2021-08-08
Bisogna tagliare le tasse. Ma all’Ue non va
Il Recovery plan ignora il problema fiscale, mentre servono incentivi all'economia reale.La ricchezza di un Paese la fanno i quattrini dei privati, quelli dell'economia di mercato, cioè le imprese e le famiglie. Ma le famiglie in questo dipendono dalle imprese che creano posti di lavoro e producono merci e servizi. E per lo Stato la storia non cambia: o prende i soldi a debito o li prende dalle tasse delle famiglie e delle imprese. Da questo circolo non si scappa. Ci provò l'Unione Sovietica ma con scarsi risultati.C'è da giurarci che se proponete questo ragionamento a qualsiasi politico o burocrate europeo non potrà che darvi ragione. Quindi uno sarebbe indotto a pensare che, se ti danno ragione, agiranno di conseguenza nell'elaborare quella specie di giungla fatta dalle normative, dalle direttive e dai regolamenti europei. Ma così non è. Se tu vuoi creare la ricchezza devi favorire la nascita di nuove imprese, un ambiente loro favorevole che ne consenta lo sviluppo. Così incentiverai e promuoverai la generazione del reddito e quindi anche delle risorse a disposizione dello Stato.Ogni anno, dal 2003, la World bank (Banca mondiale) in collaborazione con l'International finance corporation, pubblica un rapporto - Doing Business («Fare affari») - che ormai comprende 190 Paesi di tutto il mondo, dunque la quasi totalità, e nel quale la filosofia ormai consolidata è molto semplice: un'azienda per cogliere al volo le occasioni di sviluppo del business, soprattutto nel mondo globalizzato, ed esprimere al massimo le sue potenzialità, deve poter contare su un ambiente favorevole. I parametri con i quali vengono analizzati le singole situazioni vanno a determinare l'indice di facilità di fare business. Essi vanno dall'avvio dell'attività all'ottenimento dei permessi edilizi, dall'esecuzione dei contratti al trasferimento di proprietà immobiliari, dall'utilizzo e i costi dell'energia elettrica all'accesso al credito, dal pagamento delle tasse alla tutela degli investitori, dal commercio estero alle dispute commerciali e alle procedure concorsuali (appalti, concessioni e quant'altro). Ora basterebbe parlare con qualsiasi imprenditore italiano, soprattutto medio o piccolo, per dare il voto all'ambiente italiano che circonda le imprese e nel quale sono tenute a lavorare, con fardelli che neanche i muli che trasportavano le armi in montagna nel primo conflitto mondiale. Muli loro, e somari quelli che non agiscono di conseguenza per liberare i muli dalla soma.Nell'ultima edizione che risale al 2020 noi figuravamo al 58° posto avendo davanti Kosovo, Kenya, Romania, Cipro e Marocco. Le aree dove registriamo i peggiori risultati sono le tasse (pari al 59.1% dei profitti) e l'accesso al credito.A voi risulta che nell'ultracelebrato Recovery fund ci sia qualche accenno al problema fiscale nei Paesi come il nostro o altri Paesi europei? Certo, entro la fine dell'anno dovremo fare la riforma fiscale ma da subito ci è stato detto che i soldi, eventualmente presi a debito, per la diminuzione del carico fiscale non possono essere considerati all'interno delle riforme di struttura, ma solo congiunturali. Ma cosa vuol dire? È più importante considerare questi aspetti formali e astratti o le reali esigenze per facilitare chi vuole fare business nei vari Paesi? Ormai i dogmi sono più in voga in Europa che nella Chiesa cattolica. Il problema è che quei dogmi sono eretici, cioè non rispettano le leggi più elementari dell'economia reale, non quella vagheggiata negli uffici di Bruxelles. In Italia stiamo discutendo su come spendere 18 miliardi tra pensioni e riforma fiscale. Non era il caso di porre tra gli obiettivi del Recovery fund, oltre alla riforma fiscale, anche una riduzione del carico fiscale? Certo può essere considerata essenziale una riforma del fisco nel senso della semplificazione e anche di una ripartizione diversa del carico fiscale stesso. Ma per fare una riforma che faccia ripartire (Recovery) e che serva anche alle generazioni future (Next generation) non bastano la transizione ecologica e quella digitale, servono incentivi all'economia reale. Nelle prime 10 posizioni del Doing Business 2020 non c'è neanche un Paese appartenente all'eurozona (di quelli che hanno adottato l'euro). Vorrà dire qualcosa? O no? Eppure il ragionamento parrebbe semplice. Ma il somaro, in questo caso, ha la meglio sul mulo.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 settembre con Carlo Cambi