2022-10-27
Torna la litania sulle intensive piene di non vaccinati. Ma il vero nodo sono le cure
La Fiaso lancia l’allarme sui renitenti. Eppure, i dati mostrano la scarsa protezione della quarta dose. Per uscire dal cortocircuito, si punti su terapie precoci e antivirali.Giorgia, parlaci di vaccini. Roberto Speranza e il Pd accusano il premier di strizzare l’occhio ai ribelli dell’iniezione, disinteressandosi della campagna per le quarte dosi. E proprio mentre s’inaspriscono gli attacchi della sinistra profilattica, la Fiaso presenta i nuovi dati sui ricoveri Covid. Riesumando un tormentone pandemico: in corsia finisce chi ha rifiutato le punture. Il 33,3% dei ricoverati in terapia intensiva, dice la federazione delle aziende ospedaliere, è composto da no vax. Quota che, nei reparti ordinari, si attesta al 20%. Sgomberiamo subito il campo da un equivoco: è vero che, se il 33,3% dei malati gravi non s’era mai recato negli hub, il 66,7 aveva porto il braccio; e che, tra quelli in condizioni non critiche, a essersi sottoposto all’inoculazione è, addirittura, l’80%. Tuttavia, l’incidenza relativa dei casi seri è molto più alta tra i non vaccinati, che sono una percentuale minoritaria della popolazione. L’inghippo non sta nel famigerato paradosso statistico. Il punto è che gli esperti, tanto nei bollettini Iss quanto nei report della Fiaso, stimano i tassi di rischio paragonando i vaccinati ai renitenti. Facile, così: ci manca che un farmaco, pensato per immunizzare, non schermi dalla patologia grave. La questione vera riguarda il raffronto tra i vaccinati a vario titolo. La Fiaso afferma: chi si è fatto iniettare l’antidoto, eppure ha avuto bisogno di assistenza in ospedale, aveva ricevuto l’ultimo shot oltre sei mesi fa ed è sprovvisto di quarta dose. Ma il secondo booster fa davvero la differenza?Guardando l’ultimo report di Epicentro, si scopre, ad esempio, che nella fascia 60-79 anni, la quota di contagiati con quarta dose è pressoché identica a quella dei non vaccinati. Si tratta di gente che, arrivata al quarto richiamo, si sente invincibile e si abbandona alla promiscuità? Negli over 80, il bilancio è peggiore. L’incidenza di 1.933 quadridosati infetti ogni 100.000 persone supera quella di tutte le altre categorie di vaccinati: vecchi, nuovi e con terza dose.Ma concentriamoci sul numero cruciale: quello degli ingressi in rianimazione. In fondo, lo scopo del vaccino è evitare che un individuo si ammali in modo serio. Anche da questo punto di vista, purtroppo, il beneficio della quarta dose appare limitato. L’incidenza dei ricoveri in terapia intensiva, nei quadridosati tra 60 e 79 anni, è di 0,8 casi ogni 100.000 abitanti. Di poco inferiore a quella rilevata nei tridosati (1,2) e nei vaccinati con due dosi da oltre 120 giorni (1,4). Ma in chi ha ricevuto il doppio shot da meno di quattro mesi, l’incidenza è pari allo zero. Cosa se ne deduce? Che il vaccino protegge nell’immediato (il tasso d’incidenza, tra i no vax, è di 3,2), però il valore aggiunto dei successivi richiami è ridotto.Tra i nonnini ultraottantenni, inoltre, ci sono 1,5 ricoveri tra i quadridosati contro 1,7 nei tridosati e 1,9 nei vaccinati meno recenti. Il tasso resta sempre zero tra chi si è deciso a correre all’hub meno di quattro mesi fa. Quanto ai decessi, si rileva finalmente una differenza più marcata, negli over 80, specie rispetto ai bidosati vecchi e nuovi. Nessun vantaggio apprezzabile, all’opposto, per gli italiani tra 60 e 79 anni. Alle performance non esaltanti dei sieri - quelli tarati sul virus di Wuhan e quelli aggiornati per contrastare Omicron 5, testati soltanto sui topi - si somma una considerazione sulle tempistiche dei booster. All’inizio, l’ipotesi prevalente era che i richiami dovessero essere effettuati una volta l’anno, insieme all’antinfluenzale; adesso, di fatto, sono diventati quadrimestrali. O peggio: il presidente Usa, Joe Biden, è guarito dal Covid a inizio agosto e si è sottoposto alla quinta dose questa settimana, cioè dopo meno di 90 giorni. Con un atteggiamento oscillante tra l’angoscia e l’humor nero: «Potrei morire domani», aveva sospirato. In definitiva, è immaginabile che si continuino a riempire i magazzini di fiale - insieme alle tasche di Big pharma? - Che si spingano ultrasessantenni e fragili di ogni età a vaccinarsi, a intervalli che stanno diventando sempre più ridotti? Un’alternativa al circuito perverso promosso da Speranza, invero, esiste. È un’idea di per sé banale, ma per come sono andate le cose, sarebbe una rivoluzione copernicana: curare i malati. Non solo facilitando le prescrizioni degli antivirali; anche e soprattutto organizzando quella filiera di terapie precoci, da affidare ai medici di famiglia e da cominciare mentre il paziente è ancora a casa, che è stata snobbata dai governi Conte bis e Draghi. Giusto ieri, su Cureus, veniva pubblicato un paper sul trattamento domiciliare per Covid di un novantottenne non vaccinato. Un uomo affetto da fibrillazione atriale parossistica, che assumeva già degli anticoagulanti. In pratica, il candidato perfetto a finire prima sotto ossigenazione artificiale e poi sottoterra. L’équipe di dottori italiani che lo ha seguito, alla comparsa dei primi sintomi, gli ha somministrato antinfiammatori, vitamina D, vitamina C, vitamina K2, quercetina, zinco e, più avanti, desametasone (un altro potente antinfiammatorio) e antibiotico. Durata della terapia: 14 giorni. Al ventesimo, il paziente si era negativizzato. Ci rivolgiamo al nuovo titolare del dicastero, Orazio Schillaci. Che è ancora un’incognita, ma almeno non si presenta in Aula imbavagliato, come il suo predecessore. È urgente uscire dal dogma nocivo del vaccino sola salus. Serve un cambio di paradigma. Ministro, lei ce l’ha il coraggio di realizzarlo?
Federico Vecchioni (Imagoeconomica)
Emmanuel Macron (Getty Images)
Maurizio Landini ed Emanuele Orsini (Ansa)