2024-01-15
Marco Tarchi: «L’antifascismo è un’arma spuntata»
Il politologo: «La sinistra ne fa uso solo perché è in crisi di identità. Giorgia Meloni personalizza lo scontro con Elly Schlein per trattenere chi è deluso dalla sua politica estera. Il meno affidabile degli alleati è Forza Italia».Professor Marco Tarchi, guardando ai sondaggi vediamo che i consensi sono praticamente gli stessi rispetto alle ultime elezioni politiche. A lei che è politologo chiedo: il centro-destra ha smesso di crescere oppure è l’opposizione che non riesce ad avanzare?«Entrambe le cose, anche se qualche novità c’è. Fratelli d’Italia pare destinata ad erodere ancora un po’ del patrimonio elettorale residuo degli alleati. E da qui a giugno c’è tempo per far sì che questa tendenza si intensifichi. A mantenere la situazione piuttosto stabile concorrono più fattori. In primo luogo, la ritrovata polarizzazione sull’asse destra/sinistra, o, per essere più precisi, conservatorismo/progressismo. Le capofila dei due schieramenti non potrebbero essere più diverse. Meloni ha capito che personalizzando ulteriormente lo scontro con Schlein può convincere anche quei simpatizzanti che non sono entusiasti dell’azione del suo governo, soprattutto in materie quali politica estera e scelte economiche». La Meloni ha tutto da guadagnare dalla personalizzazione?«Da un mese e mezzo, si esprime con un ossessionante “Io” invece del classico “noi” che in politica dovrebbe riferirsi al governo o al suo partito. Non fa altro che rivolgersi direttamente alla segretaria del Pd in una sorta di duello personale. Al di là di questo dato, c’è il tema del mancato recupero degli astensionisti, ormai pressoché maggioritari in Italia. Questi potrebbero spostare l’ago della bilancia. In parte limitata perché il M5s in passato era riuscito ad attingere a quel serbatoio, che ora pare essersi richiuso».L’eterna accusa a Giorgia Meloni di vicinanza al fascismo - rinvigorita dalla manifestazione in Via Acca Larenzia - è un argomento vincente in termini di comunicazione politica?«Se si guarda all’elettorato nel suo insieme, no. È un’arma spuntata, che non fa più alcun effetto per chi non ha una particolare vocazione ad interessarsi ai fatti politici. Però serve alla sinistra. Da decenni monopolizza il tema antifascismo. Ravviva almeno in parte la carica identitaria rivolgendosi a simpatizzanti e militanti. Prova così a controbilanciare lo scoramento dovuto soprattutto alla perdita di gran parte dei precedenti riferimenti ideologici». La maggioranza in generale – e Fdi in particolare – non sembrano risentire negativamente, stando ai sondaggi, delle polemiche sul caso Pozzolo. Perché secondo lei?«In parte per quella polarizzazione cui accennavo. Questa rende l’elettorato dell’attuale coalizione di governo e quello delle opposizioni, specialmente di sinistra, reciprocamente impenetrabili e non comunicanti. In parte perché l’episodio deve essere apparso a molti così assurdo da essere addebitato a una carenza personale di chi lo ha commesso, piuttosto che come l’indizio di quella propensione all’uso della violenza che gli avversari si sono affrettati ad addebitare a tutto il partito di Giorgia Meloni».Esiste un tema di scarsa qualità nel processo di selezione della classe politica rispetto al passato?«Non che Alleanza nazionale fosse esente da pecche, sotto questo punto di vista, soprattutto all’inizio. Problema che già aveva caratterizzato la Lega quando aveva eletto un grande numero di parlamentari. Iconico il cappio esibito alla Camera da Luca Leoni Orsenigo. Anche la Forza Italia delle origini aveva questo problema che si è riproposto in modo evidente con i 5 stelle. Certamente il così rapido passaggio da un’opposizione radicale alla guida del governo non ha favorito un processo di formazione dei quadri dirigenti. Tuttavia, vari esponenti del partito occupano già da alcuni anni incarichi amministrativi di rilievo, a partire dalle presidenze di Regione. Per quella via si impara. Mi sembra che già una parte del ceto parlamentare di Fdi sappia interpretare il suo ruolo in modo corretto. Poi, certo, di eccezioni ce ne sono e ce ne saranno anche in futuro».Si può dire che l’elettorato di centrodestra è un blocco sociale consolidato indipendentemente dal suo leader (Berlusconi prima, Salvini poi e Meloni oggi)?«In una società così fluida e profondamente individualistica quale quella odierna, diffido delle interpretazioni sociologiche che risentono di vecchi schemi di classe e di ceto. Non c’è dubbio che in alcuni settori socioprofessionali si è manifestata, in questi ultimi trent’anni, una tendenza a preferire l’offerta politica del centrodestra o piuttosto, in fasi diverse, di ciascuna delle sue tre componenti. Ma anche i soli travasi elettorali interni dimostrano che un peso forte lo hanno avuto le capacità dei leader di personalizzare a proprio favore il rapporto con i simpatizzanti potenziali».Si può dire altrettanto dell’elettorato di centrosinistra?«Qui le cose stanno un po’ diversamente. Mentre gli studi scientifici mostrano che l’elettore-tipo di Fratelli d’Italia si avvicina molto, sociologicamente, alle caratteristiche (età, titolo di studio, occupazione, sesso ecc.) dell’italiano medio, per quanto riguarda il Pd – il M5s meriterebbe un discorso diverso – è ormai chiaro che il suo “zoccolo duro” è costituito dagli ormai famosi votanti della Ztl. Condizioni economiche agiate, titoli di studio superiori, impiegati pubblici, specialmente in mansioni intellettuali. Insomma, un gruppo sociale che ci tiene a conservare le posizioni acquisite. L’opposto di quell’elettorato popolare che a suo tempo aveva fatto la forza del Partito comunista».Non so quanto convintamente, ma Prodi sostiene che Schlein può federare l’opposizione. Conte ha risposto velenoso che prima dovrebbe mostrarsi capace di unire il suo partito. Chi ha ragione?«Conte. E Prodi ha torto due volte. Primo, perché si illude che i residui elettori del M5s – comunque un non trascurabile 15-17% – siano tutti, o quasi, catalogabili a sinistra e quindi assimilabili senza particolari difficoltà nell’immaginario “campo largo”. Le cose stanno diversamente: i 5 stelle conservano, in maggioranza, i favori di un pubblico genericamente populista, che su molti temi – immigrazione, tematiche “etiche”, ecc. – non ha le stesse opinioni del Pd, e in particolare di Elly Schlein. Inoltre, l’ipotetica federazione sarà molto ardua e, se si creasse, molto probabilmente durerebbe lo spazio di un mattino. Un risultato alle prossime europee al di sopra del quale la segreteria Schlein può dirsi al sicuro?«Nelle condizioni attuali, il 20% potrebbe essere presentato come un risultato accettabile. Che non placherebbe i mugugni e le polemiche interne, ma potrebbe mantenerla in sella. Al di sotto, lo scontro correntizio si inasprirebbe ulteriormente e potrebbero cominciare manovre di sganciamento».Economia, tasse, sicurezza ed immigrazione. Al momento non si può dire che si vedano risultati tangibili. Perché l'elettorato però continua a dare fiducia alla maggioranza? «Ancora una volta, il “merito” è della percezione dell’inconciliabilità delle posizioni tra le forze di governo e quelle di opposizione. Chi ha votato Fdi o Lega, come potrebbe convincersi a dare una chance di governare a un Pd guidato da Schlein? E anche un sostenitore di Forza Italia, che pure è il meno affidabile degli alleati, come potrebbe, da “moderato”, accettare di sostenere un partito che espone idee così radicali su immigrazione, famiglia, teoria del genere?».Riforme istituzionali: avrebbe preferito l’elezione diretta del presidente della Repubblica o va bene la proposta attuale di elezione diretta del premier?«Non ho mai spasimato per il presidenzialismo, ma il premierato mi attrae ancora meno». Cosa la convince e cosa no di questa proposta di riforma?«L’argomento della stabilità è a doppio taglio: blindare un governo, con l’attribuzione del 55% dei seggi al partito del presidente del Consiglio – proposta che giudico indecente e che ho sempre osteggiato anche quando è stata applicata nel famoso Porcellum – non assicura certo la qualità dell’azione dell’esecutivo. Anzi, dargli carta bianca può indurlo a condurre politiche discutibili, dietro la certezza di rimanere comunque in sella. Il fatto che la maggioranza possa cambiare il capo di governo in corso di legislatura non rimedia al difetto; anzi, può istigare gli scontri interni».Le europee del 2024 saranno un banco di prova per tutti in tutte le nazioni. Secondo lei le istanze del cosiddetto sovranismo hanno perso appeal o sono sempre di moda?«Per come l’Unione europea si sta comportando, soprattutto in campo internazionale con una completa sudditanza alla Nato e alla strategia degli Usa, sono più che mai attuali. Del resto, che il tanto deprecato sovranismo sia vitale lo dimostrano sondaggi e risultati elettorali, ultimo quello olandese».Ha ancora un senso parlare di destra e sinistra o dovremmo forse utilizzare un diverso schema di analisi?«Lo scontro tra gli interessi della gente comune e quelli dei poteri economici-finanziari (spesso difesi da destra e da sinistra), proposto dai populisti, mi pare molto più adatto a rappresentare le dinamiche attuali».Quale potrebbe essere il vero evento politico del 2024?«Le previsioni sono adatte alle chiromanti».