Ministro Giuseppe Valditara, lei con questo disegno di legge sta impedendo che si faccia educazione sessuale e affettiva nelle scuole?
«No, questo è falso. Come ho detto più volte, chi lo sostiene o non conosce o fa finta di non conoscere l’articolo 1 comma 4 che afferma “Fermo restando quanto previsto nelle indicazioni nazionali”, cioè i programmi scolastici, e nell’educazione civica, ovviamente».
E che significa?
«Che nei programmi scolastici c’è tutta l’educazione sessuale nel senso biologico, quindi la conoscenza delle differenze sessuali, degli apparati riproduttivi, delle funzioni riproduttive, dello sviluppo puberale, dei rischi relativi alle malattie trasmesse sessualmente, quindi c’è tutto quello che riguarda l’insegnamento dell’educazione sessuale in senso biologico».
E sull’affettività, invece?
«Nel ddl non c’è alcun riferimento all’educazione all’affettività, anzi c’è un riferimento esplicito ai programmi scolastici e, quindi, anche all’educazione civica. Nelle nuove Linee guida, abbiamo per la prima volta inserito non solo l’educazione al rispetto verso tutti e in particolare verso la donna, ma anche l’educazione alle relazioni. Nei nuovi programmi scolastici ci sarà anche l’educazione all’empatia affettiva e relazionale, quindi tutto quello che riguarda rapporti positivi tra i giovani e rapporti rispettosi nei confronti dell’altro sesso».
L’opposizione dice che bisogna agire di più sulla violenza di genere.
«Ma guardi che c’è già l’educazione al contrasto della violenza di genere, al contrasto delle violenze sessuali e, quindi, anche dei femminicidi. I relativi corsi sono già partiti nel settembre 2024 in attuazione delle Nuove linee guida sull’educazione civica, e la quasi totalità delle scuole li ha avviati in forma curricolare, quindi non è vero che fanno parte soltanto delle 33 ore dell’educazione civica, perché li abbiamo previsti interdisciplinari, innervano insomma tutte le discipline. Inoltre, voglio anche aggiungere che gli insegnanti ci hanno testimoniato che nel 70% dei casi hanno registrato un cambiamento in positivo dei comportamenti dei giovani e, quindi, un miglioramento nei rapporti, nei comportamenti».
Ma chi si occupa di questa educazione, quali figure?
«Questi corsi li terranno gli insegnanti adeguatamente formati. Abbiamo stanziato tra l’altro 15 milioni di euro per corsi di formazione all’interno delle scuole, altri circa 4 milioni di euro per avviare corsi di formazione specifici per gli insegnanti, a carico di Indire (l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, ndr). Saranno utilizzati anche sistemi di peer tutoring, cioè di confronto fra studenti, in cui il docente farà da moderatore. Tutto questo non l’ha fatto la sinistra, lo stiamo facendo noi. Tutto questo favorisce la cultura del rispetto e, quindi, è l’unico vero grande strumento per lottare contro bullismo, violenze sessuali, femminicidi».
Che cosa, allora, non volete che si faccia a scuola?
«Non vogliamo l’indottrinamento all’interno delle nostre scuole, l’indottrinamento cosiddetto “gender”. C’è un esempio che credo sia emblematico, quello della giornalista britannica che è stata sanzionata perché ha detto che il caldo danneggia le donne incinte, mentre il politicamente corretto pretendeva che lei dicesse le persone incinte. Queste sono le teorie gender che francamente a un bambino di 3, 4 o 10 anni rischiano di creare solo confusione in testa».
E come si parlerà di sessualità?
«Per quanto riguarda i temi della sessualità che non rientrano nell’ambito dei programmi scolastici, per le scuole medie e per le scuole superiori potranno essere affrontati, ma a determinate condizioni. Innanzitutto soltanto da esperti con una preparazione scientifica adeguata, di cui la scuola si fa garante. Se dunque, per ipotesi, l’esperto non avrà caratura scientifica e svolgerà attività di propaganda, chi ha organizzato il corso ne dovrà rispondere. Seconda cosa, non potranno più entrare nelle scuole associazioni, gruppi di pressione, enti vari e quant’altro che spesso, in passato, avevano solo lo scopo di indottrinare e non di informare correttamente. In terzo luogo, tutto questo sarà possibile solo con il consenso, per i ragazzi minorenni, delle famiglie. I genitori dovranno essere adeguatamente informati sul contenuto del corso e su chi lo terrà. I genitori che non sono d’accordo potranno semplicemente chiedere che i propri figli frequentino un corso alternativo, magari di italiano, di storia o altro».
Perché serve il consenso informato?
«Perché i ragazzi vanno fatti crescere senza condizionamenti, senza mettere loro in testa teorie che non hanno ancora gli strumenti per saperle affrontare. Poi è giusto valorizzare il ruolo dei genitori, come dice la Costituzione. L’articolo 30 della Carta presuppone che l’educazione sia innanzitutto in capo alle famiglie. Poi la scuola ha un ruolo fondamentale, come dicevano i nostri costituenti, per integrare, supportare, completare l’educazione che parte dalla famiglia, ma ha uno scopo di rafforzamento, di potenziamento, di integrazione. Il costituente ha voluto che l’istruzione fosse innanzitutto della scuola, l’educazione invece spetta innanzitutto alla famiglia».
L’educazione sessuale serve a fermare i femminicidi?
«Serve l’educazione al rispetto, il rispetto del “no”, l’educazione al consenso, l’educazione al rispetto della volontà della donna. Questo serve, non quello che vorrebbero i militanti che sostengono le teorie gender. Fra l’altro, le associazioni che non potranno più svolgere lezioni in passato, spesso, venivano pagate dalla scuola e, quindi, dal contribuente. Talvolta non si trattava di associazioni con una particolare preparazione o caratura scientifica, ma di associazioni che avevano lo scopo di indottrinare».
Si potrebbe dire che non garantite la pluralità delle visioni.
«No, noi non siamo totalitari. Ma questi temi vanno affrontati con preparazione vera, scientificamente e non invece in modo demagogico, propagandistico, improvvisato».
Qual è l’identikit della persona che può parlare di questi temi?
«Un professionista serio, uno psicologo, un medico, un docente universitario che abbia una professionalità alle spalle, un curriculum professionale importante».
L’opposizione ha usato toni duri con lei, accusandola addirittura di favorire i femminicidi. E lei si è arrabbiato parecchio.
«Mi sono molto amareggiato, devo dire la verità. I governi di centrosinistra hanno fatto poco o nulla per educare al rispetto, alle relazioni, all’empatia, che sono gli unici strumenti per favorire la cultura del rispetto nelle scuole e nella nostra società. Però hanno più volte insinuato e spesso affermato che questo ddl sul consenso informato ostacolerebbe la lotta ai femminicidi. Ci hanno accusato di impedire, di indebolire la lotta contro i femminicidi e le violenze sessuali. Credo che questa sia un’accusa infamante, assolutamente inaccettabile. Aggiungo, peraltro, che l’educazione sessuale in senso biologico serve alla conoscenza del proprio corpo, alla consapevolezza di come affrontare i rapporti con l’altro sesso, a una maturazione personale, ma non serve certo per combattere i femminicidi, basti solo ricordare il famoso paradosso nordico per cui, tra i Paesi occidentali, quelli che hanno il più alto tasso di femminicidi - dalla Finlandia alla Lituania, all’Islanda alla Svezia - sono quelli che da decenni hanno l’educazione sessuale a scuola. Quindi non confondiamo le cose: l’educazione sessuale in senso biologico è certamente importante ma non ha nulla a che vedere con la lotta contro i femminicidi. È semmai l’educazione al rispetto che è fondamentale, l’educazione a considerare la donna non come un oggetto, l’educazione al consenso. Bisogna riportare il senso del limite, il senso dei confini dell’io, il rispetto verso i “no”, che una certa cultura ha invece rifiutato. C’è una rivoluzione culturale da compiere, molto diversa rispetto a quella che ci propone la sinistra».







