La purga del sindacato rosso che segna una tappa in quello che appare come un regolamento di conti all’interno della Camera del lavoro della Cgil di Treviso è stata inflitta con l’arma della burocrazia statutaria. Una decisione scritta con il tono freddo di una commissione disciplinare. Un elenco di articoli interni e regole che, appena oltre il foglio firmato e timbrato, puzza di bonifica. Il colpo grosso è Paolino Barbiero, uno che la stampa locale descrive come «la colonna» della Cgil provinciale. D’altra parte l’ha guidata dal 2005 al 2012, per poi passare alla segreteria della sigla dei pensionati fino al 2020. Contemporaneamente, per 10 anni, ha ricoperto anche l’incarico di presidente della cassaforte immobiliare del sindacato, la Società servizi e lavoro srl (una macchina da soldi con un patrimonio superiore a 4 milioni di euro, decine di sedi Caf e immobili in tutta la provincia), controllata dalla Cgil, percependo un compenso (circa 10.000 euro lordi al mese) che ora la Commissione di garanzia gli contesta. Per il cumulo di incarichi è scattato un anno di sospensione. La sensazione, tra i corridoi della Camera del Lavoro di Treviso, è che i compagni si trovino in una stagione che si chiude senza cerimonia. Barbiero per molti era un riferimento. Per altri, invece, un potere da riequilibrare. Ma per la legge interna del sindacato è diventato il compagno che accumula gettoni. A cadere con lui ci sono altri due big locali: il segretario organizzativo regionale Giacomo Vendrame e Mauro Visentin, che ha avvicendato Barbiero al timone della segreteria provinciale. Due mesi di stop a testa. Stessa accusa: aver firmato, uno dopo l’altro, l’incarico che ha fatto saltare tutto. La bomba è scoppiata lo scorso autunno. Una busta anonima con dei documenti. Bilanci, verbali, estratti Inps, dati fiscali. Tutto documentato. Forse troppo per non far pensare che sia roba fatta in casa. Qualcuno, da dentro, insomma, avrebbe deciso che il loro momento era arrivato. E avrebbe fatto partire l’attacco con una firma fantasma. L’obiettivo: smantellare l’asse Barbiero. E il risultato è stato centrato. La corrente che da 15 anni animava i compagni trevigiani è stata azzerata. E Barbiero dovrà restituire tra i 130 e i 140.000 euro. Ufficialmente per una questione di regole e di compatibilità. Ma probabilmente lo è anche di successioni. Di eredità che si erano fatte pesanti. Barbiero si è difeso: «Ho sempre riversato ogni gettone al sindacato. E la società immobiliare, fino al 2023, non rientrava nel perimetro delle incompatibilità previste dallo statuto». Prima che la sanzione diventi definitiva ha 50 giorni per impugnarla. E ha annunciato un ricorso. Nel frattempo, però, ha presentato una querela contro ignoti per accesso abusivo al proprio cassetto fiscale: alcuni dei documenti usati nella segnalazione potrebbero essere stati acquisiti illegalmente. Visentin l’ha definita «una doccia fredda» e ha fatto sapere che valuterà l’opportunità di ricorrere al secondo grado. Sul fronte opposto si agita Augustin Breda della Fiom: «Questa non è una faccenda privata, la trasparenza è un dovere per un’organizzazione che rappresenta decine di migliaia di lavoratrici, lavoratori e pensionati in provincia e che si fonda sulla fiducia e sulla storia di una organizzazione che nulla ha da temere per la sua solidità». Dalla minoranza interna, quando arrivò l’esposto, parlarono di «stillicidio di non detti», segno che le divisioni erano forti ma che hanno viaggiato sotto traccia. Fino alla deflagrazione.
Arriva una nuova Salis: prof pro centri sociali denunciata per scontri con le Forze dell’ordine
Tutto si può dire, ma non che in Italia manchino i cattivi maestri, gli «anticonformisti» pronti a sfidare il sistema. I più fortunati passano direttamente dalla cattedra al Parlamento europeo, come nel caso di Ilaria Salis; altri, invece, si limitano a diffondere il verbo nelle nostre classi, alternando i banchi di scuola alla rivolta sociale. Come Gaia Righetto, portavoce del centro sociale Django di Treviso, che insegna come supplente alle scuole medie di un istituto comprensivo in provincia.
Django è noto per diverse vicende, tra cui il caso di Andrea Berta, un componente del centro sociale passato agli onori delle cronache per aver sfrattato un signore che occupava casa sua, un appartamento in periferia, poi ritrovato morto in un garage. Il fatto aveva destato non poche polemiche, perché Django sul territorio si batte proprio in difesa degli occupanti abusivi. Sulla pagina Instagram della Tribuna di Treviso, per esempio, si possono apprezzare scontri con la polizia risalenti allo scorso aprile, quando Righetto e un gruppo di attivisti si sono opposti a uno sgombero. Altri scontri con le Forze dell’ordine sono riportati dalla stampa locale in occasione di una manifestazione contro Israele del gennaio 2024, a seguito della quale la nostra supplente ha rimediato una denuncia.
La stessa si è anche beccata una condanna di primo grado per diffamazione verso Dimitri Coin, deputato della Lega e segretario provinciale, risalente al 2018. Un’altra condanna, sempre per diffamazione, è arrivata precedentemente per insulti rivolti contro Mauro Dal Zilio, allora primo cittadino. Inoltre, durante il Pride del 2022, si è resa protagonista di un sit in davanti al Duomo in cui, insieme con altre manifestanti, ha mostrato il seno. Per questo motivo, il sindaco di Treviso aveva valutato gli estremi per il danno di immagine. Gaia Righetto è una promotrice di occupazioni abusive a fini politici, come mostra un altro filmato sul sito della Tribuna di Treviso girato all’interno di un appartamento.
I suoi profili social sono pubblici, dunque gli studenti possono potenzialmente visionare le sue gesta. «Per fortuna che c’è gente così, che si sbatte, prende permessi dal lavoro per bloccare sfratti. Poi c’è gente che fa l’ufficiale giudiziario, mestiere infame, lo sbirro che va a caccia di poveri», si legge sotto a una foto che ritrae una manifestazione contro gli sfratti. Meno comprensibili, almeno per dei giovani studenti, le righe sotto l’immagine di un maiale morto: «La postura marxista che accoglie l’intersezionalità, il transfemminismo, l’ecologia radicale deve andare oltre i limiti dell’umano. Ma ciò può accedere solo se chi storicamente è a fianco dei non umani non costruisce gerarchie tra le lotte e lo stesso vale per chi comincia ora a riflettere sulla distruzione delle gerarchie tra specie».
«I ragionamenti da fare sono due», ha dichiarato alla Verità l’onorevole Rossano Sasso (Lega), commentando la vicenda: «Uno in punta di diritto e l’altro in punta di opportunità. Bisogna domandarsi se questa persona ha i requisiti per stare in cattedra, e comunico, in proposito, che ho segnalato tutto all’autorità competente, cioè agli uffici locali del ministero dell’Istruzione». «Una persona così», continua, «che ha e tollera metodi violenti nella lotta politica, che cosa dovrebbe insegnare a ragazzini di 13-14 anni? Qui si pone un interrogativo sulla normativa attuale, secondo cui in assenza di pene interdittive dai pubblici uffici anche un condannato in primo grado può stare in classe. Ma c’è anche il codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione, laddove per condotta lesiva dell’immagine si può essere sospesi dal servizio. Mi metto nei panni dei genitori e degli studenti. Credo che la stragrande maggioranza degli insegnanti svolgano con dedizione e passione la propria professione, non credo sia un crimine avere delle idee, ma qui andiamo ben oltre».
Di regolamento per i dipendenti pubblici si discute anche in merito a un altro caso riguardante una maestra di asilo (per altro cattolico) sempre nel trevigiano, scoperta dai genitori dei bambini avere un profilo su Onlyfans. Sulla donna è intervenuta anche la responsabile della scuola, chiedendole di eliminare il profilo, ma lei si è rifiutata affermando di non vergognarsi delle scelte fatte. La vicenda ha suscitato diverse polemiche, motivo per cui ora il ministero dell’Istruzione starebbe pensando di aggiornare il regolamento 2023 per i dipendenti pubblici inserendo una parte specifica che riguarda gli insegnanti.
Tale regolamento già prevede alcune norme, menzionate dall’onorevole Sasso, come «evitare dichiarazioni, immagini o commenti che possano danneggiare il prestigio o l'immagine dell’amministrazione». Le amministrazioni, inoltre, possono dotarsi di una social media policy per «individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni». L’intenzione del ministero, però, è di aggiungere una parte che specifichi le norme di condotta proprie degli insegnanti, visto il loro delicato ruolo, con particolare attenzione al comportamento da tenere sui social.
È la cornice di Palazzo Foscolo a Oderzo (TV) ad ospitare un’importante mostra dedicata ad Alberto Martini (1876-1954), pittore simbolista ma soprattutto illustratore di opere letterarie. Organizzata per celebrarne i 70 anni dalla morte, l’esposizione (visitabile sino al 25 marzo 2025) raccoglie ben 120 opere, tra cui alcuni lavori inediti e mai esposti prima.
Un’arte onirica, visionaria, enigmatica e piena di simboli quella di Alberto Martini (Oderzo, 1876-Milano, 1954), la cui fama, più che alla pittura, è legata al suo straordinario talento per il disegno, mezzo preferito per esprimere un impulso creativo dirompente e una vocazione particolare per il macabro e la satira:«La penna è il bisturi dell’arte, è strumento acuto e dificile come il violino (...) La mia penna è, a seconda dei casi, forte come un bulino e leggera come una piuma», scrisse l’artista nella sua biografia e la sua amatissima penna, il suo « bisturi artistico», lo rese famoso, in Italia e in Europa. In Inghilterra (nel 1914 la stampa inglese lo definì « Italian pen - and link genius») e a Parigi soprattutto, dove Martini trovò parecchi estimatori della sua arte fantastica e inquieta, tardo-romantica e decadente, in cui l’elemento macabro si fondeva con l’inconscio e il sogno: e fu proprio nella capitale francese,dove visse tra la fine degli anni ’20 e il 1934 nel quartiere di Montparnasse, che Martini sviluppò il proprio linguaggio surrealista « poiché ogni cosa - scrisse in Vita d’artista - è come uno specchio dove si riflette la nostra anima ».
Un linguaggio fatto di raffinatezza tecnica e potente immaginario («chi non ha immaginazione vegeta in pantofole: vita comoda, ma non vita d’artista»), che ha ispirato artisti, musicisti, autori di fumetti e registi, da Dylan Dog ad Alfred Hitchcock e che Oderzo, sua città natale e sede della Pinacoteca a lui dedicata, celebra con una grande mostra, un viaggio alla scoperta dell’universo mariniano e del «lato oscuro» della sua arte, con un focus particolare – vero fulcro dell’esposizione – sulla serie di illustrazioni a china dei racconti fantastici di Edgard Allan Poe (diffusi in Europa soprattutto nella traduzione francese di Charles Baudelaire del 1856), che tanto colpirono l’immaginazione degli artisti del tempo. Realizzata da Martini tra il 1905 e gli anni Trenta, la serie, chiaro esempio di anticipazione surrealista , apre alla dimensione dell’inconscio, una dimensione ben evidenziata anche nei sorprendenti autoritratti - specchio dell’Io e del suo doppio - che chiudono il ricco percorso espositivo.
La Mostra
Con oltre 120 opere fra disegni, incisioni, olii e pastelli, l’esposizione - introdotta dall’autoritratto di Martini in veste di biglietto da visita del 1914 e dall’iconico Lucifero, famosa illustrazioni della Divina Commedia - inizia con alcuni fra i primissimi lavori dell’artista (molto interessanti i disegni del ciclo Le corti dei miracoli , ispirati a Victor Hugo); omaggia il sodalizio fra Martini e il critico napoletano Vittorio Pica (tra i fondatori della Biennale di Venezia e suo segretario generale dal 1920 al 1928) con lo splendido olio su tela La Fiaccola (o Allegoria del genio della Poesia o dell’Arte), un’opera simbolista del 1906, mai esposta prima in Italia; prosegue con due meravigliosi disegni del ciclo La parabola dei celibi, immagini dalle atmosfere notturne, oniriche e potenti e prima di arrivare al focus dedicato a Poe, il visitatore incontra Nel sonno, Diavolessa e Notturno, un trittico definito dalla curatrice Paola Bonifacio «estremamente raffinato e cerebrale, legato al tema dell’esaltazione della Notte». Straordinaria anche la serie di sontuosi pastelli dedicati alla donna-farfalla, ed è sempre all’universo femminile che Martini guarda nelle due splendide oniriche litografie su pietra Il Bacio e La bocca del 1915 e ne La Bellezza della donna (1905) «disegno significativamente scelto da Salvador Dalì - ha spiegato uno dei curatori, Alessandro Botta - a corredo di un articolo sull’immaginario spiritico del 1914 per la rivista Minotaure , fondamentale per gli sviluppi del movimento surrealista».
Amico di Filippo Tommaso Marinetti, Gabriele D’Annunzio, Margherita Sarfatti e dell’eccentrica e facoltosa Marchesa Luisa Casati Stampa, a lei, tra il 1912 e il 1934, dedica ben 12 ritratti: furono tuttavia i Racconti straordinari di Edgar Allan Poe ad ispirare al meglio la genialità creativa di Martini, che, fra il 1905 e il 1936, realizzò 105 disegni intrisi di un cupo e fantastico mistero, esempio sommo di quell’ «estetica dello spaesamento » che lo porterà verso il surrealismo. La scrittura di Poe arricchì la già fervida immaginazione di Marini con nuove, lugubri, grottesche e allucinate visioni, fatte di scheletri, mostri, personaggi terrificanti e,sempre ispiratoda Poe, creò un linguaggio totalmente nuovo, ponendosi in un dialogo ideale con lo scrittore statunitense. Entrambi amanti dell’oscurità animata da demoni e fantasmi, entrambi alla ricerca dei significati più reconditi dell’anima , Martini e Poe si mossero fra visioni e sogno, cogliendo gli aspetti più misteriosi, enigmatici e reconditi della realtà
Alberto Martini.Autoritratto a pastello,1920.Collezione Armando e Claudia Sutor.Ph. Manuel Silvestri
















Abbiate un minuto di pazienza e leggete il testo che riportiamo qui di seguito, peraltro in molta parte condivisibile. Lo abbiamo facilmente rintracciato sulla Rete e dice così: «Il problema della casa è sempre più presente in tutto il Paese. I salari sono troppo bassi per pagare affitti e mutui, anche per chi vive in una casa popolare; si costruiscono case di lusso per pochi e si preferisce utilizzare le case per affitti brevi per turisti invece che soddisfare i bisogni della popolazione; e soprattutto in questo Paese non c’è un piano per il diritto all’abitare dagli anni 70! Qui a Treviso ormai centinaia di famiglie sono a serio rischio di trovarsi per strada: donne, uomini, genitori single con figli minori, famiglie».
Ancora un piccolo sforzo, perché ora viene la parte importante: «La casa è un diritto fondamentale, non è un terreno su cui alimentare una guerra fra poveri; le responsabilità del nostro impoverimento non sono di chi sta peggio, ma di chi in alto protegge solo gli interessi delle classi più ricche. Nel Comune di Treviso le case sfitte sono più del 13%, buchi neri che, fra pubblico e privato, se fossero riqualificati andrebbero a soddisfare la necessità delle tante, troppe, persone al momento in difficoltà».
Sapete da dove viene questo documento giustamente indignato e bellicoso? Dal profilo Facebook della associazione Caminantes di Treviso, composta (è scritto nella presentazione ufficiale) pure da frequentatori del centro sociale Django. Per la precisione, il profilo Facebook si chiama così: «Caminantes. La casa è un diritto». Affermazione che senz’altro sottoscriviamo. Peccato che tale diritto sia stato negato a Marco Magrin, un uomo di 53 anni trovato morto lo scorso 30 novembre in un garage di via Castagnole a Treviso. Pare che Magrin vivesse lì dentro, sotto la casa in cui aveva abitato per un periodo assieme alla compagna. Da quella abitazione era stato cacciato, si era rifugiato nel box e lì è crepato. Ed ecco il colpo di scena: la casa da cui Magrin è stato allontanato appartiene a un attivista del centro sociale Django e di Caminantes, tale Andrea Berta.
Secondo il Gazzettino, Berta avrebbe ereditato la casa due anni fa da una zia, mentre il garage non sarebbe di sua proprietà. A quanto risulta, l’attivista si è trovato, assieme alla abitazione, anche i due inquilini. Scrive TrevisoToday: «Quando è arrivato il momento di riscuotere l’eredità l’attivista si è fatto carico di debiti e bollette non pagate trovando dentro casa Marco e la compagna, entrambi senza lavoro. Berta non era in grado di sostenere le spese anche per quell’appartamento senza che nessuno dei due coinquilini pagasse l’affitto. Ha chiesto a Magrin e alla compagna di trovare una soluzione alternativa ma dopo un anno nulla è cambiato. Nel frattempo la compagna di Magrin è sparita dopo essere stata portata in comunità. Marco è rimasto solo nell’appartamento fino allo scorso agosto quando ha detto a Berta di aver trovato una nuova sistemazione. Il cinquantatreenne di Camposampiero avrebbe però continuato a occupare la casa fino a quando il proprietario non ha cambiato le serrature».
Tutto chiaro? Berta, il militante dei centri sociali, riceve una eredità ma, come capita a molti, fatica a gestirla. Non riesce a mantenere la casa avuta dalla zia perché chi la occupa non paga l’affitto, così insiste perché gli inquilini se ne vadano e cambia le serrature. A quel punto, Marco Magrin non sa più dove dormire e si sistema nel garage dove poi muore. Berta sostiene di non sapere che si fosse posizionato lì, dice di non averlo più visto. Sarà, ma la faccenda resta curiosa, e il cortocircuito rimane evidente: l’attivista che va in piazza per il diritto alla casa caccia il poveraccio che non gli paga la pigione e lo lascia al freddo.
Ieri Gaia Righetto, attivista della associazione Caminantes, ha provato a scaricare la colpa sul Comune (amministrato dalla destra) e ha pubblicato un messaggio disperato che Magrin aveva indirizzato a Mario Conte, sindaco di Treviso, per chiedergli aiuto. Secondo la Righetto, insomma, la colpa è delle istituzioni e non di Berta che ha cacciato l’abusivo: « La storia di Marco e della sua compagna è, nella sua drammaticità, semplice», scrive la attivista di Caminantes. «Vivevano da anni in una casa senza pagare l’affitto, in una situazione estremamente difficile. Il fatto è che nessuno si è mai accorto di loro. Alcuni mesi fa la donna è stata male ed è stata presa in carico da una comunità. Ai politici e alle istituzioni non interessa se è viva o morta, come sta, basta che sia scomparsa, presa in carico da qualcun altro. Anche Marco era in difficoltà e, a modo suo, ha chiesto aiuto, senza nemmeno venire preso in considerazione. Resta il fatto che ha provato a contattare il Comune senza ottenere alcuna risposta». Dopo l’attacco al sindaco, la Righetto ha fatto sapere che Andrea Berta metterà a disposizione l’appartamento ereditato per «progetti sociali e soggetti fragili in situazione di marginalità». Un gesto molto bello, ma purtroppo tardivo.
La morale di questa storiaccia è fin troppo semplice. È facile fare i fenomeni e straparlare di diritti fingendo che la realtà non esista. È vero che esistono persone in drammatica emergenza abitativa. Ma è anche vero che non possono essere altri cittadini a farsi carico di costoro.
Berta, militante antagonista, ha scoperto suo malgrado il mondo reale: i padroni di case non sono tutti cattivi capitalisti. Talvolta sono povera gente che se non incassa l’affitto non sa come fare quadrare i conti. È per questo, non per crudeltà, che tanti invocano sfratti rapidi. L’attivista del centro sociale, quando è toccato a lui, ha fatto la cosa più ragionevole: si è ripreso la casa di sua proprietà. E tanti saluti alle chiacchiere in stile Ilaria Salis sulla difesa degli abusivi. Se queste chiacchiere non dominassero la scena a beneficio dei centri sociali e di qualche politicante, forse del tema della casa di potrebbe parlare più seriamente. E magari poveri cristi come Magrin non creperebbero di freddo in un garage.
La grande epopea della bicicletta raccontata dai preziosi manifesti della Collezione Salce in mostra a Treviso, in Santa Margherita, sino al 2 ottobre. Un’esposizione particolarmente ricca, che va dalle « bici illustrate » a quelle vere, che hanno portato alla vittoria i più grandi campioni del ciclismo mondiale.
Tra affiches firmate dai maggiori protagonisti della storia dell’illustrazione e dell’arte italiana del secolo scorso - da Marcello Dudovich a Gino Boccasile - e le famose bici della collezione Pinarello, che hanno scritto la storia recente del ciclismo, la mostra ospitata negli spazi della nuova sede del Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, è un meraviglioso spaccato su uno dei mezzi ( e degli sport) più amati al mondo: la bicicletta.
Super trendy e green oggi, mezzo di trasporto usatissimo sino a metà del secolo scorso (quando le auto erano ancora un lusso e i treni pochi), oggetto cult che ha ispirato cinema ( da «Ladri di biciclette» alla saga di Don Camilo e Peppone, ma l’elenco sarebbe quasi infinito) e letteratura (nel «Giardino dei Finzi Contini », per esempio, Bassani la cita spesso, come anche Brizzi nel famoso «Jack Frusciante è uscito dal gruppo»), la storia della bicicletta si è sempre intrecciata con quella della società, diventandone lo specchio e influendo su costumi, viaggi, turismo, seconomia e persino sul processo di emancipazione della donna. Particolarmente nel nostro Paese, patria del Giro d’Italia e terra natale dei grandi miti del ciclismo su strada, Coppi e Bartali innanzitutto, «semidei» che hanno unito e diviso gli italiani, più idolatrati di qualunque calciatore ( e in un Paese come il nostro, in cui il calcio è vita, non è poco…).
La Mostra
La mostra trevigiana - ideata da Chiara Matteazzi e curata da Elisabetta Pasqualin con la consulenza storica di Antonella Stelitano - prende il via dagli albori del novecento e si articola in due grandi e ricche sezioni: sport e aspetti sociali.
Nella «terrazza» del polo museale, dedicata alla parte sportiva ed agonistica della rassegna, ad accogliere i visitatori gli straordinari e coloratissimi manifesti della collezione Salce, mix perfetto di pubblicità e arte, che abbracciano un arco temporale che va dai primi del ‘900 al 1955 circa e che illustrano la nascita delle principali industrie legate al mondo delle due ruote. In un tripudio di Liberty e Futurismo, i cartelloni pubblicizzano, i Cicli Maino, con Costante Girardengo, Torpedo con Alfredo Binda e poi Olympia, Atala e tutti i grandi marchi storici.
Al piano terra, dove trova spazio la sezione dedicata alla società e alla socialità fra fine ’800 e gli anni ’40 del Novecento, le affiches, fra coquette e pin up, sportivi ed acrobati, «raccontano la novità e le sfide del futuro: le nuove libertà di muoversi in autonomia, un nuovo tipo di turismo, il divertimento all’aria aperta, una nuova socializzazione, la nuova moda e, per le donne, un nuovo modo di percepire i propri spazi e di emanciparsi » come ha sottolineato Alberto Fiorin, autore di un saggio su “Bicicletta e turismo» (nel catalogo della mostra edito da Silvana).
Una mostra di grande valore artistico e sociale, che , come la bici, sa di velocità e libertà, ma che parla anche di arte, sport, economia e cultura. Il tutto grazie alla passione (e alla lungimiranza) di un grande collezionista trevigiano: Ferdinado Salce.
La Collezione Salce, breve storia
Era il 1895 quando il diciassettenne Ferdinando Salce (detto Nando) acquistò, per una lira, il primo manifesto della sua numerosa collezione, Incandescenza a gas Auer, realizzato dal grafico e pubblicitario italiano Giovanni Maria Mataloni.
Da allora, ininterrottamente e sino al 1962, Salce continuò a collezionare affiches, raccogliendo circa 25.000 pezzi: alla sua morte, con un lascito testamentario datato 26 aprile 1962, Nando Salce donò tutta la sua preziosa collezione - ora proprietà del Museo nazionale Collezione Salce di Treviso - allo Stato italiano.
I manifesti, alcuni presenti in più copie e in diverse dimensioni, rappresentano la maggior parte degli artisti che hanno scritto la storia della grafica pubblicitaria in ambito nazionale ed internazionale, ma non costituiscono tutti i materiali della Collezione, che comprende anche un interessante epistolario ( che ha permesso di ricostruire la rete di rapporti grazie alla quale Nando Salce si garantì la fornitura dei suoi pezzi) e una numerosa serie di tabelle pubblicitarie in latta e cartoni sagomati.
Una raccolta ricchissima e preziosa, che offre uno spaccato estremamente interessante e variegato della società, della cultura e delle realtà imprenditoriali della prima metà del ‘900.





















