
L’ortaggio è tra i più vilipesi, utilizzato per definire qualcuno «sciocco» ma fin dall’antichità faceva capolino nelle diete. In Trentino quelle rosse vanno con la carne di maiale, in Friuli ci preparano la brovada. E nel Settecento dalle barbabietole si ricavò lo zucchero. Marco Zanni, autore del dizionario Ditelo con gli insulti (e non accontentavi di un semplice vaffanculo), spiega: «Testa di rapa: individuo ignorante, grezzo, sciocco, insulso, che, come la rapa, non sa di un granché». Povera rapa, ortaggio tra i più vilipesi. Oltre che nella testa, la si colpisce nello spirito («Che spirito di rapa») e nel sangue («È come cavar sangue da una rapa»). La usano spesso sadici professori contro studenti introversi. L’immagine, crudele perseguiterà gli sventurati per tutta la vita. Ma chi lo dice che la rapa è senza sangue? Provino quei docenti senza cuore a trinciarla e vedranno scorrere sul tagliere un liquido color emoglobina.Stiamo parlando della rapa rossa anche se sarebbe più corretto chiamarla barbabietola. Linneo nel 1753 la chiamò Beta vulgaris. Stesso nome per altre barbabietole sorelle. Le distingue la varietà. La rossa è esculenta, cioè edibile. La saccharifera è la barbabietola da zucchero, importante anch’essa per l’alimentazione umana. Un’altra è la bietola da foraggio, utilissima nel nutrimento del bestiame. Forrest Gump, nel film omonimo ,dice: «Stupido è chi lo stupido fa». Siamo d’accordo. E, siccome le rape non fanno le stupide, non sono né sciocche né insulse come vorrebbero i modi di dire. È vero che la rapa rossa ha poche vitamine e pochissime calorie, ma si difende bene con i sali minerali. E moderni studi farmacologici hanno dimostrato che i suoi succhi concentrati combattono l’ipertensione e svolgono un’azione antiossidante.La rapa non avrà i tifosi che ha la Juventus, ma anch’essa vanta un bel numero di aficionados che le vogliono bene. A cominciare da chi è stato messo a dieta e ha perso una dozzina di chili - chi scrive lo può testimoniare - lessando quelle rosse e condendole a crudo con un filo d’olio d’oliva e un po’ di pepe e sale. Oddìo… non è come mangiare una carbonara o i rigatoni alla gricia, ma funziona. Buoni, ma sconsigliati a chi vuol dimagrire, sono i casunziei all’ampezzana, piatto classico della Valle d’Ampezzo che trasuda burro e grana. Sono tortelli che si offrono ai ghiottoni con un’invitante panciotta rosea. Uno dei componenti principali del ripieno, infatti, è proprio la rapa rossa. La ricetta è antica e rispecchia negli ingredienti l’arte delle famiglie della montagna, abituate a risolvere i problemi del desco quotidiano con i prodotti che offrono l’orto, la stalla, i campi e il bosco: rape, ricotta, burro, semi di papavero, radicchio selvatico.Dalle Dolomiti alle Giudicarie, in Trentino. A San Lorenzo in Banale, le rape rosse si sposano da 150 anni con la carne di maiale. Dal matrimonio nasce la ciuìga, salume povero che in passato ha salvato la vita a generazioni di montanari stremati dalla fame. Fu un macellaio di San Lorenzo, Palmo Donati, a inventare la ciuìga nel 1875 utilizzando carne, sangue di porco e rape. La parola «inventare» non è appropriata. Donati non fece altro che industrializzare quello che le misere famiglie montanare facevano in casa: insaccare nel budello una grande quantità di rape per «allungare» la poca carne a disposizione. L’espediente permetteva loro di sopravvivere fino alla fine dell’inverno. Ma se una volta c’erano nella ciuìga più rape (dal 60 al 70%) che carne (dal 30 al 40%), oggi avviene il contrario e la ciuìga, presidio Slow food, prodotto tipico da difendere e valorizzare, un tempo povera e oggi è ricca grazie anche ai tagli migliori del maiale - spalla, coppa, pancetta, gola - con i quali viene confezionata.Da anni è apparsa sulle tavole degli italiani, soprattutto anziani accuditi da badanti slave, una minestra scarlatta che prende il colore dalle rape rosse con le quali è preparata. È il boršč. La zuppa è tipica dell’Europa dell’Est. Nata in Ucraina, la minestra scarlatta è un piatto tipico anche di Russia, Polonia, Moldavia, Bielorussia. Nella preparazione, alle rape vengono aggiunti diversi ortaggi: patate, cavolo, cipolle, legumi, cetrioli, carote, pomodori, funghi. E carni: maiale o pollo o manzo.Se la Beta vulgaris è più barbabietola che rapa, la Brassica rapa è proprio una rapa rapa. I friulani si servono di una Brassica bellissima, la miss delle rape, bianca fino alla cintura e violetta dalla cintola in su, per preparare uno dei piatti tradizionali della loro cucina, la brovada. Il piatto è talmente tipico di quella regione da meritarsi la Dop, Denominazione di origine protetta. La brovada - bruade o brovade in dialetto furlan - è preparata tagliando a fettine quelle che gli americani chiamano white globe purple top, globi bianchi con il collare viola, fette che vengono poi ricoperte di vinacce di uva a bacca nera alle quali vengono aggiunti acqua, aceto e sale. Le rape vengono lasciate a macerare e fermentare per un mese e mezzo, fino a quando non hanno assunto un colore rosa buccia di cipolla. Brovade e muset è chiamato in dialetto friulano il cotechino, piatto tipico di Natale.La culla delle barbarape è il bacino del Mediterraneo dove prospera ancora lungo le coste, allo stato selvatico, la loro nonna, la Beta maritima. Storici dell’alimentazione sono certi che la Beta vulgaris faceva parte del nutrimento di Egizi e Babilonesi. Sicuramente era presente nel mondo greco. Ne parla Teofrasto, filosofo e botanico vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, autore di un trattato sulla storia delle piante. A Roma la rapa rossa era usata come cibo e come medicinale. Ne scrivono Plinio il Vecchio nella Naturalis historia e Columella che nel De re rustica ponderoso trattato in 12 libri sull’agricoltura romana, insegna puntigliosamente il metodo per conservare le rape e i navoni. E siccome radici, legumi, insalate e verdure varie erano sempre presenti nelle sale da pranzo dei Romani, ecco che si occupa della rapa rossa anche Apicio, gastronomo e cuoco dei Luculli e dei Trimalcioni del suo tempo. Nel De re coquinaria troviamo la ricetta delle betas elixas, cioè delle barbabietole bollite. Più che una ricetta, è il consiglio di come condire le rape dopo averle cotte e tagliate a fettine. Ecco il suggerimento per chi vuole levarsi lo sfizio di mangiare le rape come si mangiavano duemila anni fa. «Ex sinapi, oleo modico et aceto bene inferuntur». E cioè: «Si condiscono bene con senape, un po’ d’olio e aceto».Nel tardo Medioevo e fino alla scoperta dell’America si diffonde la coltivazione della rapa in Germania, dove rappresenta un cibo importante sulla tavola contadina e nei monasteri. La scuola medica salernitana caldeggia il consumo della rapa: «Radix rapa bona est. Comedenti dat tria bona: visum clarificat, ventrem mollit, bene bombit.» E cioè: la rapa è buona e dà tre giovamenti a chi la mangia: schiarisce il viso, sgonfia la pancia, elimina i gas intestinali. Un’altra antica ricetta medica raccomanda di stufare la rutabaga (è il navone di Columella) nel latte per ottenere cibo afrodisiaco.Il trionfo della barbabietola avviene quando nel 1747 il chimico prussiano Andreas Sigismund Marggraf estrae dal succo della Beta vulgaris sacharifera cristalli di zucchero. Fu un suo allievo, Franz Achard, a inventare il procedimento per ottenere industrialmente lo zucchero. Ma il grande impulso a produrre zucchero dalla barbabietola lo diede Napoleone quando venne a mancare quello di canna a causa del blocco dei porti alle navi inglesi.A proposito della rutabaga. Negli Stati Uniti, a Ithaca, città dello Stato di New York, ogni anno si svolge l’International rutabaga curling, una sorta di gioco delle bocce giocato, però, con grandi rutabaghe al posto delle bocce. Significativo un manifesto esposto tempo fa. Diceva: «All you need is a rutabaga and a dream», tutto quello che ti occorre è una rutabaga e un sogno. Alla faccia delle teste di rapa che la usano per offendere.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.