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2019-11-25
Il nuovo social da 75 miliardi conquista Salvini
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Una musica epica, da film, la scritta «Onore alle forze dell'ordine» e Matteo Salvini che stringe le mani a un gruppo di uomini in divisa schierati davanti a lui. È iniziata con questo brevissimo video, poco più di una decina secondi, l'avventura del leader della Lega su TikTok.
Il social network più famoso tra gli utenti della generazione Z (quella che comprende i nati tra il 1995 e il 2010) tra i suoi 500 milioni di utenti attivi ogni mese è un fenomeno di massa che non coinvolge più solo i giovanissimi ma che continua a guardare alle generazioni future con particolare interesse. L'ha capito Salvini, che, con il suo profilo da quasi 50.000 seguaci, è oggi il primo politico italiano a postare attivamente sulla piattaforma. Prima di lui, solo il leader del nuovo partito democratico canadese Jagmeet Singh aveva utilizzato la piattaforma per veicolare, in modo divertente e leggero, il suo programma anche ai più giovani.
Ma che cos'è TikTok? Questa applicazione, disponibile oggi in 155 Paesi al mondo e in 75 lingue differenti, non è altro che un'evoluzione di musical.ly e Vine, due app divenute famose tra il 2013 e il 2014 in cui i teenagers postavano brevissimi sketch comici o video in cui si sfidavano con gare di lipsync. Il formato, semplice, scorrevole, ricco di effetti, era riuscito in brevissimo tempo a sconvolgere il mondo dei video sui social mettendo a dura prova piattaforme come Facebook, Instagram e Youtube. Dopo un paio di anni di fiorente attività, tuttavia, qualcosa sembrava essersi spento. Se sia per noia o per la ripetitività dei contenuti, non è dato saperlo. Quel che è certo è che, forse, il format non era ancora maturo e non era sviluppato al pieno delle sue potenzialità. I brevi video, ben presto, si erano trasformati in puntate che si susseguivano creando piccoli show sulla piattaforma che portavano migliaia di dollari nelle tasche dei giovanissimi creatori. Fiutato l'affare, l'addio alle due piattaforme fu una conseguenza quasi necessaria: serviva più tempo, più spazio, e soprattutto la possibilità di appoggiarsi a un servizio - come Youtube - noto a livello globale. Nacquero così i vlog, letteralmente dei diari-video giornalieri, in cui le star di questi social veloci si raccontavano al pubblico di giovanissimi che avevano fidelizzato via Vine o musical.ly. A far risorgere dalle ceneri questo tipo di applicazione, ci ha pensato lo stesso Youtube. Dopo il clamoroso disastro di Logan Paul, vlogger americano divenuto milionario inizialmente proprio grazie a Vine, che pubblicò sulla piattaforma un diario di viaggio in Giappone e il suo incontro ravvicinato, nella foresta dei suicidi di Aokigahara, con il cadavere di un ragazzo. Il declino della star, ma anche del diario video quotidiano, iniziò in questo modo. L'ossessione del mostrarsi sempre in contesti estremi, iniziava a non piacere più. E per questo bisognava trovare un'alternativa. Di nuovo.
Oggi TikTok è il social network più apprezzato dai teenager, ma sta pian piano conquistando anche un pubblico più adulto. I ragazzi, come spiegano i creatori della piattaforma, «trovano uno spazio in cui potersi esprimere liberamente, anche su questioni da adulti, ma lontano dagli occhi indiscreti dei genitori».
Così, tra una battaglia a colpi di coreografie semplicissime, tormentoni e sketch comici, ecco che compaiono video di politica, in cui chi si prepara a un futuro da elettore esprime il proprio punto di vista su questioni più o meno importanti. Gli hashtag politici hanno iniziato a spopolare sul social. Che siano tradotti in video ironici o no, il risultato non cambia. La politica è sbarcata anche tra i più giovani che l'hanno fatta loro e hanno dimostrato di non essere una generazione tutta «selfie e discoteche». A dimostrare come TikTok stia cambiando volto sono i numeri: video con l'hashtag #Usa2020 sono stati visualizzati oltre 18.500 volte, Donald Trump (che ancora non ha aperto un profilo ufficiale) vanta invece oltre 211 milioni di visualizzazioni. Le declinazioni di The Donald, su TikTok, sono molteplici e si dividono, come sempre, tra supporter e odiatori seriali. Con una peculiarità: tra i video vincono di gran lunga quelli con l'hashtag donaldtrumpsupporter (visualizzati oltre 290.000 volte) rispetto a quelli categorizzati con IhateDonaldTrump (fermi a 127.000).
Tornando in Italia, Matteo Salvini rimane il re indiscusso della piattaforma. Il suo hashtag ha ben 236.000 views. Con grande distacco Silvio Berlusconi, con l'hashtag #berlusconi (36.500 visualizzazioni) e il Movimento 5 Stelle, fermo a 12.500. Pressoché ininfluente, per ora, è invece Matteo Renzi che si ferma a 3.900 views.
Un discorso a parte è invece quello Giorgia Meloni che, con il suo, «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma» è diventato un tormentone con oltre 136.000 video presenti sul social.
La storia di TikTok
TikTok è diventata senza dubbio una delle applicazioni più chiacchierate del web. Il suo successo è globale e così rilevante da aver fatto drizzare le orecchie persino al re dei social Mark Zuckerberg che, dopo aver tentato - fallendo - di acquistare la piattaforma dai suoi creatori in Cina, ha deciso di fare quello che fa meglio, ovvero «prendere ispirazione» e implementare le sue migliori funzionalità su una piattaforma di cui è proprietario, in questo caso Instagram.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa differenzia TikTok da tutti gli altri social sul nostro smartphone? Mentre Instagram offre un sistema basato su immagini, Twitter su brevi pensieri che non devono superare un certo numero di caratteri e Snapchat permette di pubblicare foto e video «usa e getta», TikTok offre ai suoi utenti la possibilità di creare dei brevi video - della lunghezza massima di 15 secondi - partendo da un ampio database di effetti, canzoni e frasi ad effetto. Insomma, TikTok ha come obiettivo quello di farci divertire e sembra proprio che ci stia riuscendo. Soltanto durante lo scorso anno, l'applicazione è stata scaricata da oltre un miliardo di persone, superando il numero complessivo di utenti attivi di Twitter (336 milioni) e Snapchat (186 milioni). L'azienda cinese che l'ha creata - ByteDance - è oggi valutata più di 75 miliardi di dollari ed è stata definita la startup di maggiore successo al mondo, superando Uber.
Il successo globale di TikTok è arrivato negli ultimi anni, ma l'applicazione è nata nel 2014 con un nome differente. Musical.ly è frutto di un'idea degli imprenditori cinesi Alex Zhu e Luyu Yang, il cui obiettivo era introdurre nel mercato americano un'applicazione che potesse emulare il successo di Vine, ennesimo social dove poter pubblicare brevi sketch comici. Non è un caso che il marketing per Musical.ly fosse completamente basato sulla presenza dei maggiori nomi di Vine - da King Bach a Logan Paul - sulla nuova piattaforma. La presenza di questi ultimi non è però bastata per fare di Musical.ly un successo, portando alla sua acquisizione da parte di ByteDance nel novembre 2017.
Ci vuole comunque un anno prima che TikTok si faccia davvero notare. È solo nell'agosto scorso, infatti, che alcune star americane hanno deciso di sbarcare sul nuovo social, portando con se migliaia di nuovi fan. Parliamo del conduttore Jimmy Fallon - che ogni settimana lancia nuovi «challenge» per i suoi followers - o della comica Amy Schumer. La ByteDance ha inoltre intrapreso una massiccia campagna pubblicitaria, culminata in una «rap battle» con la cantante del momento, Cardi B. Ma, nonostante la presenza di centinaia di personaggi famosi, la vera forza di TikTok è l'essere un'app per la gente comune. Sono specialmente i giovani della Generazione Z a trovare in questo social un luogo dove si possono divertire e conoscere. Ogni post può ottenere milioni e milioni di visualizzazioni - anche se questo dato rimane visibile solo a chi carica il video - e l'homepage permette di scoprire gente sempre nuova. TikTok ha poi dalla sua un elemento fondamentale, forse il più importante: è completamente privo di pubblicità.
Mariella Baroli
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Matteo Salvini è il primo politico italiano a sbarcare sul social network cinese. Il video in cui «balla» ha addirittura superato il milione di visualizzazioni. Una seconda vita per la piattaforma più amata dai teenager che si apre alla politica, senza censura. A utilizzarlo, oltre al leader leghista, solo il democratico canadese Jagmeet Singh.La storia di TikTok. Da Musical.ly a Vine fino al fenomeno Snapchat. Come i mini video sono diventati virali più delle foto.Lo speciale comprende due articoli.Una musica epica, da film, la scritta «Onore alle forze dell'ordine» e Matteo Salvini che stringe le mani a un gruppo di uomini in divisa schierati davanti a lui. È iniziata con questo brevissimo video, poco più di una decina secondi, l'avventura del leader della Lega su TikTok. Il social network più famoso tra gli utenti della generazione Z (quella che comprende i nati tra il 1995 e il 2010) tra i suoi 500 milioni di utenti attivi ogni mese è un fenomeno di massa che non coinvolge più solo i giovanissimi ma che continua a guardare alle generazioni future con particolare interesse. L'ha capito Salvini, che, con il suo profilo da quasi 50.000 seguaci, è oggi il primo politico italiano a postare attivamente sulla piattaforma. Prima di lui, solo il leader del nuovo partito democratico canadese Jagmeet Singh aveva utilizzato la piattaforma per veicolare, in modo divertente e leggero, il suo programma anche ai più giovani. Ma che cos'è TikTok? Questa applicazione, disponibile oggi in 155 Paesi al mondo e in 75 lingue differenti, non è altro che un'evoluzione di musical.ly e Vine, due app divenute famose tra il 2013 e il 2014 in cui i teenagers postavano brevissimi sketch comici o video in cui si sfidavano con gare di lipsync. Il formato, semplice, scorrevole, ricco di effetti, era riuscito in brevissimo tempo a sconvolgere il mondo dei video sui social mettendo a dura prova piattaforme come Facebook, Instagram e Youtube. Dopo un paio di anni di fiorente attività, tuttavia, qualcosa sembrava essersi spento. Se sia per noia o per la ripetitività dei contenuti, non è dato saperlo. Quel che è certo è che, forse, il format non era ancora maturo e non era sviluppato al pieno delle sue potenzialità. I brevi video, ben presto, si erano trasformati in puntate che si susseguivano creando piccoli show sulla piattaforma che portavano migliaia di dollari nelle tasche dei giovanissimi creatori. Fiutato l'affare, l'addio alle due piattaforme fu una conseguenza quasi necessaria: serviva più tempo, più spazio, e soprattutto la possibilità di appoggiarsi a un servizio - come Youtube - noto a livello globale. Nacquero così i vlog, letteralmente dei diari-video giornalieri, in cui le star di questi social veloci si raccontavano al pubblico di giovanissimi che avevano fidelizzato via Vine o musical.ly. A far risorgere dalle ceneri questo tipo di applicazione, ci ha pensato lo stesso Youtube. Dopo il clamoroso disastro di Logan Paul, vlogger americano divenuto milionario inizialmente proprio grazie a Vine, che pubblicò sulla piattaforma un diario di viaggio in Giappone e il suo incontro ravvicinato, nella foresta dei suicidi di Aokigahara, con il cadavere di un ragazzo. Il declino della star, ma anche del diario video quotidiano, iniziò in questo modo. L'ossessione del mostrarsi sempre in contesti estremi, iniziava a non piacere più. E per questo bisognava trovare un'alternativa. Di nuovo.Oggi TikTok è il social network più apprezzato dai teenager, ma sta pian piano conquistando anche un pubblico più adulto. I ragazzi, come spiegano i creatori della piattaforma, «trovano uno spazio in cui potersi esprimere liberamente, anche su questioni da adulti, ma lontano dagli occhi indiscreti dei genitori». Così, tra una battaglia a colpi di coreografie semplicissime, tormentoni e sketch comici, ecco che compaiono video di politica, in cui chi si prepara a un futuro da elettore esprime il proprio punto di vista su questioni più o meno importanti. Gli hashtag politici hanno iniziato a spopolare sul social. Che siano tradotti in video ironici o no, il risultato non cambia. La politica è sbarcata anche tra i più giovani che l'hanno fatta loro e hanno dimostrato di non essere una generazione tutta «selfie e discoteche». A dimostrare come TikTok stia cambiando volto sono i numeri: video con l'hashtag #Usa2020 sono stati visualizzati oltre 18.500 volte, Donald Trump (che ancora non ha aperto un profilo ufficiale) vanta invece oltre 211 milioni di visualizzazioni. Le declinazioni di The Donald, su TikTok, sono molteplici e si dividono, come sempre, tra supporter e odiatori seriali. Con una peculiarità: tra i video vincono di gran lunga quelli con l'hashtag donaldtrumpsupporter (visualizzati oltre 290.000 volte) rispetto a quelli categorizzati con IhateDonaldTrump (fermi a 127.000). Tornando in Italia, Matteo Salvini rimane il re indiscusso della piattaforma. Il suo hashtag ha ben 236.000 views. Con grande distacco Silvio Berlusconi, con l'hashtag #berlusconi (36.500 visualizzazioni) e il Movimento 5 Stelle, fermo a 12.500. Pressoché ininfluente, per ora, è invece Matteo Renzi che si ferma a 3.900 views.Un discorso a parte è invece quello Giorgia Meloni che, con il suo, «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma» è diventato un tormentone con oltre 136.000 video presenti sul social. !function(e,i,n,s){var t="InfogramEmbeds",d=e.getElementsByTagName("script")[0];if(window[t]&&window[t].initialized)window[t].process&&window[t].process();else if(!e.getElementById(n)){var o=e.createElement("script");o.async=1,o.id=n,o.src="https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js",d.parentNode.insertBefore(o,d)}}(document,0,"infogram-async");<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tiktok-salvini-2641409446.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-storia-di-tiktok" data-post-id="2641409446" data-published-at="1765075203" data-use-pagination="False"> La storia di TikTok TikTok è diventata senza dubbio una delle applicazioni più chiacchierate del web. Il suo successo è globale e così rilevante da aver fatto drizzare le orecchie persino al re dei social Mark Zuckerberg che, dopo aver tentato - fallendo - di acquistare la piattaforma dai suoi creatori in Cina, ha deciso di fare quello che fa meglio, ovvero «prendere ispirazione» e implementare le sue migliori funzionalità su una piattaforma di cui è proprietario, in questo caso Instagram. Ma facciamo un passo indietro. Cosa differenzia TikTok da tutti gli altri social sul nostro smartphone? Mentre Instagram offre un sistema basato su immagini, Twitter su brevi pensieri che non devono superare un certo numero di caratteri e Snapchat permette di pubblicare foto e video «usa e getta», TikTok offre ai suoi utenti la possibilità di creare dei brevi video - della lunghezza massima di 15 secondi - partendo da un ampio database di effetti, canzoni e frasi ad effetto. Insomma, TikTok ha come obiettivo quello di farci divertire e sembra proprio che ci stia riuscendo. Soltanto durante lo scorso anno, l'applicazione è stata scaricata da oltre un miliardo di persone, superando il numero complessivo di utenti attivi di Twitter (336 milioni) e Snapchat (186 milioni). L'azienda cinese che l'ha creata - ByteDance - è oggi valutata più di 75 miliardi di dollari ed è stata definita la startup di maggiore successo al mondo, superando Uber. Il successo globale di TikTok è arrivato negli ultimi anni, ma l'applicazione è nata nel 2014 con un nome differente. Musical.ly è frutto di un'idea degli imprenditori cinesi Alex Zhu e Luyu Yang, il cui obiettivo era introdurre nel mercato americano un'applicazione che potesse emulare il successo di Vine, ennesimo social dove poter pubblicare brevi sketch comici. Non è un caso che il marketing per Musical.ly fosse completamente basato sulla presenza dei maggiori nomi di Vine - da King Bach a Logan Paul - sulla nuova piattaforma. La presenza di questi ultimi non è però bastata per fare di Musical.ly un successo, portando alla sua acquisizione da parte di ByteDance nel novembre 2017. Ci vuole comunque un anno prima che TikTok si faccia davvero notare. È solo nell'agosto scorso, infatti, che alcune star americane hanno deciso di sbarcare sul nuovo social, portando con se migliaia di nuovi fan. Parliamo del conduttore Jimmy Fallon - che ogni settimana lancia nuovi «challenge» per i suoi followers - o della comica Amy Schumer. La ByteDance ha inoltre intrapreso una massiccia campagna pubblicitaria, culminata in una «rap battle» con la cantante del momento, Cardi B. Ma, nonostante la presenza di centinaia di personaggi famosi, la vera forza di TikTok è l'essere un'app per la gente comune. Sono specialmente i giovani della Generazione Z a trovare in questo social un luogo dove si possono divertire e conoscere. Ogni post può ottenere milioni e milioni di visualizzazioni - anche se questo dato rimane visibile solo a chi carica il video - e l'homepage permette di scoprire gente sempre nuova. TikTok ha poi dalla sua un elemento fondamentale, forse il più importante: è completamente privo di pubblicità.Mariella Baroli
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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