a una media europea fra i 19 e i 26 euro al giorno il compenso per ogni immigrato, questo governo fa ripartire il business legato agli sbarchi. Vergogna!».Stefano Filippi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tornano-i-35-euro-per-le-cooperative-ora-laccoglienza-e-di-nuovo-business-2645045672.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="finisce-lillusione-delle-partite-iva-flat-tax-tagliata-gia-dal-1deg-gennaio" data-post-id="2645045672" data-published-at="1757920491" data-use-pagination="False"> Finisce l’illusione delle partite Iva. Flat tax tagliata già dal 1° gennaio L'ultima speranza delle partite Iva si è infranta ieri. Il governo, con la manovra approvata prima di Natale, aveva stravolto la vita degli autonomi che grazie alle novità introdotte dalla Lega hanno goduto per un anno della flat tax al 15%. La legge è però entrata in vigore in ritardo e almeno 300.000 persone speravano di godere del regime forfettario per l'intero 2020. Lo statuto del contribuente, infatti, non prevede l'applicazione retroattiva di novità (soprattutto se penalizzanti) e impone che trascorrano almeno 90 giorni tra la comunicazione ufficiale e l'applicazione pratica. Non sarà così. Ieri, in Commissione bilancio, il governo ha confermato che chi nel 2019 ha sforato il reddito di 30.000 euro da lavoro dipendente o da pensione, si trova subito espulso dal bacino della flat tax. A partire dal primo gennaio scorso. Con le modifiche al forfettario leghista (regime valido fino a 65.000 euro di reddito lordo), il governo Conte ha ridefinito in toto la platea degli aventi diritto. Se il gruppo che rientrava nel regime forfettario nel 2019 annoverava più o meno 1,4 milioni di persone, nel 2020 fatica ad arrivare a contarne 1,1. Circa 300.000 partite Iva si vedono così aumentare le imposte complessive con una percentuale che varia tra il 50 e il 75%. Torneranno alla situazione del 2018 con qualche aggravante in più sui temi della fatturazione elettronica e di altre disposizioni. In sostanza, costi di gestione aumentati. Se qualcuno tra i 300.000 avesse fatto un minimo di programmazione si troverà fregato. Chi avesse deciso di permettersi un mutuo o il leasing di un'auto si troverà spiazzato e in serie difficoltà. Sono finiti alla mercé di una politica che non ha rispetto per chi lavora. I 300.000 espulsi d'ora in avanti potranno mettersi il cuore in pace, la loro pressione fiscale salirà di botto. Ci sono poi altri 700.000 autonomi che con calma scopriranno di essere finiti vittime dello storytelling dei giallorossi. Pur rimanendo nel perimetro del regime forfettario pagheranno molte più tasse dello scorso anno. Queste partite Iva si ritroveranno a pagare tra il 25 e il 30% in più di tasse. Eutekne, il think tank fiscale diretto da Enrico Zanetti, aveva già fatto i conti. Un contribuente che nel 2019 ha dichiarato 24.000 euro di reddito da lavoro dipendente e compensi da attività autonoma per 40.000 euro godeva dalla tassa piatta al 15%. Quindi versa sul 78% dei compensi totali il 15% di imposta, mentre sulla busta paga ha il prelievo Irpef pari al 19,6%. Sul reddito da lavoro dipendente può detrarre il bonus 80 euro introdotto dal governo di Matteo Renzi. «Tirate le somme versa allo Stato circa 8.400 euro di tasse», spiegava il documento di Eutekne. «Se il medesimo contribuente manterrà le stesse entrate nel 2020 potrà rimanere nel regime forfettario (reddito da lavoro dipendente non superiore ai 30.000 euro), ma il conto delle tasse salirà a 11.500 euro». La differenza è di oltre 2.000 euro, esattamente il 25% in più. Una vera beffa, se si considera anche che il governo aveva più volte dichiarato che non avrebbe alzato le tasse salvaguardando il regime della flat tax. Inoltre, le modifiche apportate dai giallorossi impongono di parametrare le detrazioni sul reddito complessivo e non più solo sull'extra reddito da lavoro autonomo, come accadeva nel 2019. Tradotto, lo stesso contribuente (con 24.000 euro di reddito da lavoro e 40.000 con partita Iva) se ha a carico due figli di età superiore ai tre anni pagherà altre 500 euro di tasse. Portando la cifra totale a 12.000. Ben il 30% in più di quanto avrebbe pagato lo scorso anno. «Dopo tanto mistero sulla decorrenza dei requisiti più stringenti per accedere nel 2020 al regime forfettario, il governo delle tasse confessa di aver dichiarato guerra a partite Iva, lavoratori dipendenti e pensionati», si legge in una nota diffusa dai deputati del Carroccio. «La risposta del Mef lo certifica nero su bianco». Purtroppo non è la prima volta che lo statuto del contribuente viene stracciato e gettato nel cestino. D'altronde le leggi fiscali hanno il solo obiettivo di racimolare gettito. E la manovra 2020 ha deciso di raccogliere dal mondo della partite Iva non meno di 600 milioni di euro da destinare al taglio del cuneo fiscale, diventato ieri legge grazie alla firma del presidente Sergio Mattarella. Come ciò debba avvenire, sembra irrilevante. D'altronde il grande errore è stato far mettere in Costituzione l'obbligo del pareggio di bilancio senza bilanciare l'opzione con l'innalzamento dello statuto del contribuente a legge di primo livello. In questo modo, i danni della politica cadranno sempre sulle spalle di chi lavora e produce. Soprattutto se non sono rappresentati da alcuno dei partiti che compongono la maggioranza. Claudio Antonelli
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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