2018-06-02
Tagliola Iva, flat tax e trattative Ue: i tre dossier incandescenti per Tria
L'inquilino di via XX Settembre dovrà impedire l'aumento automatico della tassa, in base al patto Lega-M5s. Farne la «leva» per l'imposta unica sarebbe un autogol. Così come chiedere solo più tempo a Bruxelles.Non ci sono dubbi: la prima sfida del neoministro dell'Economia Giovanni Tria sarà quella legata alla decisione da assumere sulle famigerate clausole di salvaguardia, cioè sugli aumenti automatici dell'Iva destinati a scattare quest'anno (12,5 miliardi) e il successivo (altri 19).Il ministro dell'Economia ha almeno quattro strade teoricamente percorribili. La prima è quella di lasciare che gli aumenti scattino. In questo senso vanno alcune sue recenti considerazioni che hanno (motivatamente) allarmato il mondo delle piccole imprese e dell'economia reale: «Non si vede perché non si debbano far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell'Iva per finanziare la flat tax», ha recentemente scritto il professore. «Come ho sostenuto da oltre un decennio e non da solo», ha aggiunto, «ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette, spostando gettito dalle prime alle seconde». A onor del vero, esattamente questo è il tenore di diverse raccomandazioni europee e dell'Ocse. Tuttavia, ci sono almeno due perplessità: intanto, troppe volte i governi nazionali si sono «ricordati» di alzare le imposte indirette, ma si sono «dimenticati» di abbassare quelle dirette; e poi sarebbe forse un po' curioso che il primo atto di un governo eurocritico fosse una sorta di allineamento alle raccomandazioni fiscali più tradizionali dell'Ue. In ogni caso, se decidesse di seguire questa strada, l'esecutivo dovrebbe almeno anticipare di molto nel tempo i piani della flat tax: altrimenti, dal punto di vista del contribuente, il gioco non varrebbe la candela.Per questo, è forse più probabile una soluzione diversa. Tra l'altro, anche davanti alle organizzazioni di categoria del commercio e dell'artigianato, i contraenti del patto di governo, Lega e M5s, si sono solennemente impegnati a scongiurare l'aumento Iva, che sarebbe un'ulteriore mazzata ai consumi interni boccheggianti. Il rallentamento di una ripresa già anemica è già in atto, l'incertezza politica ha ulteriormente rattrappito la propensione al consumo negli ultimi mesi, e in generale la domanda interna è estremamente debole. A questo quadro già fragile, un eventuale aumento dell'Iva procurerebbe un danno molto forte. In più, a quanto pare, l'operazione flat tax potrebbe non essere immediata, mentre la decisione sull'Iva è la primissima da prendere in ordine di tempo. È dunque immaginabile che il governo operi per il disinnesco delle clausole: e allora ecco le altre tre strade tra le quattro astrattamente percorribili.La seconda strada porta a un tradizionale negoziato con le autorità europee per rinviare o disinnescare le scadenze. In particolare, la prima tranche di clausole (12,5 miliardi) equivale a uno 0,6-0,7% del Pil: si tratta di ottenere uno sforamento o una «tolleranza» di quella entità. Pro e contro dell'operazione? A favore, si può dire che sarebbe un modo di testare subito la disponibilità e la propensione al dialogo da parte della Commissione Ue verso il nuovo Esecutivo.Contro, si può dire che si tratterebbe di trattative sugli «zero virgola» abbastanza simili a quelle fatte dagli ultimi governi: e in più, se anche la Commissione dicesse sì, avrebbe poi buon gioco a usare questa concessione per dire no ad altre richieste del governo.La terza strada porta a un disinnesco attraverso la via maestra: ovvero, tagliare la spesa pubblica in misura corrispondente alle clausole. Volendo, i tagli di spesa si potrebbero fare senza danni particolari, anzi. Nel mare della spesa pubblica, ci sono in particolare quattro ambiti dove si può intervenire: le municipalizzate (imponendone la vendita e l'apertura dei rispettivi mercati), l'introduzione (vera) dei costi standard nella sanità, un ulteriore intervento sugli acquisti di beni e servizi nella pubblica amministrazione (dove pure si è già cominciato a fare qualcosa con gli ultimi governi), e ovviamente le spese delle Regioni.Resta una quarta e ultima strada: è una proposta-uovo di Colombo che avanziamo qui sulla Verità, e che già ebbe ingresso in Parlamento nella scorsa legislatura, con emendamenti tutti tecnicamente ammessi (anche se politicamente respinti dai governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni).Sarebbe una soluzione di metodo sulla quale tanti potrebbero trovarsi concordi, e che potrebbe essere un buon modo per dare una prima risposta al problema, in attesa della risposta definitiva. Di che si tratta? Del rovesciamento delle clausole: si potrebbe cioè stabilire che se - per qualunque ragione - le clausole non verranno disinnescate, la conseguenza non sarà un automatico aumento di tasse, ma un automatico taglio di spesa (ad esempio, tra le voci che ho indicato sopra). In sostanza, se proprio deve esserci una «sanzione», questa sanzione sia a carico della macchina pubblica, cioè della spesa, e non dei cittadini attraverso inasprimenti fiscali. Una buona volta, sia dunque lo Stato a dimagrire, e non i cittadini a dover subire un'ennesima tosatura fiscale. Sarebbe un atto di buon senso, e un primo segno di «amicizia fiscale» verso i contribuenti da parte del nuovo governo.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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