2022-07-18
Terre rare: la nuova "arma" di Erdogan
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Ha suscitato un certo clamore la recente scoperta di un enorme giacimento di terre rare in Turchia. A renderla nota, è stato a inizio luglio il ministro dell'Energia e delle risorse naturali turco, Fatih Donmez. Situato nell’Anatolia centrale, si stima contenga riserve per circa 694 milioni di tonnellate. Risulterebbe pertanto il secondo giacimento più grande al mondo, dopo quello da 800 milioni di tonnellate che si trova in Cina. “Dei 17 elementi rari conosciuti, saremo in grado di produrne 10 qui”, ha affermato Donmez, secondo cui sarà possibile lavorare fino a 570.000 tonnellate all’anno. “Avremo l'opportunità di esportare il surplus all’estero”, ha aggiunto il ministro. La scoperta di questo giacimento può avere delle ripercussioni geopolitiche particolarmente rilevanti. Ricordiamo che le terre rare stanno diventando sempre più centrali nel settore militare, tecnologico e in quello delle energie rinnovabili. Una centralità di assoluto rilievo per un comparto che finora è stato in larga parte controllato dalla Repubblica popolare cinese. È quindi probabile che Pechino guardi con preoccupazione alla scoperta turca, per quanto al momento ostenti sicurezza e tranquillità.Il Global Times (organo del Partito comunista cinese) ha recentemente pubblicato un articolo, significativamente intitolato “Le nuove riserve di terre rare della Turchia non influiranno sull'industria cinese, offrendo opportunità di cooperazione”. Nel dettaglio, la testata ritiene che il vantaggio cinese non risieda tanto nell’entità delle riserve, quanto nel processo di estrazione e raffinazione. Effettivamente bisognerà capire se Ankara sarà in grado di avere successo da questo punto di vista. Resta tuttavia la partita sul piano geopolitico. E, sotto questo aspetto, è difficile credere che il Dragone non sia preoccupato. Bisognerà quindi capire come si evolverà la situazione. Uno scenario possibile è che, come auspicato da Pechino, questa scoperta consolidi le relazioni tra Cina e Turchia. I due Paesi, va ricordato, nutrono alcune rilevanti divergenze (a partire dalla questione della persecuzione degli uiguri). Tuttavia ultimamente i rapporti si sono in parte rasserenati. Lo scorso gennaio, la Turchia ha auspicato un rafforzamento della cooperazione economica con Pechino: una mossa principalmente dettata dai problemi interni che da tempo il governo di Ankara si trova a dover affrontare (problemi che lo hanno spinto, nell’ultimo anno, ad avviare distensioni con storici avversari, come l’Egitto e l’Arabia Saudita). Un altro scenario possibile è che la scoperta del giacimento avvicini Ankara a Washington. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno infatti cercato di ridurre la dipendenza dalle terre rare cinesi. Inoltre, gli americani sanno che, in questo comparto, il vantaggio di Pechino è risultato finora schiacciante. Tutto questo potrebbe quindi spingere Joe Biden ad assumere un atteggiamento ancora più conciliante nei confronti di Recep Tayyip Erdogan, vista la già notevole arrendevolezza da lui mostrata durante il recente summit Nato tenutosi a Madrid (si pensi soltanto al delicato dossier dei jet F-16). Tuttavia lo scenario più probabile è che il sultano cercherà di sfruttare la leva delle terre rare per proseguire la sua spregiudicata politica estera di ambigua oscillazione tra l’Occidente e l’asse sino-russo. Una strategia rodata, con cui mira a massimizzare il proprio tornaconto geopolitico.
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