True
2024-04-15
Teheran annuncia una nuova stretta sull'hijab
True
iStock
Mancano poche ore all’attacco contro Israele quando il capo della polizia di Teheran, Abasali Mohammadian annuncia nuove strette sulle donne senza velo in Iran. Era il 13 aprile scorso: «Le donne senza velo saranno perseguite». Non una novità, certo. Basta nominare i casi più recenti, come quello di Mahsa Amini, la giovane curdo-iraniana massacrata mentre era in custodia della polizia morale perché non avrebbe indossato correttamente il velo islamico. La sua morte avvenuta il 16 settembre del 2022 ha acceso una serie di proteste tra attivisti e studenti, spesso e più volte stroncato nel sangue, con arresti, torture e condanne a morte. Secondo la Cnn la sollevazione popolare innescata fu più partecipata di quelle del 2009, del 2017 e del 2019. Alcune attiviste tra le più coraggiose si levavano il copricapo di fronte alle autorità, altre addirittura in segno di protesta si rasavano a zero, nelle piazze e anche sui social, ottenendo anche l’attenzione di tutto l’occidente. L’annuncio della nuova misura serve a spegnere tutto questo e precede un discorso fatto dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei che ha ricordato che tutte le donne devono rispettare l'uso del velo, qualunque sia il loro credo.
L’obbligo del velo è stato introdotto nella Repubblica islamica dal 1979, con l'avvio dell'operazione Nour, che in italiano significa luce. Prima di allora le donne iraniane, sotto la dinastia Pahlavi, potevano votare e vestirsi in modo occidentale e non erano oppresse dalla legge della Sharia. Con la rivoluzione, come si sa cambia tutto e a pochi giorni dalla proclamazione della Repubblica islamica, Khomeini cominciò ad annunciare una nuova serie di misure restrittive della libertà delle donne: s'impedì l'accesso alla facoltà di giurisprudenza e tutte le giudici furono private del loro incarico; tutte le donne avrebbero dovuto indossare il velo se avessero voluto lavorare e/o uscire di casa.
Il 22 maggio 1979 una donna venne per la prima volta fustigata in pubblico per la mancata osservanza delle leggi coraniche, il resto è storia.
La stretta annunciata il 13 aprile sarebbe però in controtendenza con l'opinione generale degli iraniani: secondo molti sondaggi d'opinione, tra cui quello del quotidiano riformista Shargh, circa l'84% degli intervistati si è detto infatti contrario all'obbligo dell'hijab. Il disegno di legge su 'castità e hijab', che non è stato ancora ratificato dal Parlamento e dunque non ancora in vigore, prevede che le donne sorprese a capo scoperto siano perseguite e condannate tra l'altro ad essere private dei servizi sociali. Chi sarà sorpresa con i capelli al vento dovrà anche pagare una multa, le sarà vietato di lasciare il Paese e non potrà usare i social network. In casi particolari verrà contemplato anche l'arresto. C'è anche chi ha invocato misure ancor più draconiane, come alcuni parlamentari che hanno chiesto che alle donne senza velo vengano prelevati dai loro conti in banca e a loro insaputa ingenti somme di denaro come multa.
Nel giorno dell’annuncio, per le strade della capitale iraniana si sono viste oltre a molte auto e furgoni della polizia anche un gran numero di donne senza hijab. Molte di loro sono state arrestate o hanno avuto discussioni violente con le forze dell'ordine nel centro di Teheran, hanno denunciato gli attivisti sui social media. Le manette sono scattate anche per la moglie e la figlia dell'ex famoso portiere Ahmad Reza Abedzadeh (soprannominato «L'aquila d'Asia» è considerato uno dei più forti portieri iraniani della storia). Le due donne sono state poi rilasciate.
Continua a leggere
Riduci
«Le donne che scenderanno in strada senza velo saranno perseguite, qualunque sia il loro credo». L'avvertimento della polizia iraniana nel giorno dell'attacco a Israele. Mancano poche ore all’attacco contro Israele quando il capo della polizia di Teheran, Abasali Mohammadian annuncia nuove strette sulle donne senza velo in Iran. Era il 13 aprile scorso: «Le donne senza velo saranno perseguite». Non una novità, certo. Basta nominare i casi più recenti, come quello di Mahsa Amini, la giovane curdo-iraniana massacrata mentre era in custodia della polizia morale perché non avrebbe indossato correttamente il velo islamico. La sua morte avvenuta il 16 settembre del 2022 ha acceso una serie di proteste tra attivisti e studenti, spesso e più volte stroncato nel sangue, con arresti, torture e condanne a morte. Secondo la Cnn la sollevazione popolare innescata fu più partecipata di quelle del 2009, del 2017 e del 2019. Alcune attiviste tra le più coraggiose si levavano il copricapo di fronte alle autorità, altre addirittura in segno di protesta si rasavano a zero, nelle piazze e anche sui social, ottenendo anche l’attenzione di tutto l’occidente. L’annuncio della nuova misura serve a spegnere tutto questo e precede un discorso fatto dalla Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei che ha ricordato che tutte le donne devono rispettare l'uso del velo, qualunque sia il loro credo. L’obbligo del velo è stato introdotto nella Repubblica islamica dal 1979, con l'avvio dell'operazione Nour, che in italiano significa luce. Prima di allora le donne iraniane, sotto la dinastia Pahlavi, potevano votare e vestirsi in modo occidentale e non erano oppresse dalla legge della Sharia. Con la rivoluzione, come si sa cambia tutto e a pochi giorni dalla proclamazione della Repubblica islamica, Khomeini cominciò ad annunciare una nuova serie di misure restrittive della libertà delle donne: s'impedì l'accesso alla facoltà di giurisprudenza e tutte le giudici furono private del loro incarico; tutte le donne avrebbero dovuto indossare il velo se avessero voluto lavorare e/o uscire di casa.Il 22 maggio 1979 una donna venne per la prima volta fustigata in pubblico per la mancata osservanza delle leggi coraniche, il resto è storia.La stretta annunciata il 13 aprile sarebbe però in controtendenza con l'opinione generale degli iraniani: secondo molti sondaggi d'opinione, tra cui quello del quotidiano riformista Shargh, circa l'84% degli intervistati si è detto infatti contrario all'obbligo dell'hijab. Il disegno di legge su 'castità e hijab', che non è stato ancora ratificato dal Parlamento e dunque non ancora in vigore, prevede che le donne sorprese a capo scoperto siano perseguite e condannate tra l'altro ad essere private dei servizi sociali. Chi sarà sorpresa con i capelli al vento dovrà anche pagare una multa, le sarà vietato di lasciare il Paese e non potrà usare i social network. In casi particolari verrà contemplato anche l'arresto. C'è anche chi ha invocato misure ancor più draconiane, come alcuni parlamentari che hanno chiesto che alle donne senza velo vengano prelevati dai loro conti in banca e a loro insaputa ingenti somme di denaro come multa.Nel giorno dell’annuncio, per le strade della capitale iraniana si sono viste oltre a molte auto e furgoni della polizia anche un gran numero di donne senza hijab. Molte di loro sono state arrestate o hanno avuto discussioni violente con le forze dell'ordine nel centro di Teheran, hanno denunciato gli attivisti sui social media. Le manette sono scattate anche per la moglie e la figlia dell'ex famoso portiere Ahmad Reza Abedzadeh (soprannominato «L'aquila d'Asia» è considerato uno dei più forti portieri iraniani della storia). Le due donne sono state poi rilasciate.
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
Continua a leggere
Riduci