
La società cinese proprietaria deve vendere entro oggi il social, ma The Donald pensa a uno slittamento. Intanto in Messico avanzano le «Chinatown industriali» di Pechino.Donald Trump trova sul suo tavolo due grane da sbrigare che richiedono un’attenzione prioritaria. Entrambe hanno a che fare con la Cina e, forse, sono il segno premonitore che il rapporto con Pechino sarà la cifra distintiva della nuova presidenza degli Stati Uniti. Stiamo parlando del caso della chiusura di TikTok e delle aziende cinesi che stanno aprendo in Messico per invadere gli Usa.La Corte suprema ha confermato la legge che «spegne» il social, di proprietà cinese, per motivi di sicurezza a partire da oggi, respingendo il ricorso della società che aveva chiesto di abolire la norma in nome della libertà di espressione. Trump ha cercato di rassicurare, in un intervento alla Cnn e anche al telefono direttamente con il presidente cinese, Xi Jinping, che la decisione sul futuro dell’app spetta a lui, ma non ha fornito dettagli su cosa intende fare. Il tycoon, parlando ieri alla Nbc, ha detto che «molto probabilmente» concederà a TikTok una proroga di 90 giorni per evitare il divieto dell’app: «È certamente un’opzione che prenderemo in considerazione. Dobbiamo esaminarla. Se deciderò di farlo, lo annuncerò lunedì». Peraltro, Trump aveva detto di avere a cuore TikTok perché lo avrebbe aiutato a vincere le elezioni raccogliendo consensi tra i giovani.Gli esperti, però, sostengono che difficilmente un ordine esecutivo sarebbe in grado di congelare l’operatività di una legge approvata a larga maggioranza bipartisan dal Congresso. Questo, infatti, aveva chiesto che la società madre cinese di TikTok, ByteDance, disinvestisse entro il 19 gennaio, un giorno prima della conclusione del mandato del presidente in carica Joe Biden (ieri la Casa Bianca ha bollato come «trovata» la minaccia di chiusura del social, visto che «non vediamo alcun motivo per cui TikTok o altre società agiscano nei prossimi giorni prima che l’amministrazione Trump entri in carica lunedì»). Il social è usato da ben 170 milioni di americani. Mike Waltz, futuro consigliere per la Sicurezza nazionale, ha spiegato che la legge «consente anche un’estensione, a patto che ci sia un accordo fattibile sul tavolo». Ma è una corsa contro un tempo che scade oggi.L’altra grana made in Cina è rappresentata dalla strategia messa in campo dalle aziende di Pechino per aggirare i dazi. Ai confini messicani degli Stati Uniti si sta sviluppando una Chinatown industriale. Come riferisce la Cnn, sui terreni agricoli sorgono una miriade di fabbriche della grandezza di un magazzino, con bandiere della Repubblica popolare e del Messico, a indicare questa strana convivenza che, a quanto pare, porta vantaggi economici alla popolazione locale. Questi insediamenti, accolti dai territori, rappresentano un escamotage per aver accesso gratuito al mercato americano, nell’ambito dell’accordo commerciale Usmca. A negoziare questo accordo con il Messico e il Canada è stato lo stesso Trump durante il primo mandato presidenziale anche se ora ha minacciato di porre dazi anche al Messico.C’è chi sostiene che le tariffe metterebbero al tappeto anche le aziende americane che hanno un base produttiva oltre confine, ma c’è chi, invece, sostiene che anche a fronte di dati dazi, per le imprese cinesi produrre lì sarebbe comunque più vantaggioso che in Cina.Diverso il commento di Cesar Santos, proprietario di un ranch: ha stretto accodi con aziende cinesi, creando un parco industriale pronto a ospitare 40 unità produttive. Alla Cnn, riferisce che quando Trump ha imposto i dazi alle merci provenienti dalla Cina, molte aziende si sono trasferite in Messico, inizialmente con contratti di locazione ma poi sono passate all’acquisto delle strutture. Monterrey dista 160 miglia dal Texas, quindi i prodotti impiegano 24-44 ore per arrivare negli Stati Uniti. Gli investimenti cinesi in Messico sono passati da 5,5 milioni di dollari nel 2013 a 570 milioni di dollari nel 2022. Soltanto nei primi sei mesi del 2024 dalla Cina sono arrivati 235 milioni di dollari.
Zohran Mamdani (Ansa)
Dalle politiche sociali ai limiti dell’esproprio alla città come «santuario» per i gay Mamdani rappresenta la radicalizzazione dei dem. Ma anche una bella grana
Da più parti, la vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni municipali di New York City è stata descritta (se non addirittura salutata) come uno «schiaffo» a Donald Trump. Ora, a prima vista, le cose sembrerebbero stare effettivamente così: il prossimo primo cittadino della Grande Mela, che entrerà in carica a gennaio, sembra quanto di più lontano possa esserci dal presidente americano. Tanto che, alla vigilia del voto, lo stesso Trump aveva dato il proprio endorsement al suo principale sfidante: il candidato indipendente, nonché ex governatore dem dello Stato di New York, Andrew Cuomo.
Rifugiati attraversano il confine dal Darfur, in Sudan, verso il Ciad (Getty Images)
Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.






