2023-06-23
«Testimoni pagati e chat nascoste». Nuove accuse ai pm del processo Eni
Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro tacquero sui messaggi compromettenti trovati nel cellulare del nigeriano che accusava i capi azienda.La posizione del procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro nel processo bresciano per rifiuto di atti d’ufficio rischia di aggravarsi. I due sono alla sbarra con l’accusa di aver nascosto al Tribunale in primis e poi all’Eni, alla Shell e agli altri imputati del processo Opl 245 prove a discarico, come i messaggi trovati nel cellulare del principale accusatore, Vincenzo Armanna, che rivelavano come l’ex manager infedele del Cane a sei zampe avesse corrisposto 50.000 dollari a due testimoni chiave.Ieri in aula a Brescia gli avvocati Pasquale Annicchiarico e il collega Gianfilippo Schiaffino, legali della parte civile, hanno depositato nuove carte che i due magistrati avrebbero nascosto alle difese e che sarebbero state a loro disposizione a partire da febbraio 2020, e cioè almeno un anno prima rispetto alla sentenza di assoluzione di primo grado di tutti gli imputati e dei vertici Eni del 17 marzo 2021.La storia ruota intorno a tale Victor Nwafor, responsabile della security del palazzo presidenziale nigeriano, il presunto supertestimone, indicato da Armanna, della mai dimostrata tangente da 1 miliardo di dollari che sarebbe stata pagata a pubblici ufficiali nigeriani e una cui piccola parte (50 milioni), a detta sempre di Armanna e dei pm, sarebbe stata restituita come «cavallo di ritorno» ai manager della compagnia petrolifera italiana. Ma quando Victor Nwafor (il primo, quello giusto) fu sentito nel processo a Milano come teste in teleconferenza, a inizio 2019, negò addirittura di conoscere Armanna e allora il faccendiere tirò fuori dal cilindro un secondo Victor, al secolo Isaac Eke, che, però, nel capoluogo meneghino, il 29 gennaio 2020, deluse a sua volta le aspettative ammettendo solo di aver conosciuto di sfuggita Armanna nel 2014 e di non sapere neppure che fosse un manager di Agip in Nigeria.Peccato che un sedicente Isaac Eke, il 19 novembre 2019, avesse inviato alla Procura e alla difesa di Armanna una dichiarazione dettagliata che diceva tutt’altro.Due mesi dopo Eke aveva spiegato, confusamente, ai giudici, che quella lettera gli era stata dettata da un ufficiale di marina in pensione, tale Timi Ayah, comune amico suo e di Armanna.Dopo l’imbarazzante testimonianza, il giorno stesso, scattano le perquisizioni notturne nella stanza d’albergo di Eke e gli investigatori gli sequestrano quattro cellulari. Evidentemente i pm sospettavano che l’uomo fosse stato convinto da qualcuno a far marcia indietro. Ovviamente i principali indiziati erano i dirigenti dell’Eni.Ma dalla copia del contenuto dei telefonini inviata dalla Guardia di finanza immediatamente dopo il sequestro, il 3 febbraio 2020 in Procura affiora un’altra verità.Dalle nuove carte risulta che il testo spedito il 19 novembre era stato ricevuto da Eke nove giorni prima tramite WhatsApp da un interlocutore memorizzato come «Csp Odia», unitamente all’indicazione degli indirizzi mail dei destinatari, ossia, quelli dei difensori di Armanna e dei pubblici ministeri oggi imputati. Il giorno successivo, lo stesso testo venne inoltrato da Eke a un interlocutore memorizzato come «Fru».Per questo gli avvocati della parte civile hanno illustrato come occorresse sin da subito segnalare «la grande stranezza di questo fascicolo processuale nel quale non è stata effettuata alcuna attività di indagine».Tanto meno risulta che siano state svolte indagini per accertare chi fossero per davvero i titolari delle due utenze telefoniche sopra indicate.«Quel che è certo è che il testo della dichiarazione venne effettivamente ricevuto da Eke già “confezionato”» si legge nella memoria.Dunque il supertestimone non era tale e quel materiale è rimasto coperto dal segreto per tre anni, sino a quando De Pasquale ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dalle accuse di falsa testimonianza per Eke, giustificando il cambio di versione con fantomatiche pressioni da parte dei servizi segreti nigeriani.Dalle chat, però, la realtà sembra più prosaica: il piano non sarebbe andato a buon fine perché anziché ricevere i 50.000 euro pattuiti per dichiarare quanto concordato, il teste ne avrebbe incassati solo 19.000.Inoltre gli avvocati sono convinti che Eke sia stato «indottrinato», ma che i suoi pupari non sarebbero mai stati ricercati.Per esempio il 15 gennaio 2020, a ridosso dell’udienza, Ayah inviava a Eke il nome di «Vincenzo Armanna» e un link collegato a una sua foto, affinché il testimone fosse in grado di riconoscerlo in aula. Il 28 gennaio, sempre l’ex ufficiale di marina, spediva alcuni articoli di stampa che annunciavano lo sbarco in aula del «vero Victor».Nell’occasione Eke liquida quel materiale come «spazzatura», «rubbish» in inglese. Un giudizio tagliente di cui i due pm non parleranno con nessuno, salvo un rapido accenno, nell’istanza di archiviazione, alla risposta «sprezzante», di «difficile inquadramento».Non è finita. Quando Storari, nel 2021, consegna ai colleghi i messaggi sul pagamento dei testimoni, De Pasquale e Spadaro avevano già a disposizione da un anno le conversazioni rinvenute nei cellulari di Eke con il medesimo oggetto.L’11 dicembre 2019, Ayah aveva scritto ad Armanna (a proposito di Eke): «Abbiamo bisogno di mandargli qualcosa di piccolo come 20» e il successivo 17 dicembre 2019, Armanna aveva informato tal Matthew Tonlagha che «il secondo (ossia Timi, ndr) ha raccolto per il primo (Eke, ndr)», aveva cioè ricevuto i soldi destinati anche ad Eke.Il 24 dicembre Eke inviava al contatto salvato come «Eke wife» («Eke moglie») il seguente messaggio: «Prince ha inviato 50k. Io ho ricevuto 19k da Timothy. Manderò 20k a pastore Ben questa sera se la rete è ok e restituirò 40k a te attraverso l’account di Timothy».I pm sapevano anche che il giorno prima dell’udienza Eke aveva inviato un ultimatum a tale Prince: «Money now», «i soldi ora». Ma con ogni probabilità il denaro non arrivò ed Eke non si prestò più al gioco, non confermando in aula la storia dei 50 milioni.De Pasquale e Spadaro in una nota inviata il 5 marzo 2021 al procuratore Francesco Greco e all’aggiunto Laura Pedio, dopo l’intervento di Storari, citano un messaggio trovato nel cellulare di Armanna, verosimilmente riferibile a Eke, che suona come una neppure troppo velata minaccia legata ai soldi: «Ciao Timi, sarai d’accordo con me sul fatto che sono stato molto paziente. Mi hai detto che il tuo amico è una persona molto generosa. Se questo è il modo di essere generosi allora non so di che cosa stiamo parlando. Il fatto che ieri abbia fatto qualcosa non lo rende un uomo gentile. Tu vuoi che io corra questo tipo di rischio e lui non può fare nulla per Natale. Questo rischio vale molto più di un milione di dollari eppure tutto quello che sento sono storie. Il fatto che lui abbia dato 50k a Kabiru e agli altri non è sufficiente per trattarmi in questo modo». De Pasquale e Spadaro spiegano al loro capo che è possibile che la comunicazione provenga da Eke visto che la polizia giudiziaria ha trovato nel cellulare del nigeriano due contatti registrati come «Kabiru» e «Cp Kabiru», ma rimarcano che la Guardia di finanza avrebbe agito «senza la loro autorizzazione», quasi a stigmatizzare l’eccessiva intraprendenza delle Fiamme gialle. Annichiarico e il collega Schiaffino concludono la loro memoria dolendosi per i mancati approfondimenti sui soggetti che sono ruotati intorno al falso supertestimone: «Appare davvero sorprendente che non siano (almeno all’apparenza) state effettuate alcun genere di indagini da parte degli odierni imputati e che non siano stati svolti accertamenti sull’identità dei soggetti mittenti e/o destinatari dei messaggi rinvenuti sui telefoni cellulari di Isaak Eke, né effettuati i doverosi incroci e riscontri con i contenuti del telefono di Armanna». Adesso, per capire se il capo di imputazione verrà aggiornato, bisognerà attendere la prossima udienza, il 3 ottobre, quando saranno sentiti i testi dei magistrati.
Jose Mourinho (Getty Images)