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2021-10-28
Terza dose senza hub: il fiasco è annunciato
Ansa
«Il sistema delle farmacie e dei medici di famiglia è pronto a farsi carico della somministrazione della terza dose solo se i numeri sono ben diluiti nel tempo e contenuti. Ma se dobbiamo continuare a fare grandi numeri in poco tempo come avvenuto finora, gli hub restano la soluzione migliore: vedo molto difficile che farmacie e medici possano reggere 500.000 somministrazioni al giorno». Lo ha detto ieri mattina a Radio24 il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che è anche a capo della Conferenza delle Regioni. Mentre il governo ancora non si decide a confermare ufficialmente ciò che viene già definito «verosimile» da sottosegretari e virologi nei salotti tv o con interviste alla stampa - ovvero che si procederà a un terzo shot per la popolazione generale -, le Regioni realizzano che si presenterà un problema logistico non di poco conto. Eppure bastava leggere La Verità, che da mesi ha posto il tema sul tavolo: quelle per i fragili e per gli immunodepressi sono dosi meno complesse da somministrare, parliamo di soggetti che sono seguiti in maniera specifica da ospedali e medici di famiglia e che nel primo round della campagna vaccinale hanno ricevuto il vaccino in strutture diverse dagli hub. Ora, almeno in Lombardia, risulta che questi vadano negli hub rimasti aperti, come anche gli operatori sanitari, mentre per le Rsa si farà a domicilio. Il problema vero però arriverà se, e quando, andranno gestiti gli altri richiami «annuali» perché si stanno già smantellando molti grandi hub per farli tornare alla loro funzione originaria.
Non solo. La somministrazione della terza dose dovrà essere messa a sistema con quella del vaccino antinfluenzale e si sommerà anche alla gestione delle vaccinazioni in età pediatrica, caricando le strutture di un compito extra. I medici di base, i pediatri e soprattutto le farmacie (alle prese con il caos dei tamponi) saranno in grado di sostenere il «secondo giro» per tutti? Domanda che abbiamo posto ripetutamente. Per la precisione da quando dovevano ancora arrivare indicazioni precise su fragili, anziani e operatori sanitari. «Di tempo per organizzarsi sul territorio a un nuovo round di somministrazioni a tappeto non ce n'è molto. Anche perché tra poco si dovrà fare a meno di molti hub vaccinali», scrivevamo lo scorso primo giugno. Facili profeti.
Intanto, il commissario Francesco Paolo Figliuolo ha inviato nei giorni scorsi una circolare con la quale richiama tutte le Regioni affinché «procedano con immediatezza a effettuare i richiami vaccinali in parallelo a tutte le categorie indicate, fermo restando il solo vincolo del rispetto dell'intervallo temporale di almeno sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario». Insomma, il generale striglia i governatori dopo che questi sono stati spinti a far chiudere gli hub. E insistendo sull'«opportunità di un ricorso sempre più sistematico e strutturato alla medicina del territorio, con il coinvolgimento più ampio possibile dei pediatri di libera scelta, dei medici di medicina generale e dei farmacisti».
Intanto si prospetta l'ennesimo caos sul fronte della comunicazione. A chi verrà estesa la terza dose, dopo aver completato il richiamo alle categorie comprese nell'ultima circolare del ministero della Salute? E con quale tabella di marcia relativa alle fasce di età? «Gli under 60 mediamente si sono vaccinati intorno a maggio, quindi a fine anno saremo a sei mesi dalla seconda dose, per questo entro fine anno o di riffa o di raffa qualcuno dovrà dire qualcosa, altrimenti ci troveremo in un guaio», ha dichiarato ieri il presidente del Veneto, Luca Zaia. Mentre per il collega pugliese, Michele Emiliano, «è giunto il momento di consentire liberamente la terza dose a tutti i cittadini, man mano che la scadenza avverrà, senza distinzioni di categoria».
Il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ieri si è limitato a ribadire che ampliare la platea di popolazione «è una scelta che la politica fa in base a quelle che saranno le indicazioni scientifiche. Mi auguro che tutta la politica sia compatta sulle indicazioni della scienza. Stiamo già iniziando per i fragili e gli over 60, è ipotizzabile che entro l'anno ci sia un allargamento della platea, ma attendiamo le indicazioni». Il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, ha invece richiesto che «dopo gli ottantenni, cioè quelli più fragili, siano ancora una volta gli insegnanti ad avere la priorità assoluta per la terza dose. Il generale Figliuolo me lo ha garantito». Oggi, intanto, si riunirà la Commissione tecnico consultiva dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a cui il ministero della Salute ha chiesto un parere in seguito alla decisione della Fda americana, che ha dato il via libera al booster per il Johnson&Johnson, raccomandandolo a tutte le persone dai 18 anni in su che abbiano ricevuto la prima dose almeno due mesi fa autorizzando contestualmente l'uso per il richiamo di un vaccino diverso.
Quanto al primo giro di somministrazioni, ieri il commissario Figliuolo, nel messaggio inviato in occasione del Salone della giustizia, ha sottolineato che l'obiettivo è «sfondare la quota dell'86% e andare al 90%». Senza però specificare cosa succederà dopo l'aver raggiunto questa soglia. «Ancora oggi ci sono delle limitazioni e dobbiamo continuare con le precauzioni e i comportamenti virtuosi. Comportamenti che ci danno la garanzia di poter continuare ad andare verso una piena normalità in tutte le sue forme». Quando arriverà questa normalità non è dato sapere.
Non tutti gli esperti amano il booster. Rasi, Vaia e Galli chiedono prudenza
La questione della terza dose di vaccino anti Covid divide il mondo scientifico e tecnico politico, ma chi frena ricorda che la scienza è fatta di dati e non di proclami.
A pochi giorni dal via libera dell'Agenzia europea del farmaco (Ema) alla terza somministrazione del vaccino di Moderna per tutti gli over 18, gli entusiasti del richiamo (booster) si sono fatti avanti. Tra i primi a ritenere «verosimile per tutti» una terza inoculazione c'è Silvio Brusaferro, portavoce del Comitato tecnico scientifico (Cts). Meno cauto di qualche settimana fa, il direttore generale della prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, secondo cui «si sta valutando se e quando dare una dose aggiuntiva alle persone più giovani». Favorevole anche per gli under 18 il coordinatore del Cts, Franco Locatelli per il quale «c'è la possibilità, che nel tempo considereremo, anche per i più giovani» il richiamo. A ruota si schierano a favore anche Pierpaolo Sileri e Andrea Costa, sottosegretari al ministero e Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza. Sostiene il richiamo «a tutti», come «un vero e proprio programma di sanità pubblica», Andrea Crisanti, professore di microbiologia dell'università di Padova.
Frenano invece sulla somministrazione all'intera popolazione delle terze dosi molti esperti, tra cui Guido Rasi, già direttore dell'Ema e ora consigliere del commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo. «Non lasciamoci catturare da psicosi immotivate», afferma, intervistato dal Corriere della Sera. «I dati che stiamo accumulando sul campo ci diranno se il decadimento della risposta immunitaria coinvolge i cinquantenni e le classi d'età inferiori. Nessuno ci corre dietro. C'è tempo per verificare». Come spiega Rasi, la riduzione degli anticorpi, «non significa perdere le difese. Anche infettandoci, non rischiamo comunque di ammalarci delle forme severe di Covid-19 e di finire in ospedale. Il sistema immunitario è dotato di memoria, sa reagire di fronte all'attacco del Sars-CoV-2 e chiama a raccolta gli anticorpi».
Sulla stessa linea prudenziale è anche il direttore dell'Inmi Spallanzani di Roma, Francesco Vaia. «La terza dose», dice, «va bene per gli anziani, gli immunocompromessi, ma sarei cauto nell'ampliare, vediamo come va la curva». Invita ad andare «per priorità: prima over 60 e soggetti fragili», Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. Su La 7 ieri ha affermato di non essere «così sicuro che un trentenne o quarantenne abbia bisogno di terza dose dopo sei mesi dalla seconda. Abbiamo dati che ci dicono che l'immunità sembra mantenersi per più tempo». Ancora più cauto il virologo Massimo Galli, direttore di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, che ritiene necessario, prima di ampliare la dose booster, «distinguere» anche a livello delle persone fragili perché «c'è una variabilità individuale molto marcata nella risposta». Osserva che mentre «si ipotizza che con il tempo verrà fatto» il booster «non c'è accordo tra gli scienziati sulla necessità di un richiamo per tutti», Antonella Viola, professoressa di Patologia generale dell'università di Padova. È quello che si registra anche in America. Come riporta il New York Times, diversi consiglieri del Centro per il controllo delle malattie (Cdc) e dell'Agenzia del farmaco (Fda) hanno spiegato che i dati dimostrano che, eccetto gli adulti con più di 65 anni, la grande maggioranza degli americani sono già ben protetti contro le forme gravi della malattia e non hanno bisogno della terza dose.
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Il richiamo viene dato per sicuro su tutta la popolazione da molti virologi nel silenzio del governo. Ma le Regioni, attraverso Massimiliano Fedriga, lanciano l'allarme: «Farmacie e medici non possono reggere 500.000 iniezioni al giorno». Mistero su tabella di marcia e obiettivi.Il consigliere di Francesco Figliuolo: «Nessuno ci corre dietro». Perplessità pure negli Usa.Lo speciale contiene due articoli.«Il sistema delle farmacie e dei medici di famiglia è pronto a farsi carico della somministrazione della terza dose solo se i numeri sono ben diluiti nel tempo e contenuti. Ma se dobbiamo continuare a fare grandi numeri in poco tempo come avvenuto finora, gli hub restano la soluzione migliore: vedo molto difficile che farmacie e medici possano reggere 500.000 somministrazioni al giorno». Lo ha detto ieri mattina a Radio24 il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che è anche a capo della Conferenza delle Regioni. Mentre il governo ancora non si decide a confermare ufficialmente ciò che viene già definito «verosimile» da sottosegretari e virologi nei salotti tv o con interviste alla stampa - ovvero che si procederà a un terzo shot per la popolazione generale -, le Regioni realizzano che si presenterà un problema logistico non di poco conto. Eppure bastava leggere La Verità, che da mesi ha posto il tema sul tavolo: quelle per i fragili e per gli immunodepressi sono dosi meno complesse da somministrare, parliamo di soggetti che sono seguiti in maniera specifica da ospedali e medici di famiglia e che nel primo round della campagna vaccinale hanno ricevuto il vaccino in strutture diverse dagli hub. Ora, almeno in Lombardia, risulta che questi vadano negli hub rimasti aperti, come anche gli operatori sanitari, mentre per le Rsa si farà a domicilio. Il problema vero però arriverà se, e quando, andranno gestiti gli altri richiami «annuali» perché si stanno già smantellando molti grandi hub per farli tornare alla loro funzione originaria. Non solo. La somministrazione della terza dose dovrà essere messa a sistema con quella del vaccino antinfluenzale e si sommerà anche alla gestione delle vaccinazioni in età pediatrica, caricando le strutture di un compito extra. I medici di base, i pediatri e soprattutto le farmacie (alle prese con il caos dei tamponi) saranno in grado di sostenere il «secondo giro» per tutti? Domanda che abbiamo posto ripetutamente. Per la precisione da quando dovevano ancora arrivare indicazioni precise su fragili, anziani e operatori sanitari. «Di tempo per organizzarsi sul territorio a un nuovo round di somministrazioni a tappeto non ce n'è molto. Anche perché tra poco si dovrà fare a meno di molti hub vaccinali», scrivevamo lo scorso primo giugno. Facili profeti. Intanto, il commissario Francesco Paolo Figliuolo ha inviato nei giorni scorsi una circolare con la quale richiama tutte le Regioni affinché «procedano con immediatezza a effettuare i richiami vaccinali in parallelo a tutte le categorie indicate, fermo restando il solo vincolo del rispetto dell'intervallo temporale di almeno sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario». Insomma, il generale striglia i governatori dopo che questi sono stati spinti a far chiudere gli hub. E insistendo sull'«opportunità di un ricorso sempre più sistematico e strutturato alla medicina del territorio, con il coinvolgimento più ampio possibile dei pediatri di libera scelta, dei medici di medicina generale e dei farmacisti». Intanto si prospetta l'ennesimo caos sul fronte della comunicazione. A chi verrà estesa la terza dose, dopo aver completato il richiamo alle categorie comprese nell'ultima circolare del ministero della Salute? E con quale tabella di marcia relativa alle fasce di età? «Gli under 60 mediamente si sono vaccinati intorno a maggio, quindi a fine anno saremo a sei mesi dalla seconda dose, per questo entro fine anno o di riffa o di raffa qualcuno dovrà dire qualcosa, altrimenti ci troveremo in un guaio», ha dichiarato ieri il presidente del Veneto, Luca Zaia. Mentre per il collega pugliese, Michele Emiliano, «è giunto il momento di consentire liberamente la terza dose a tutti i cittadini, man mano che la scadenza avverrà, senza distinzioni di categoria». Il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ieri si è limitato a ribadire che ampliare la platea di popolazione «è una scelta che la politica fa in base a quelle che saranno le indicazioni scientifiche. Mi auguro che tutta la politica sia compatta sulle indicazioni della scienza. Stiamo già iniziando per i fragili e gli over 60, è ipotizzabile che entro l'anno ci sia un allargamento della platea, ma attendiamo le indicazioni». Il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, ha invece richiesto che «dopo gli ottantenni, cioè quelli più fragili, siano ancora una volta gli insegnanti ad avere la priorità assoluta per la terza dose. Il generale Figliuolo me lo ha garantito». Oggi, intanto, si riunirà la Commissione tecnico consultiva dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a cui il ministero della Salute ha chiesto un parere in seguito alla decisione della Fda americana, che ha dato il via libera al booster per il Johnson&Johnson, raccomandandolo a tutte le persone dai 18 anni in su che abbiano ricevuto la prima dose almeno due mesi fa autorizzando contestualmente l'uso per il richiamo di un vaccino diverso.Quanto al primo giro di somministrazioni, ieri il commissario Figliuolo, nel messaggio inviato in occasione del Salone della giustizia, ha sottolineato che l'obiettivo è «sfondare la quota dell'86% e andare al 90%». Senza però specificare cosa succederà dopo l'aver raggiunto questa soglia. «Ancora oggi ci sono delle limitazioni e dobbiamo continuare con le precauzioni e i comportamenti virtuosi. Comportamenti che ci danno la garanzia di poter continuare ad andare verso una piena normalità in tutte le sue forme». Quando arriverà questa normalità non è dato sapere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/terza-dose-senza-hub-fiasco-2655413459.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-tutti-gli-esperti-amano-il-booster-rasi-vaia-e-galli-chiedono-prudenza" data-post-id="2655413459" data-published-at="1635371318" data-use-pagination="False"> Non tutti gli esperti amano il booster. Rasi, Vaia e Galli chiedono prudenza La questione della terza dose di vaccino anti Covid divide il mondo scientifico e tecnico politico, ma chi frena ricorda che la scienza è fatta di dati e non di proclami. A pochi giorni dal via libera dell'Agenzia europea del farmaco (Ema) alla terza somministrazione del vaccino di Moderna per tutti gli over 18, gli entusiasti del richiamo (booster) si sono fatti avanti. Tra i primi a ritenere «verosimile per tutti» una terza inoculazione c'è Silvio Brusaferro, portavoce del Comitato tecnico scientifico (Cts). Meno cauto di qualche settimana fa, il direttore generale della prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, secondo cui «si sta valutando se e quando dare una dose aggiuntiva alle persone più giovani». Favorevole anche per gli under 18 il coordinatore del Cts, Franco Locatelli per il quale «c'è la possibilità, che nel tempo considereremo, anche per i più giovani» il richiamo. A ruota si schierano a favore anche Pierpaolo Sileri e Andrea Costa, sottosegretari al ministero e Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza. Sostiene il richiamo «a tutti», come «un vero e proprio programma di sanità pubblica», Andrea Crisanti, professore di microbiologia dell'università di Padova. Frenano invece sulla somministrazione all'intera popolazione delle terze dosi molti esperti, tra cui Guido Rasi, già direttore dell'Ema e ora consigliere del commissario per l'emergenza Francesco Figliuolo. «Non lasciamoci catturare da psicosi immotivate», afferma, intervistato dal Corriere della Sera. «I dati che stiamo accumulando sul campo ci diranno se il decadimento della risposta immunitaria coinvolge i cinquantenni e le classi d'età inferiori. Nessuno ci corre dietro. C'è tempo per verificare». Come spiega Rasi, la riduzione degli anticorpi, «non significa perdere le difese. Anche infettandoci, non rischiamo comunque di ammalarci delle forme severe di Covid-19 e di finire in ospedale. Il sistema immunitario è dotato di memoria, sa reagire di fronte all'attacco del Sars-CoV-2 e chiama a raccolta gli anticorpi». Sulla stessa linea prudenziale è anche il direttore dell'Inmi Spallanzani di Roma, Francesco Vaia. «La terza dose», dice, «va bene per gli anziani, gli immunocompromessi, ma sarei cauto nell'ampliare, vediamo come va la curva». Invita ad andare «per priorità: prima over 60 e soggetti fragili», Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. Su La 7 ieri ha affermato di non essere «così sicuro che un trentenne o quarantenne abbia bisogno di terza dose dopo sei mesi dalla seconda. Abbiamo dati che ci dicono che l'immunità sembra mantenersi per più tempo». Ancora più cauto il virologo Massimo Galli, direttore di malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano, che ritiene necessario, prima di ampliare la dose booster, «distinguere» anche a livello delle persone fragili perché «c'è una variabilità individuale molto marcata nella risposta». Osserva che mentre «si ipotizza che con il tempo verrà fatto» il booster «non c'è accordo tra gli scienziati sulla necessità di un richiamo per tutti», Antonella Viola, professoressa di Patologia generale dell'università di Padova. È quello che si registra anche in America. Come riporta il New York Times, diversi consiglieri del Centro per il controllo delle malattie (Cdc) e dell'Agenzia del farmaco (Fda) hanno spiegato che i dati dimostrano che, eccetto gli adulti con più di 65 anni, la grande maggioranza degli americani sono già ben protetti contro le forme gravi della malattia e non hanno bisogno della terza dose.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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