Ciak, gli girano. Beppe Grillo sta acquattato a Marina di Bibbona e da lì ha fatto partire una bordata alla Gino Bartali: gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare. Inficia, come Garante, le lezioni di domenica scorsa alla Costituente del Movimento Cinque Stelle che lo hanno messo fuorigioco e impone una votazione bis. Uno dei suoi fedelissimi, Danilo Toninelli, lo aveva annunciato: «Credono di aver vinto la guerra, ma è solo il primo round, stanno pensando di calpestare il cadavere del leone, non hanno capito che il leone è ferito, ma ha molte altre zampate da dare». Ci ha pensato tutta la mattina ieri Beppe Grillo: una nuotata, malgrado il freddo, per smaltire la rabbia e poi via a preparare una video-bomba. La villa livornese è il set per i proclami ad alzo zero: lì il capocomico dei pentastellati filmò la difesa del figlio accusato di stupro, da lì partì la dichiarazione di guerra legale contro Giuseppe Conte. La scena si ripete. Gli hanno dato il ben servito dopo 15 anni. Giuseppe Conte gli ha sparato contro una raffica di risposte via internet che lo mette del tutto fuori gioco. Dei 46.000 e spiccioli che hanno votato alle consultazioni della Costituente di domenica al Palacongressi di Roma il 63,24% ha detto che il Garante va abolito. Gli iscritti hanno sancito anche col 74,63% che va abrogata la facoltà data al Garante di richiedere la ripetizione di una votazione sulle modifiche dello Statuto. Ma Grillo non si dà per inteso e a quel potere si è appellato. Anche perché le nuove regole valgono dal prossimo congresso: ora vale il vecchio Statuto e Grillo mantiene il suo potere di veto sulle elezioni. Anche sui quesiti che lo riguardano. A Giuseppe Conte non resta – anche se starebbe studiando una contromossa legale – che fare buon viso a cattiva sorte e scatenare di nuovo una campagna anti-Grillo. I più vicini al Garante, l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi e l’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli sostengono che la ripetizione del voto non solo è legittima, ma ha una finalità precisa: far saltare il quorum. A norma di Statuto – tutt’ora vigente - Beppe Grillo può chiedere entro cinque giorni che sia ripetuta la consultazione sull’abrogazione della sua figura come tutore dell’ortodossia pentastellata. Conti alla mano quel quasi 30% che domenica ha detto sì al mantenimento del Garante vale 15 mila teste, se non votassero nella consultazione-bis non si raggiungerebbe il quorum – la metà più uno degli 89 mila votanti - e dunque tutta l’impalcatura di consenso messa in piedi da Giuseppe Conte crollerebbe. Tutto questo in due settimane considerato che agli iscritti va dato un preavviso di otto giorni e che per far ripartire la macchina elettorale servono 5 giorni. L’attesa del ri-voto sarebbe scandita dall’Elevato col «bombardamento» di video che si stanno girando a Marina di Bibbona non solo contro Giuseppe Conte, ma per rivendicare le radici del Movimento Cinque stelle. Per ora sul blog di Beppe Grillo compare una scritta che sa tanto di coming soon: hashtag riprendiamocilenostrebattaglie! Nel frattempo è stato mobilitato un pool di avvocati. Sostiene Danilo Toninelli - che è ancora nel collegio dei probiviri del M5S – che Beppe Grillo «è il proprietario del nome e del simbolo del Movimento e farà valere le sue ragioni in tribunale». Toninelli parlando a Radio Cusano Campus ha adombrato anche un sospetto di alterazione delle consultazioni di domenica. Ha sottolineato come la riduzione degli iscritti da 170.000 a poco meno di 90.000 ha modificato le proporzioni per arrivare al quorum e come molte «risposte ai quesiti statutari erano state di fatto predeterminate». Sulla regolarità delle consultazioni c’è anche un’altra indiscrezione che gira. Si dice che Vito Crimi – è stato tutto e il contrario di tutto nel Movimento: prima grillissimo, ora contiano di ferro – incaricato di sorvegliare sulla regolarità del voto in realtà si sia occupato assai da vicino dello spoglio elettronico. Alla domanda di Roberto Fico, ex presidente della Camera ora consigliere speciale di Giuseppe Conte, “tutto a posto?” lui avrebbe risposto «va come deve andare». Anche su questo si baserebbe la guerra di carte bollate che Grillo sta studiando. Di certo non vuole mollare; ce l’ha con i «traditori»: Paola Taverna, gli stessi Crimi e Fico, come Stefano Patuanelli tutti ora contiani e assai soddisfatti che sia saltato il limite dei due mandati parlamentari cancellato dal 72% dei voti, ma ora di nuovo sub judice. Beppe Grillo ha in animo anche una mossa tutta politica. Nei giorni scorsi Nina Monti - la storica segretaria dell’Elevato – avrebbe incontrato a Roma Alessandro Di Battista per ragionare di un rilancio del M5s con ritorno all’origine nel nome e nei contenuti. Già in estate si era parlato di un incontro tra Grillo e Di Battista smentito da quest’ultimo. Che Giuseppe Conte abbia timore di vedersi negato simbolo e nome lo lascerebbe intendere il fatto che ha chiesto agli iscritti - hanno approvato all’80% la possibilità di fare alleanze col Pd – come definirsi: al 36,7% si dicono progressisti indipendenti e al 22 forza progressista. Se saltano le cinque stelle è pronto un altisonante «I progressisti di Conte». Come insegna Dante: nomina sunt consequentia rerum!
Dimmi La Verità | Stefano Patuanelli: «Manovra pessima, va contro gli interessi degli italiani»
Ecco #DimmiLaVerità del 31 ottobre 2023. Ospite il senatore del M5s Stefano Patuanelli. L'argomento del giorno è: "Manovra finanziaria, conflitto in Medio Oriente".
A Dimmi La Verità il senatore del M5s Stefano Patuanelli. Argomenti del giorno: manovra finanziaria appena varata dal governo, posizione dell'Italia nel conflitto in Medio Oriente, stato dell'arte sul rapporto tra le opposizioni
Il salario minimo per la sinistra e la Cgil rimane ormai solo una bandiera da sventolare. Chiaramente per fini politici. Le possibilità che si ritenga davvero risanatore l’intervento sono minime: lo dimostrano i dati Inps e il documento del Cnel contro cui il sindacato di Maurizio Landini si è opposto in solitudine. La commissione dell’Informazione del Cnel, prevista da una disposizione di legge, si è limitata a fornire un primo inquadramento e analisi del problema basato su dati oggettivi elaborati da Banca d’Italia, Inps ed Istat.
Un documento che ha ricevuto l’approvazione praticamente unanime della Commissione, formata da 15 membri ed espressione equilibrata e proporzionale di tutte le componenti sociali: rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, esperti nominati dal Colle, dal presidente del Consiglio e dal Consiglio nazionale del terzo settore. Insultare il Cnel, come hanno fatto ieri politici come Stefano Patuanelli, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Carlo Calenda, equivale quindi a insultare tutte le sigle sindacali chiamate a farne parte, i rappresentanti delle categorie produttive, nonché gli esperti e i componenti espressione di importanti realtà del volontariato: milioni di lavoratori. Il documento conteso affronta il problema retributivo dal punto di vista della contrattazione. Suggerisce di allargare i contratti, modificare quelli privati o financo abolirli. Nella sostanza, il problema italiano in molte categorie sta nella eccessiva frammentazione e non nella bassa retribuzione oraria. Certo ci sono casi di paghe troppo scarse. Ma spesso rientrano nell’abusivismo (almeno 40.000 persone) o in uno schema legato a eccessivi ritardi nella contrattazione. Infatti, c’è un tema aperto almeno da un decennio. Esistono in Italia oltre 1.000 contratti nazionali. Molti di questi coprono settori merceologici o categorie esigue. Altri sono a spettro molto più ampio. Il dato che si tende spesso a sottovalutare sono i mancati rinnovi. Il 57% dei contratti è scaduto, alcuni di questi da oltre due anni. È chiaro che i ritardi - in parallelo all’inflazione - si mangiano i salari. È altrettanto chiaro che i motivi dei ritardi sono riconducili ai vari attori seduti al tavolo, uno dei quali è lo stesso Landini che scende in piazza per chiedere ad alta voce il salario minimo (oltre alla pace, alla tutela della Costituzione e all’antifascismo) nonostante l’inutilità o peggio la dannosità che contraddistingue tale intervento. Nessun esame di coscienza sui ritardi e sulle battaglie che il sindacato dovrebbe portare avanti giorno dopo giorno.
Una manovra «senza coraggio e visione», che «non toglie le ragioni della nostra mobilitazione a partire dalla manifestazione di sabato (domani, ndr)» a Roma con 200 associazioni. «Indicheremo la Via Maestra per la Costituzione e la pace, contro la precarietà e per un futuro diverso», ha detto il segretario generale della Cgil intervistato da Repubblica. Mescolare temi seri come i salari con intemerate antifasciste rende l’idea dell’approccio e del momento.
E rende pure l’idea dell’asse che si sta formando. Il riferimento è agli attuali vertici del Pd. «I primi di dicembre organizzeremo una grande conferenza sull’Europa con le forze sindacali, politiche e sociali che vogliano difendere con noi il patrimonio costituzionale comune nato dalla lotta al nazifascismo» , ha rimarcato ieri Elly Schlein alla direzione del Pd. «Lo faremo nel nome e nel ricordo di David Sassoli», ha aggiunto dimostrando a sua volta di essere in cerca di altre bandiere. La strada che la coppia Landini-Schlein sta imboccando porta diritta a Bruxelles e in qualche modo si incrocerà con Enrico Letta. Quest’ultimo sta lavorando per il Consiglio Ue con l’obiettivo di stilare un report sulle opportunità del mercato unico e sta cercando come interlocutori quelle parti sociali che potranno godere del timbro di europeisti. E guarda caso Landini si sta munendo del nuovo timbro. Da tempo, per giunta. Già a maggio andò in trasferta a Berlino per il congresso della confederazione europea dei sindacati, con un risalto che mai era stato concesso in precedenza. Insomma, il salario minimo e la tutela della Costituzione, le bandiere dalla pace e ma anche il futuro delle pensioni sono slogan politici. E basta. Dispiace per quei lavoratori che pagano la tessera e che attendono da anni il rinnovo dei propri contratti.
Il candidato ad di Ita trattava l’acquisto della «nuova» Alitalia con l’uomo Benetton
Aumenta il traffico tedesco sulla pista di Ita Airways. Almeno a giudicare dalle indiscrezioni rilanciate ieri dal quotidiano Handelsblatt secondo cui «al secondo tentativo, Lufthansa potrebbe riuscire nell’acquisizione della compagnia italiana», i piani sono già «in fase avanzata» anche perché l’ex Alitalia perderebbe fino a 1,5 milioni al giorno. Si discute già su chi affidare la guida quando Lufthansa avrà completato l’acquisizione del 40%, ed ecco spuntare due nomi: l’ex numero uno di Air Dolomiti, Joerg Eberhart, dato per favorito come nuovo amministratore delegato e un ex manager di Edelweiss, Alain Chisari, in pole per gestire il rilancio commerciale. A farli, sempre ieri, in un trafiletto apparso nelle pagine economiche, è stata La Repubblica. Eberhart viene definito «un tedesco innamorato dell’Italia» che «per anni ha studiato l’acquisizione di Alitalia per conto di Lufthansa. Per sette anni e nove mesi ha pilotato Air Dolomiti, la compagnia con base a Verona che è sempre proprietà di Lufthansa. Oggi è il capo delle strategie di Lufthansa e tuttora vive a Verona. Da qui si sposta a Roma perché guida la delegazione che tratta l’acquisizione di Ita con il nostro ministero dell’Economia».
Ieri «fonti vicine al dossier», hanno precisato all’agenzia Ansa che «è troppo presto al momento per fare nomi sul futuro management di Ita» e che quelli «che si fanno ora sono solo speculazione». Al netto delle assai timide smentite, c’è un dettaglio che non è stato citato da Repubblica e che forse è, invece, opportuno ricordare. A fine dicembre del 2020 La Verità si stava occupando delle carte dell’inchiesta sul crollo del ponte di Genova. Dagli atti erano spuntate le manovre dell’ex amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci, per proporsi al vertice della nuova Alitalia mostrandosi quasi come l’«uomo all’Avana» dell’allora ministro grillino dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. In particolare, tra le intercettazioni, veniva riportata una conversazione telefonica avuta il 25 ottobre 2019 proprio tra Joerg Eberhart, al tempo ancora ad Air Dolomiti, e Castellucci. Facciamo una premessa: in quei giorni il manager italiano, abbandonato da poco il timone di Atlantia, aveva affidato a Eberhart un messaggio da portare a Carsten Spohr, ad della controllante Lufthansa, candidandosi a presidente «con deleghe» della nuova Alitalia, nel caso la compagnia tedesca fosse entrata, al posto di Delta, nella cordata con Atlantia. I due iniziano a ragionare su un possibile incontro a Roma con Spohr nelle settimane seguenti.
Passa qualche mese e il 9 gennaio 2020 Bernard Spitz (amministratore indipendente della compagnia e presidente del Polo internazionale ed europeo di Medef, l’organizzazione francese degli imprenditori) chiama Castellucci per commentare un duro articolo uscito su Le Monde sul ritiro dei candidati partner di Alitalia «ancora alle prese con una profonda crisi» in cui vengono citati sia Eberhart sia Atlantia. Castellucci definisce quella dell’articolo «una visione esterna» spiegando che il governo «ha una soluzione completa con il capitale, qualcuno che se ne occupi sai, ma altrimenti sono pronti a lanciarsi in un accordo commerciale con Lufthansa fatto dal Commissario aspettando che arrivi effettivamente l’investitore». Poi comincia a vantarsi «perché sfortunatamente sono io che ho convinto il governo sul fatto che Lufthansa è la migliore e quando l’ho convinto l’accordo era che Lufthansa doveva investire… io sono uscito». Spitz anticipa a Castellucci che il giorno successivo avrebbe potuto parlare con Benjamin Smith, ad di Air France-Klm, della trattativa con Lufthansa e nel caso rimandare a un incontro da fare a Parigi. «Prima con me e poi con il ministro», gli precisa però Castellucci. Insomma, prima i vertici francesi devono incontrare lui e poi Patuanelli.
A metà gennaio, in una telefonata con il direttore commerciale di Air France-Klm, Angus Clark, Castellucci racconta che a settembre 2013 Roberto Colaninno e Gabriele Del Torchio (al tempo presidente e ad della compagnia di bandiera), «andarono dal signor Letta (Enrico, ndr), l’ allora primo ministro, dicendo di non avere il denaro per pagare gli stipendi alla fine del mese». Castellucci ricorda anche che Letta lo chiamò «per chiedermi di aiutarlo a trovare un’alternativa evitando la bancarotta, perché non poteva spendere denaro pubblico per quell’assurdo accordo». Castellucci mette dunque a frutto i contatti con il governo che «è stato molto colpito dalla qualità dell’offerta commerciale di Lufthansa», dice al manager di Air France. Aggiungendo però la sua opinione personale: «Loro offrono molto meno di quanto dovrebbero» e per questo «ciò che ho detto al ministro è: guarda, l’attuale offerta di Lufthansa è bassa».
A quasi tre anni di distanza Lufthansa punta a una quota di minoranza del 20-40% di Ita, ma vuole anche mantenere aperta l’opzione di rafforzare il pacchetto azionario in un secondo momento. Nel frattempo, la cloche della compagnia verrebbe affidata a Eberhart, il «messaggero» di Castellucci nell’ottobre 2019.
- Il morbo che colpisce i suini mette a rischio un fatturato di 20 miliardi nel comparto dei salumi, la siccità e gli sciami strangolano gli agricoltori. Stefano Patuanelli e Roberto Speranza, tuttavia, applicano il protocollo Covid. Fra ritardi, cure che mancano e inutili vaccini.
- Invasione di locuste in Sardegna: gli azzurri Ugo Cappellacci e Pietro Pittalis chiedono di istituire una unità di progetto interforze.
Lo speciale contiene due articoli.
I nostri campi sono in balia delle piaghe bibliche: la siccità, la peste, le cavallette. Gli appelli cadano da mesi come vox clamans in deserto, ma il deserto ormai c’è, è qui dietro l’angolo. Rischiamo per l’inconcludenza di Roberto Speranza, ministro della Salute, di perdere 20 miliardi di fatturato dei salumi, rischiamo per l’afonia del ministero dell’Agricoltura guidato da Stefano Patuanelli di restare senza riso e in più di vederci penalizzati dall’Europa. Difficile poi stupirsi se l’inflazione alimentare corre al ritmo del 6,7% con aumenti dell’1% mensile.
Le risaie del vercellese sono senz’acqua e questo è il momento più delicato per l’accrescimento delle piantine. Metà dei risicoltori hanno scelto la coltivazione in asciutta (significa che il riso viene coltivato come il grano senza il cappotto termico costituito dal velo d’acqua delle risaie), almeno il 40% delle risaie hanno avuto difficoltà nella semina. Il presidente del Piemonte Alberto Cirio ha chiestolo stato di calamità e si fa appello perché vengano aperti in parte gli invasi idroelettrici. Secondo la Coldiretti è già stato perso il 20% delle coltivazioni. Si sta già raccogliendo il grano duro nel foggiano e le stime, sempre causa siccità, vanno dal 15 al 30% in meno del raccolto. In ottobre i prezzi della pasta potrebbero raddoppiare. Il sottosegretario all’agricoltura Gian Marco Centinaio (Lega) ha fatto un appello «perché venga subito attivato lo stato di calamità e si attinga agli 800 milioni del Pnrr agricolo per contrastare questa gravissima crisi». Ma dal governo, mentre la Sardegna combatte contro un’invasione anomala di cavallette (problema annoso e mai affrontato e risolto) che stanno divorando 50.000 ettari di coltivazioni, neppure un fiato. L’emergenza più grave e trascurata è quella della peste suina. Sono a rischio 20 miliardi di comparto che significa i prosciutti di Parma, San Daniele, Toscano, che significa salame di Felino, culatello di Zibello, Ciauscolo, Nduja, Salsiccia di Bra. Vuol dire mettere sotto schiaffo almeno una ventina di Dop, almeno 60.000 posti di lavoro nella trasformazione e quasi altrettanti negli allevamenti per migliaia di imprese. E tutto perché il ministro della Salute Roberto Speranza evidentemente pensava di mettere le mascherine anche ai cinghiali. La peste suina è la fotocopia del Covid quanto a inefficienza del ministero, a compromesso politico, a imbarazzante sottovalutazione. I primi focolai risalgono al 5 gennaio quando in un areale al confine tra Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta furono trovate carcasse di cinghiali morti per peste suina. I provvedimenti presi allora sono stati come al solito isolamento e vigile attesa. Sono stati chiusi alcuni parchi, si è cercato di isolare i cinghiali e chi si è visto si è visto.
Il ministero della Salute affermò: «Diffondiamo le Faq così sapete come comportarvi, la malattia non è pericolosa per l’uomo». Il massimo della prevenzione fu pensare a un eventuale indennizzo per chi perdeva i maiali. Come se vendere un animale a 2 euro al chilo sia la stessa cosa che vendere un prosciutto stagionato 36 mesi a 60 euro al chilo. E senza tenere conto del fatto che l’export di salumi per l’Italia vale quasi 5 miliardi di euro. Ma al ministero della Salute poco importa, del resto il primo consulente di Speranza è Walter Ricciardi l’uomo che applaude e appoggia il Nutri-score l’etichetta a semaforo che penalizza il made in Italy e sta lavorando per mettere fuori mercato proprio i salumi italiani. Che oggi sono sotto la scure della Commissione europea che in questi giorni vuole ritirare i fondi di promozione di questi prodotti. In più ci sono gli ambientalisti che son apertamente contro la cattura e l’abbattimento dei cinghiali, il primo vettore della peste suina. Ebbene, quando i cinghiali sono arrivati ad assediare Roma Roberto Speranza, che ha delegato il sottosegretario Andrea Costa all’emergenza peste suina sempre sulla linea Covid, che cosa ha offerto? Non l’abbattimento dei cinghiali, ma il vaccino! Obbedendo più alla Lav, Lega sì ma antivivisezione che agli allevatori, il ministro della Salute ha previsto una campagna di sterilizzazione dei cinghiali. Peccato che fosse scaduta. Perché il ministero ha fatto passare invano il termine del primo marzo scritto nella legge di bilancio 2022 per la sperimentazione del contraccettivo per i cinghiali per cui sono stati spesi 500.000 euro che come le dosi avanzate del vaccino anti Covid sono finiti nel cestino.
Ma ci sono gli effetti indesiderati. Così, trovati due maiali infetti nel parco dell’Insugherata, sono stati disposti mille abbattimenti di maiali nelle campagne di Roma. Altri abbattimenti ci sono stati in Sardegna dove il virus era stato debellato e ora è tornato. La peste ha una diffusione rapidissima e il servizio veterinario del ministero della Salute è in costante ritardo. In particolare la Cia - ora guidata dal neo presidente Cristiano Fini - da anni si batte perché vengano fatte catture selettive di cinghiali e ungulati per difendere le produzioni agricole, ma gli animalisti si oppongono. Su Roma la Cia ha messo in mora il governo. «Non si possono replicare le modalità attuate in Piemonte dove, a 3 mesi dall’ordinanza ministeriale, sono stati abbattuti solo 500 dei 50.000 cinghiali stimati nell’area rossa», osserva Fini che è preoccupato per la diffusone della peste. Se attacca la Maremma e risale l’Appennino arriva alla food valley di Parma e il disastro è compiuto. Ma Roberto Speranza tace. Forse pensa che mascherina, vigile attesa e lockdown dei cinghiali salveranno il culatello.
Sardegna assediata dalle locuste. E c’è chi reclama i lanciafiamme
Quella contro le cavallette è una guerra e come tale va combattuta: con ampie risorse pubbliche, un esercito di uomini impiegati per proteggere i raccolti e ogni strumento necessario per combattere la piaga. E c’è chi chiede misure simili a quelle messe in campo nel 1946, quando gli sciami si abbatterono su oltre un milione e mezzo di ettari di superficie, più della metà del territorio regionale. Contro quel flagello fu messa in campo una strategia militare, con tanto di lanciafiamme, insetticidi ed esche avvelenate che pullularono per tutta l’isola. Per questo i parlamentari sardi Ugo Cappellacci e Pietro Pittalis (Forza Italia) hanno proposto una mozione che è stata portata nell’Assemblea regionale dal gruppo azzurro in cui si chiede di istituire una unità di progetto interassessoriale e interforze (Agricoltura, Ambiente, Sanità con corpo forestale e agenzia Forestas) simile a quella creata dalla Regione nel 2014 per l’eradicazione della peste suina africana. L’emergenza è pesante: secondo le prime stime di Coldiretti Nuoro-Ogliastra, gli ettari di terreno colpiti dal colossale sciame sono già 30.000 e si va per i 50.000, per un totale di 200-250 tonnellate di vegetali divorate ogni giorno. Gli sciami sono partiti dalla piana di Ottana, in provincia di Nuoro, per poi spostarsi verso alcuni territori della provincia di Sassari e poi verso la provincia di Oristano. Già all’inizio dello scorso maggio era stato lanciato l’allarme cavallette, segnalando la distruzione di venticinquemila ettari di terreno coltivato nell’epicentro dell’invasione.
Secondo gli esperti, con gli insetti ormai adulti si possono solo limitare i danni fino alla fine di luglio, quando gli animali scompariranno. L’emergenza riguarda però le uova, per evitare di ritrovarsi ogni anno in una situazione più grave dell’anno precedente. «È necessaria un’organizzazione degli interventi per contrastare quella che è diventata una vera e propria piaga per la Sardegna», sostengono i parlamentari sardi autori della proposta, «insieme ad un coordinamento che veda il pieno coinvolgimento delle rappresentanze territoriali, che assicuri un’informazione capillare nel mondo delle campagne». L’idea è piaciuta a Coldiretti Nuoro-Ogliastra, che ritiene l’unità di progetto «indispensabile di fronte ad un fenomeno devastante e insostenibile per centinaia di aziende agricole e oltre 30.000 ettari che ricadono in tre province (Nuoro, Sassari e Oristano). Occorre», spiega il presidente Leonardo Salis, «mettere in pratica e coordinare tutti gli interventi necessari per fermare una aggressione che dopo quattro anni sta prendendo il sopravvento e sembra ingovernabile». Al question time di un paio di giorni fa, il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, ha escluso la possibilità di ristori immediati con risorse nazionali, ma non quella della dichiarazione dello stato d’emergenza e dell’eventuale nomina di un commissario. «L’infestazione di cavallette non rientra negli ambiti per i quali è possibile attivare gli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale», ha spiegato il ministro, «autorizzati in esenzione di notifica ai sensi della normativa europea sugli aiuti di Stato al settore agricolo». Ma oltre alle misure per tamponare l’emergenza e aiutare chi è stato colpito, importante è, come si è detto, intervenire per evitare danni ancora peggiori nella prossima estate. Per Confagricoltura Sardegna «i tempi per programmare i nuovi interventi sono davvero stretti, se vogliamo mettere al sicuro la prossima stagione agraria».






