2021-10-06
Tassa verde e minaccia sulle case. La Lega strappa: «Traditi i patti»
I ministri del Carroccio non partecipano al Cdm che vara, tra l'altro, una sorta di «carbon tax». Matteo Salvini: «In disaccordo sul metodo e nel merito, questo non è l'oroscopo». Il premier rassicura: «Nessuno pagherà di più». Il Pd forza per cambiare la maggioranza.Oggi è uno di quei giorni in cui ci dispiace aver avuto ragione. Sì, lo ammettiamo: avremmo preferito avere torto e ricevere nella giornata odierna una secca smentita. Invece, dal Consiglio dei ministri che si è tenuto ieri mattina è giunta una chiara conferma al titolo della Verità. Il numero in edicola ieri, con i risultati delle elezioni, si apriva così: «Errori e fango, il centrodestra va ko e subito parte l'offensiva sul fisco». Senza peli sulla lingua, così come è tradizione di questo giornale, proponevamo ai lettori la fotografia della situazione. Il centrodestra ha perso ovunque e il segno di debolezza dei partiti che fanno parte del governo, ma anche di quello che sta all'opposizione, i quali non sono stati capaci con i loro candidati di espugnare nessuna delle cittadelle rosse, ha imposto un'accelerazione ad alcuni provvedimenti fiscali, tra i quali la rimodulazione dell'Irpef, ma soprattutto la riforma del catasto. Se ne parla da anni e da anni le associazioni dei proprietari di case sono in allarme, perché temono che la revisione degli estimi, ossia dei valori immobiliari, si traduca in una stangata per i contribuenti. Da tempo le istituzioni finanziarie, a cominciare dal Fondo monetario internazionale per finire all'Ocse e a Bruxelles, spingono per introdurre anche in Italia un sostanzioso prelievo sul mattone. Il primo che li ascoltò fu Mario Monti, il quale dopo aver spodestato Silvio Berlusconi con l'aiuto di alcune cancellerie, piazzò sul capo degli italiani un'imposta ad hoc, la famigerata Imu, aggiungendo - tanto per non farsi sfuggire nessuno - anche l'Ivie, ossia la tassa sui valori immobiliari posseduti all'estero dagli italiani. Quali furono gli effetti è noto, anche perché li ho di recente ricordati su queste stesse pagine: il mercato immobiliare si fermò, i prezzi delle case precipitarono e le famiglie, sentendosi più povere e con un capitale investito che in qualche caso si era dimezzato, fecero crollare i consumi. Una batosta dalla quale non ci siamo ripresi perché, se si fa eccezione per Milano, i prezzi delle case sono ancora sotto rispetto ai valori raggiunti dieci anni fa.Ora a quanto pare ci risiamo: si ritorna a parlare di riformare il catasto e per la sinistra - che non ne fa mistero - questo significa una sola cosa: tassare di più. Siccome a oggi l'imposta sulla casa esiste solo per chi ne ha una seconda, rivalutare gli estimi equivale a rivalutare il prelievo fiscale. In pratica, se questa sarà la decisione, il ceto medio ogni anno si vedrà sottratti dal fisco molti più soldi di quelli che è costretto a pagare per il suo appartamento di villeggiatura. Non solo. Oggi, quando si compra un immobile si paga una tassa che oscilla fra il 4 e il 10 per cento sul valore catastale che quasi mai corrisponde al valore reale. Su un alloggio con una valore di 200.000 euro, si corrisponde all'erario un assegno che varia fra gli 8 e i 20.000 euro, a seconda che si tratti di prima o seconda casa. Se domani la medesima casa fosse accatastata con un valore di 400.000 euro, l'imposta però raddoppierebbe, garantendo alle casse dello Stato un'entrata fra i 16 e i 40.000 euro. Soldi che, senza neppure mettere una nuova tassa, uscirebbero dal portafogli dei contribuenti per entrare in quello più grande dello Stato.Il presidente del Consiglio giura che non sarà così, che la riforma sarà a saldo invariato per gli italiani, cioè che nessuno pagherà un euro di più o di meno di quel che pagava, in quanto la revisione del catasto mirerebbe solo a far emergere i molti immobili non dichiarati al fisco. In pratica, il provvedimento andrebbe a colpire solo gli evasori, ovvero coloro che, zitti zitti, si sono fatti la casa senza alcuna autorizzazione e non pagando dazio al fisco, oppure i proprietari di terreni che da agricoli sono diventati edificabili raddoppiando o decuplicando il valore. A testimonianza delle sue intenzioni, cita l'articolo 7, comma 2 e lettera D della delega fiscale varata ieri. Certo, Mario Draghi non è un ciarlatano e, come dimostrò quand'era governatore della Bce, è un uomo di poche ma misurate parole. Tempo fa, a un Enrico Letta che invocava una patrimoniale o per lo meno una bella tassa di successione, ovvero un'imposta sui defunti, replicò a stretto giro di posta con un «non è il momento di togliere soldi agli italiani, ma di darli». Noi non abbiamo dunque intenzione di dubitare delle sue intenzioni, né abbiamo motivo di ritenere che abbia cambiato idea rispetto a qualche mese fa. Tuttavia ci permettiamo di osservare che di buone intenzioni è lastricata la strada dell'inferno. Troppe volte ci è capitato di assistere a interventi nati sotto il segno dell'equità e della trasparenza trasformarsi, nelle mani della burocrazia statale, in strumenti di vessazione. Dunque, nonostante le rassicurazioni, non possiamo dirci pienamente tranquilli. Anche perché gli effetti della riforma sono destinati a farsi sentire nel 2026, ossia quando molti degli attuali protagonisti non occuperanno la stessa poltrona di oggi. Traduco: sarà ancora Draghi il presidente del Consiglio o al suo posto vedremo qualcun altro che dimenticherà la promessa di non alzare le tasse? La risposta al momento non c'è. Ma di sicuro, dopo il risultato elettorale di ieri, ci sono molti trinariciuti che si aggirano intorno a Palazzo Chigi.
Margherita Agnelli (Ansa)
L’europarlamentare del Pd Irene Tinagli (Imagoeconomica)
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