Ospite della puntata del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi Utopia Claudio Durigon della Lega: confronto su lavoro, smartworking, tasse e reddito di cittadinanza.
Ansa
Il 31 marzo decadrà la normativa sul lavoro da casa che finora ha salvato migliaia di over 50. Se dovranno andare in ufficio anche una sola volta perderanno lo stipendio.
La fine dello stato di emergenza chiude tutte le porte a chi non vuole vaccinarsi, ponendo definitivamente fine alla libertà di scelta. Se con l’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli over 50, a partire dal 15 febbraio, molti hanno scelto di mettersi in smart working per evitare di essere sospesi dal proprio posto di lavoro, dal 1° aprile, se lo stato di emergenza finirà, non potranno più usare il lavoro agile come uno scudo per salvare lo stipendio. Ricordiamo infatti che per un’azienda al momento è difficile sapere se un lavoratore è vaccinato oppure no se lavora a casa. L’unico momento idoneo per scoprirlo rimane il primo giorno in cui ci si reca in azienda.
Situazione di non facile gestione, anche perché ricordiamo che le attuali norme sullo smart workign non derivano da un contratto nazionale, ma sono il frutto dell’emergenza sanitaria. Si è dunque concessa la libertà di mettere i propri lavoratori in smart working senza la presenza di un accordo collettivo o individuale tra l’azienda e il dipendente. Non sono dunque state stabilite regole per quanto riguarda l’alternanza del lavoro in ufficio e a casa, così come non sono stati normati molti altri aspetti. In questo contesto, si capisce bene come sia dunque difficile controllare, per esempio, se un lavoratore che sta svolgendo il suo lavoro da remoto abbia o meno il super certificato verde. Realtà confermata in parte anche dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, che un paio di giorni fa a Rai Radio 1 (oltre a dire che il certificato verde è obbligatorio anche in smart working) ha sottolineato che «i controlli (in questo momento, ndr) sono un’operazione più complicata rispetto alle verifiche sui luoghi di lavoro».
Situazione che ha però una data di scadenza ben precisa, il 31 marzo 2022. Se infatti il governo Draghi dovesse decidere di porre fine allo stato di emergenza si darebbe il via a una vera e propria contrattualizzazione dello smart working. E, dunque, la base normativa di riferimento rimarrebbe per tutti (lavoratori pubblici e privati) la legge numero 81 del 2017 sul lavoro agile con l’applicazione di diverse peculiarità per i singoli settori. Per quanto riguarda i lavoratori del privato, non ci sarà nessun intervento normativo nell’immediato. La cornice entro cui ci si deve muovere è il protocollo delle linee di indirizzo stipulato il 7 dicembre tra il ministero del Lavoro e le parti sociali. In questo si è delineato lo schema principale che deve essere poi seguito dalle varie aziende quando stipulano i singoli contratti individuali con i propri lavoratori.
Si dovranno dunque definire la durata dell’accordo (se a termine o a tempo indeterminato), l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno dell’azienda e da casa, in quali luoghi si può svolgere il lavoro da remoto, quali sono gli strumenti di lavoro forniti, i tempi di riposo, le forme e le modalità di controllo fuori dall’azienda e i diritti di cui gode il lavoratore. Quello su cui il governo sta ancora lavorando è la fluidità delle comunicazioni che le società dovranno mandare. Si sta dunque cercando di rendere questa parte normativa meno pesante dal punto di vista burocratico per le aziende, dato che le comunicazioni che dovranno inoltrare non saranno poche.
Per quanto riguarda invece la pubblica amministrazione, che vede come ministro di riferimento Renato Brunetta, l’idea è quella di creare dei contratti collettivi nazionali ad hoc che andranno a disciplinare il quadro generale dello smart working. Poi, ogni singola amministrazione definirà in modo più dettagliato i singoli accordi individuali con i propri dipendenti. Nell’arco di tempo tra la realizzazione dei vari contratti collettivi e il 31 marzo, si dovranno invece applicare le linee guide redatte dal ministero per quanto riguarda lo smart working, in modo da non lasciare periodi non normati.
Bisogna sottolineare come la modalità di lavoro agile sia del tutto volontaria (passaggio precisato anche sui diversi protocolli). Questo significa che l’azienda privata, così come quella pubblica, può benissimo decidere, quando finirà lo stato di emergenza, di non voler dar più seguito all’esperienza dello smart working, pretendendo che tutti i lavoratori siano presenti in pianta stabile in sede. Stessa libertà di scelta avrà anche il dipendente che potrà decidere di non voler aderire al contratto di lavoro agile aziendale.
Quello che invece non si potrà più scegliere è se vaccinarsi oppure no. I protocolli di intesa sottolineano infatti come sia «sano» alternare il lavoro da casa a quello in ufficio, imponendo di fatto un’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali dell’azienda. Questo farà sì che i lavoratori dovranno recarsi (in base alle regole stipulate dalle singole aziende) in ufficio almeno una volta a settimana. E per poter accedere ai locali si dovrà essere muniti di certificato verde, che ricordiamo non scomparirà con la fine dello stato di emergenza, ma sarà operativo ancora per diversi mesi. Nel caso dunque in cui non ci si sia sottoposti al vaccino si verrà sospesi dal lavoro e dallo stipendio, pur conservando il proprio posto almeno fino al 15 giugno.
Continua a leggereRiduci
iStock
I liberi professionisti, che non possono lavorare da casa, denunciano la solita mancanza di aiuti e la difficoltà di avere a che fare con sportelli pubblici che rimangono sguarniti
Con la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 marzo e le nuove norme sul lavoro agile per i dipendenti ai blocchi di partenza da gennaio, viene da chiedersi perché il governo non abbia fatto nulla per lo smart working dei lavoratori autonomi. Quelli, insomma, che hanno una partita Iva.
La redazione della Verità ha contattato diverse associazioni di categoria per sapere se vi era stata una qualche forma di supporto o regolamentazione per le tante professioni svolte in Italia che non richiedono un contratto da dipendente. La risposta è stata, più o meno, sempre la stessa: le istituzioni non hanno fatto letteralmente nulla.
È chiaro che per avvocati, commercialisti, psicologi, architetti, consulenti finanziari e chi più ne ha più ne metta, lo status di libero professionista non impone alcun tipo di restrizione nel modo di lavorare. Ma è altrettanto evidente che gli ostacoli, in questi ormai quasi due anni di pandemia, non sono mancati nemmeno per i lavoratori autonomi.
«I commercialisti a livello di supporto dalle istituzioni non hanno ricevuto nulla», spiega alla Verità Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti. «Lo smart working è per noi quasi impossibile e l’unico aiuto che abbiamo avuto riguarda alcuni interventi nati all’interno del nostro circuito professionale, non certo dal governo. Va detto che nel nostro caso, anche durante i momenti più duri della pandemia, noi abbiamo avuto un rapporto in presenza con la clientela, esponendo i professionisti a non pochi rischi. Solo a livello di formazione abbiamo fatto qualcosa in remoto ma, come lavoratori autonomi, non c’è stato il minimo supporto. Sono stati solo i dipendenti a goderne. Come commercialisti avremmo gradito un supporto, ma lo smart working per noi sarebbe stato possibile solo se avessimo avuto gli strumenti adeguati. In particolare, abbiamo avuto molte difficoltà nel contenzioso tributario. Purtroppo, il libero professionista, nella mentalità dei vari governi che si sono succeduti, non solo di questo, è sempre stato messo da parte. Tutti i liberi professionisti avrebbero bisogno di maggiori misure in questi tempi di crisi pandemica. Sono in molti a lamentarsi di questa poca attenzione».
Anche per ingegneri e architetti il governo pare aver fatto ben poco. Come segnala Bruno Gabbiani, presidente di Ala assoarchitetti, associazione che racchiude gli architetti e gli ingeneri liberi professionisti, «come professionisti autonomi noi abbiamo sempre lavorato il numero di ore che ognuno riteneva corretto e necessario per sé. Senza guardare agli orari o ai giorni di ferie. Il vero problema, nel nostro caso, lo abbiamo avuto in tema di rapporto con la pubblica amministrazione. Noi come architetti lavoriamo molto con i funzionari della pubblica amministrazione, anche loro in smart working. Questo ha quindi portato a una grande difficoltà di dialogo, di collaborazione e di impossibilità di comunicazione. Tutto questo ha reso pesante il nostro lavoro senza che nessuno proponesse delle soluzioni per ovviare al problema», dice Gabbiani. «Noi avremmo voluto una maggiore attenzione e una maggiore presenza su questo. Il problema è stato riscontrato in particolare nel settore in cui lavoro io che è quello del territorio e del paesaggio. Gli uffici pubblici sono stati spesso latitanti e non bastava depositare carte allo sportello. Tutto questo ha determinato grandi difficoltà e rallentamenti». Va detto, inoltre, che i rallentamenti a livello burocratico si manifestano ancora adesso perché le pratiche da smaltire sono moltissime.
Non è stato fatto nulla nemmeno per i consulenti finanziari, gli operatori che lavorano per distribuire prodotti di investimento, anche loro liberi professionisti. In questo caso, va detto, un supporto è stato spesso fornito dalle banche e società finanziarie per cui operano. Ma dalle istituzioni, nulla di fatto. «Stiamo seguendo con attenzione anche il fronte dello smart working», spiega alla Verità Luigi Conte, presidente di Anasf, associazione che rappresenta i consulenti finanziari. La buona notizia, spiegano, è che le nuove tecnologie sono bastate per far operare i consulenti senza dover affrontare troppo ostacoli. «L’attività del consulente finanziario, in quanto autonoma, può essere svolta con mezzi oramai a disposizione di tutti da remoto, limitando al massimo i contatti con i clienti. Discorso diverso riguardo ai dipendenti o collaboratori dei consulenti finanziari ai quali le norme sullo smart working ovviamente si applicano come per qualsiasi altro lavoratore dipendente».
Per le partite Iva, insomma, c’è ben poco da gioire. Nella maggior parte dei casi, i problemi riscontrati con l’arrivo del Covid sono stati risolti autonomamente. Da Roma, infatti, nessuno ha proferito verbo per risolvere l’attuale situazione o per migliorare quella futura.
Continua a leggereRiduci
iStock
Grecia, Barbados, Bermuda, Dubai ed Estonia hanno dato il via a iniziative fiscali per attirare i lavoratori agili di tutto il mondo. La pandemia da Covid ha infatti costretto allo smartworking, per evitare il più possibile i contatti sociali. E allora, perché, non lavorare da una spiaggia? Per il momento le scelte sono abbastanza limitate, dato che solo 5 Paesi hanno deciso di introdurre misure ad hoc per attirare questo tipo di lavoratori. E molti di loro puntano ad avere sul proprio territorio solo persone con un determinato reddito.
Grecia
Atene ha dato il via ad un piano sperimentale per il 2021 che punta, da una parte a facilitare il rimpatrio di 800.000 cittadini ellenici che vivono all'estero, dall'altra di attirare sia le vittime della Brexit che gli europei scopritori del lavoro agile durante la pandemia. Per tentare l'impresa il governo di Atene ha dunque deciso di concentrarsi su una riduzione delle tasse. Attualmente l'aliquota è del 44% per i redditi annui sopra i 44.000 euro. Con la novità normativa questo scenderebbe al 22% per ben 7 anni.
Barbados
Le Barbados hanno dato vita al loro Welcome stamp, un programma che consente alle persone di lavorare da remoto sull'isola per un massimo di 12 mesi. Il 30 giugno 2020, il governo nazionale ha annunciato l'introduzione dell'iniziativa. Per lavorare nel Paese è necessario avere il visto. E per ottenerlo bisognerà soddisfare alcuni requisiti, inviando elettronicamente: una foto tessera e il passaporto. La richiesta inizierà ad essere elaborata entro 48 ore dalla ricezione, e il documento verrà confermato o negato entro 5 giorni lavorativi o meno. Da non dimenticarsi di pagare 2.000 dollari se si andrà da soli a lavorare, mentre se si porta anche la famiglia la somma sale a 3.000 dollari. Ovviamente le Barbados non hanno bisogno di abbassare la loro tassazione essendo già fiscalmente attraenti.
Bermuda
Anche le Bermuda si sono date da fare per non perdere l'onda dei lavoratori agili. E infatti hanno lanciato il Work from Bermuda, un modulo che permette di lavorare per un anno nel Paese. «Questo governo invita le persone che già lavorano da casa a farlo a distanza dalle Bermuda. Il Covid ha avuto un impatto nel mondo. Durante la notte, le aziende hanno dovuto risolvere il problema dei dipendenti che potevano lavorare fuori dall'ufficio. I lavoratori sono altrettanto produttivi, se non di più, lavorando nel loro ambiente. Ora c'è l'opportunità per i dipendenti, che io chiamo nomadi digitali, e gli studenti universitari di lavorare e studiare, a distanza dalle Bermuda. I candidati per il certificato di un anno devono avere i mezzi per mantenersi mentre lavorano a distanza e non possono cercare lavoro alle Bermuda» dichiarò il premier, David Burt ad agosto quanto fu lanciato il progetto. La presentazione della domanda costa 263 dollari a persona e permette di fare anche avanti e indietro da casa propria nel corso dell'anno concesso.
Dubai
Dubai si unisce al coro dei paesi che vogliono sfruttare lo smart working a proprio vantaggio. E dunque il paese ha dato il via al suo one -year virtual working programme (programma di un anno per il lavoro virtuale), che permetterà a tutti i lavoratori che vorranno andare a Dubai di rimanerci per un anno, con o senza le loro famiglie. Fare domanda è semplice. Gli interessati dovranno dimostrare di guadagnare un minimo di 5.000 dollari (circa 4.235 euro) al mese, di avere un'assicurazione sanitaria privata valida all'estero e un documento che attesti l'impegno lavorativo in una società per almeno un anno. Se invece si è i proprietari di un'azienda si dovrà presentare un certificato che dimostri la proprietà e (ovviamente) l'estratto conto. La domanda, alla quale si dovranno allegare tutti questi documenti, costa 278 dollari (236 euro) ai quali si devono aggiungere le spese amministrative. Per quanto riguarda la sicurezza sanitaria si può entrare a Dubai solo se in possesso di un tampone negativo. Una volta arrivati a destinazione ne verrà fatto un secondo. Fino al risultato si dovrà rimanere isolati.
Estonia
E infine l'Estonia. Il paese europeo ha messo appunto un visto per i nomadi digitali che vogliono lavorare da remoto. Per ottenerlo i candidati devono dimostrare di guadagnare almeno 3.500 euro al mese e fornire prove del proprio lavoro. Questo perché si vuole cercare di capire il profilo professionale del richiedente. Se si ottiene il via libera dall'ufficio competente estone si potrà restare nel Paese per un massimo di 12 mesi. E si potrà viaggiare fino a 90 giorni all'interno dell'area Schengen.
Continua a leggereRiduci
True
2020-03-31
Smart working, Awdoc trasforma i tablet in un archivio a prova di attacchi cyber
True
Awdoc
Un numero sempre più alto di aziende ha scelto il lavoro da remoto - meglio conosciuto come smart working - per fronteggiare al meglio l'emergenza Covid-19. Una ricerca di mercato effettuata da Bva-Doxa ha evidenziato come il 73% delle realtà interessate abbia scelto di applicare il regime di smart working al maggior numero di dipendenti possibile. Il restante 27% avrebbe invece deciso di attuarlo solo a determinate figure, aree o funzioni. A scegliere il lavoro da remoto sono per lo più multinazionali estere che operano anche in Italia (90% dei lavoratori in smart working), mentre le aziende italiane sembrano essere più diffidenti di questo metodo innovativo (solo il 59%).
Il 90% delle aziende parla però di un'esperienza positiva, dichiarandosi soddisfatti dell'efficienza e dell'organizzazione dei lavori. Un dato così positivo da aver portato il 39% delle società ad affermare che le modifiche all'organizzazione lavorativa rimarranno in vigore anche dopo la fine dell'emergenza.
In questo nuovo quadro, l'applicazione di un sistema di sicurezza attivo che renda l'ambiente di scambio e l'archiviazione dei documenti impenetrabile appare fondamentale. Awdoc (Anywhere documents, ndr) si occupa proprio di questo. Questa innovativa piattaforma documentale tutta italiana, nata da un'idea dell'ingegnere Fabrizio Ghelarducci, trasforma i nostri tablet in un potente archivio portatile, sicuro e affidabile grazie a un'app che, operando come un sistema di cybersecurity attiva, consente di organizzare, ricercare e condividere i documenti elettronici riservati solo con utenti selezionati. La tecnologia che permette questi scambi sicuri è elaborata dalla software house del Polo tecnologico di Navacchio (Pisa) - Awtech - il cui obiettivo è la promozione di tecnologie innovative da parte di imprese dell'industria, pubbliche amministrazioni e Pmi.
Awdoc consente di gestire in digitale su pc, tablet e smartphone i documenti dei consigli di amministrazione, fascicoli e delibere, manualistica, comitati tecnici o di gestione, fornendo accesso con permessi diversificati al gruppo di lavoro. Ciò è possibile grazie alla crittografia end-to-end sviluppata da Awtech. La cifratura dei documenti e delle comunicazioni è resa trasparente all'utilizzatore e garantisce l'archiviazione sicura in cloud, mentre l'ambiente di condivisione viene reso sicuro e inattaccabile dai cryptovirus. «I browser sono infatti una fonte primaria per virus e gravi attacchi alla sicurezza, il cui tasso di crescita è aumentato di dieci volte nell'ultimo biennio in Italia» ha spiegato Ghelarducci.
Le funzionalità di Awdoc si articolano in due famiglie di app (Awdoc-Organizer e Awdoc Client) disponibili sui principali sistemi operativi per fisso o mobile e divisi in piani diversi a seconda del tipo di cliente (liberi professionisti, Pmi e grandi aziende). In queste settimane, in cui l'Italia si trova a far fronte a una quarantena obbligata, Awtech offre a titolo completamente gratuito, senza alcun costo o canone aggiuntivo, la possibilità di attivare una nuova Organizzazione Awdoc, dedicata allo smart working, operante in cloud nel nostro datacenter.
Continua a leggereRiduci







